Студопедия
Случайная страница | ТОМ-1 | ТОМ-2 | ТОМ-3
АрхитектураБиологияГеографияДругоеИностранные языки
ИнформатикаИсторияКультураЛитератураМатематика
МедицинаМеханикаОбразованиеОхрана трудаПедагогика
ПолитикаПравоПрограммированиеПсихологияРелигия
СоциологияСпортСтроительствоФизикаФилософия
ФинансыХимияЭкологияЭкономикаЭлектроника

Il pendolo di Foucault 42 страница

Читайте также:
  1. 1 страница
  2. 1 страница
  3. 1 страница
  4. 1 страница
  5. 1 страница
  6. 1 страница
  7. 1 страница

Tra l'oscillare delle lanterne, mi accorsi che al centro del coro si agitava qualcosa, un'ombra sottile e mobilissima.

Il Pendolo! Il Pendolo non oscillava più nel suo luogo consueto a mezza crociera. Era stato appeso, più grande, alla chiave di volta, al centro del coro. Più grande la sfera, più robusto il filo, che mi pareva un canapo, o un cavo di metallo attorcigliato.

Il Pendolo era ora enorme come doveva apparire al Panthéon. Come veder la luna al telescopio.

Avevano voluto ripristinarlo così come i Templari dovevano averlo sperimentato la prima volta, mezzo millennio prima di Foucault. Per permettergli di oscillare liberamente avevano eliminato alcune infrastrutture, creando all'anfiteatro del coro quella rozza antistrofe simmetrica segnata dalle lanterne.

Mi chiesi come il Pendolo facesse a mantenere la costanza delle oscillazioni, ora che sotto il pavimento del coro non poteva esserci il regolatore magnetico. Poi compresi. Al bordo del coro, vicino ai motori Diesel, stava un individuo che – pronto a spostarsi come un gatto per seguire le variazioni del piano di oscillazione — imprimeva alla sfera, ogni qualvolta piombava verso di lui, un lieve impulso, con un colpo preciso della mano, con un tocco leggero delle dita.

Era in frac, come Mandrake. Dopo, vedendo gli altri suoi compagni avrei capito che era un prestidigitatore, un illusionista del Petit Cirque di Madame Olcott, un professionista capace di dosare la pressione dei polpastrelli, dal polso sicuro, abile a lavorare sugli scarti infinitesimali. Forse era capace di percepire, con la suola sottile delle sue scarpe lucide, le vibrazioni delle correnti, e di muovere le mani scondo la logica della sfera, e della terra a cui la sfera rispondeva.

I suoi compagni. Ora vedevo anch'essi. Si muovevano tra le automobili della navata, scivolavano accanto alle draisiennes e ai motocicli, quasi rotolavano nell'ombra, chi portando uno scranno e un tavolo coperto di panno rosso nel vasto ambulacro sul fondo, chi collocando altre lanterne. Piccoli, notturni, ciangottanti, come bambini rachitici, e di uno che mi stava passando accanto scorsi i tratti mongoloidi e la testa calva. Les Freaks Mignons di Madame Olcott, gli immondi piccoli mostri che avevo visto nel manifesto da Sloane.

Il circo era lì al completo, staff, polizia, coreografi del rito. Vidi Alex et Denys, les Géants d'Avalon, fasciati da un'armatura di cuoio borchiato, veramente giganteschi, i capelli biondi, appoggiati contro la grande mole dell'Obéissant, con le braccia conserte in attesa.

Non ebbi tempo per farmi altre domande. Qualcuno era entrato con solennità, imponendo il silenzio a mano tesa. Riconobbi Bramanti solo perché portava la tunica scarlatta, la cappa bianca e la mitria che gli avevo visto addosso quella sera in Piemonte. Bramanti si avvicinò al braciere, gettò qualcosa, ne levò una fiammata, poi una fumata grassa e bianca, e il profumo si sparse lentamente per la sala. Come a Rio, pensavo, come alla festa alchemica. E non ho l'agogò. Portai il fazzoletto al naso e alla bocca, come un filtro. Ma già i Bramanti mi parevano due, e il Pendolo mi oscillava davanti in molteplici direzioni, come una giostra.

Bramanti iniziò a salmodiare: "Alef bet gimel dalet he waw zain het tet jod kaf lamed mem nun samek ajin pe sade qof resh shin tau!"

La folla rispose, orante: "Parmesiel, Padiel, Camuel, Aseliel, Barmiel, Gediel, Asyriel, Maseriel, Dorchtiel, Usiel, Cabariel, Raysiel, Symíel, Armadiel..."

Bramanti fece un cenno, e qualcuno emerse dalla folla, ponendosi in ginocchio ai suoi piedi. Solo per un istante ne vidi íl volto. Era Riccardo, l'uomo dalla cicatrice, il pittore.

Bramanti lo stava interrogando e quello rispondeva, recitando a memoria le formule del rituale.

 

"Chi sei tu?"

"Sono un adepto, non ancora ammesso ai misteri più alti del Tres. Mi sono preparato nel silenzio, nella meditazione analogica del mistero del Bafometto, nella coscienza che la Grande Opera ruota intorno a sei sigilli intatti, e che solo alla fine conosceremo il segreto del settimo."

"Come sei stato ricevuto?"

"Passando per la perpendicolare al Pendolo."

"Chi ti ha ricevuto?"

"Un Mistico Legato."

"Lo riconosceresti?"

"No, perché era mascherato. Io conosco solo il Cavaliere di grado superiore al mio e questi il Naometra di grado superiore al suo e ciascuno conosce uno soltanto. E così voglio."

"Quid facit Sator Arepo?"

"Tenet Opera Rotas."

"Quid facit Satan Adama?"

"Tabat Amata Natas. Mandabas Data Amata, Nata Sata."

"Hai portato la donna?"

"Sì, è qui. L'ho consegnata a chi mi è stato ordinato. Essa è pronta." "Vai, e tieniti in attesa."

Il dialogo si era svolto in un francese approssimativo, da entrambe le parti. Poi Bramanti aveva detto: "Fratelli, siamo qui riuniti nel nome del-l'Ordine Unico, dell'Ordine Ignoto, a cui sino a ieri non sapevate di appartenere e appartenevate da sempre! Giuriamo. Sia anatema sui profana-tori del segreto. Sia anatema sui sicofanti dell'Occulto, sia anatema su chi ha fatto spettacolo dei Riti e dei Misteri!"

"Sia anatema!"

"Anatema sull'Invisibile Collegio, sui figli bastardi di Hiram e della vedova, sui maestri operativi e speculativi della menzogna d'oriente o di occidente, Antica, Accettata o Rettificata, su Misraim e Memphis, sui Filateti e sulle Nove Sorelle, sulla Stretta Osservanza e sull'Ordo Templi Orientis, sugli Illuminati di Baviera e di Avignone, sui Cavalieri Kadosch, sugli Eletti Cohen, sulla Perfetta Amicizia, sui Cavalieri dell'Aquila Nera e della Città Santa, sui Rosicruciani d'Anglia, sui Cabalisti della Rosa+Croce d'Oro, sulla Golden Dawn, sulla Rosa Croce Cattolica del Tempio e del Graal, sulla Stella Matutina, sull'Astrum Argentinum e su Thelema, sul Vril e sulla Thule, su ogni antico e mistico usurpatore del nome della Grande Fraternità Bianca, sui Veglianti del Tempio, su ogni Collegio e Priorato di Sion o delle Gallie!"

"Sia anatema!"

"Chiunque per ingenuità, comando, proselitismo, calcolo o malafede sia stato iniziato a loggia, collegio, priorato, capitolo, ordine che illecitamente si rifaccia all'obbedienza ai Superiori Sconosciuti e ai Signori del Mondo, faccia questa notte abiura e implori esclusiva reintegrazione nello spirito e nel corpo dell'unica e vera osservanza, il Tres, Templi Resurgentes Equites Synarchici, il triuno e trinosofico ordine mistico e segretissimo dei Cavalieri Sinarchici della Rinascita Templare!"

"Sub umbra alarum tuarum!"

"Entrino ora i dignitari dei 36 gradi ultimi e segretissimi."

E mentre Bramanti chiamava a uno a uno gli eletti, questi entravano in vestimenti liturgici, tutti recando sul petto l'insegna del Toson d'Oro.

"Cavaliere del Bafometto, Cavaliere dei Sei Sigilli Intatti, Cavaliere del Settimo Sigillo, Cavaliere del Tetragrammaton, Cavaliere Giustiziere di Florian e Dei, Cavaliere dell'Atanòr.... Venerabile Naometra della Turris Babel, Venerabile Naometra della Grande Piramide, Venerabile Naometra delle Cattedrali, Venerabile Naometra del Tempio di Salomone, Venerabile Naometra dell'Hortus Palatinus, Venerabile Naometra del Tempio di Heliopolis..."

Bramanti recitava le dignità e i nominati entravano a gruppi, così che non riuscivo ad assegnare a ciascuno il proprio titolo, ma certamente tra i primi dodici vidi De Gubernatis, il vecchio della libreria Sloane, il professor Camestres e altri che avevo incontrato quella sera in Piemonte. E, credo come Cavaliere del Tetragrammaton, vidi il signor Garamond, composto e ieratico, compreso del suo nuovo ruolo, che con le mani tremanti si toccava il Tosone che aveva sul petto. E intanto Bramanti continuava: "Mistico Legato di Karnak, Mistico Legato di Baviera, Mistico Legato dei Barbelognostici, Mistico Legato di Camelot, Mistico Legato di Montsegur, Mistico Legato dell'Imam Nascosto... Supremo Patriarca di Tomar, Supremo Patriarca di Kilwinning, Supremo Patriarca di Saint-Martin-des-Champs, Supremo Patriarca di Marienbad, Supremo Patriarca dell'Ochrana Invisibile, Supremo Patriarca in partibus della Rocca di Alamut..."

E certamente il patriarca dell'Ochrana Invisibile era Salon, sempre grigio in volto ma senza palandrana e ora risplendente di una tunica gialla bordata di rosso. Lo seguiva Pierre, lo psicopompo dell'Eglise Luciferienne, che però portava sul petto, in luogo del Toson d'Oro, un pugnale in una guaina dorata. E intanto Bramanti continuava: "Sublime Ierogamo delle Nozze Chimiche, Sublime Psicopompo Rodostaurotico, Sublime Referendario degli Arcani Arcanissimi, Sublime Steganografo della Monas Ieroglifica, Sublime Connettore Astrale Utriusque Cosmi, Sublime Guardiano della Tomba di Rosencreutz.... Imponderabile Arconte delle Correnti, Imponderabile Arconte della Terra Cava, Imponderabile Arconte del Polo Mistico, Imponderabile Arconte dei Labirinti, Imponderabile Arconte del Pendolo dei Pendoli..." Bramanti fece una pausa, e mi parve pronunciasse l'ultima formula a malincuore: "E l'Imponderabile fra gli Imponderabili Arconti, il Servo dei Servi, Umilissimo Segretario dell'Edipo Egizio, Messaggero Infimo dei Signori del Mondo e Portiere di Agarttha, Ultimo Turiferario del Pendolo, Claude-Louis, conte di Saint-Germain, principe Rakoczi, conte di Saint-Martin e marchese di Agliè, signore di Surtoont, marchese di Welldone, marchese di Monferrato, di Aymar e Belmar, conte Soltikof, cavaliere Schoening, conte di Tzarogy!"

Mentre gli altri si disponevano nell'ambulacro, facendo fronte al Pendolo e ai fedeli della navata, entrava Agliè, in doppiopetto blu gessato, pallido e contratto in volto, conducendo per mano, come se accompagnasse un'anima sul sentiero dell'Ade, pallida anch'essa e come stupita da una droga, abbigliata solo di un'unica tunica bianca e semitrasparente, Lorenza Pellegrini, i capelli sciolti sulle spalle. La vidi di profilo mentre passava, pura e languida come un'adultera preraffaellita. Troppo diafana per non stimolare ancora una volta il mio desiderio.

Agliè portò Lorenza presso al braciere, vicino alla statua di Pascal, le fece una carezza sul volto assente e fece un cenno ai Géants d'Avalon, che le si posero a lato, sostenendola. Poi andò a sedersi al tavolo, di fronte ai fedeli, e potevo vederlo benissimo, mentre traeva dal panciotto la sua tabacchiera e l'accarezzava in silenzio prima di parlare.

"Fratelli, cavalieri. Siete qui perché in questi giorni i Mistici Legati vi hanno informato, e quindi ormai tutti sapete per quale ragione ci riuniamo. Avremmo dovuto riunirci la notte del 23 giugno 1945, e forse alcuni di voi allora non erano ancor nati — almeno nella forma attuale, in-tendo. Siamo qui perché dopo seicento anni di dolorosissimo errare abbiamo trovato uno che sa. Come abbia saputo — e abbia saputo più di noi — è un inquietante mistero. Ma confido che sia presente tra noi – e non potresti mancare, vero, amico mio già troppo curioso una volta — confido dicevo che sia presente tra noi chi potrebbe confessarcelo. Ardenti!"

Il colonnello Ardenti — certamente lui, corvino come sempre, se pure insenilito — si fece strada tra gli astanti e si portò davanti a quello che stava diventando il suo tribunale, tenuto a distanza dal Pendolo che segnava uno spazio invalicabile.

"Da quanto non ci vediamo, fratello," sorrideva Agliè. "Sapevo che diffondendo la notizia, non avresti resistito. Allora? Tu sai che cosa ha detto il prigioniero, e dice di averlo saputo da te. Tu dunque sapevi e tacevi."

"Conte," disse Ardenti, "il prigioniero mente. Mi umilio nel dirlo, ma l'onore anzitutto. La storia che gli ho confidato non è quella di cui i Mistici Legati mi hanno detto. L'interpretazione del messaggio — sì, è vero, avevo messo le mani su un messaggio, non ve l'avevo nascosto anni fa a Milano — è diversa... Io non sarei stato in grado di leggerlo come il prigioniero lo ha letto, per questo quella volta cercavo aiuto. E debbo dire che non ho incontrato incoraggiamenti, ma solo diffidenza, sfida e minacce..." Forse voleva dir altro, ma fissando Agliè fissava anche il Pendolo, che stava agendo su di lui come un incantamento. Ipnotico, cadde in ginocchio e disse soltanto: "Perdono, perché non so."

"Sei perdonato, perché sai di non sapere," disse Agliè. "Vai. Dunque, fratelli, il prigioniero sa troppe cose che nessuno di noi sapeva. Sa persino chi siamo noi, e noi lo abbiamo appreso da lui. Occorre procedere in fretta, tra poco sarà l'alba. Mentre voi rimanete qui in meditazione, io ora mi ritirerò ancora una volta con lui per strappargli la rivelazione."

"Ah non, signor conte!" Pierre si era fatto avanti nell'emicicló con le iridi dilatate. "Per due giorni avete parlato con lui, senza prevenirci, ed egli non ha visto niente, non ha detto niente, non ha udito niente, come le tre scimmiette. Che cosa volete chiedergli in più, questa notte? No, qui, qui davanti a tutti!"

"Si calmi caro Pierre. Ho fatto condurre qui questa sera colei che ritengo la più squisita incarnazione della Sophia, legame mistico tra il mondo dell'errore o l'Ogdoade Superiore. Non mi chieda come e perché, ma con questa mediatrice l'uomo parlerà. Dillo a costoro, chi sei tu, Sophia?"

E Lorenza, sempre sonnambolica, quasi scandendo le parole a fatica: "Io sono... la prostituta e la santa."

"Ah buona questa," rise Pierre. "Abbiamo qui la crème de l'initiation e ricorriamo alle pute. No, l'uomo qui e subito, di fronte al Pendolo!"

"Non siamo puerili," disse Agliè. "Datemi un'ora di tempo. Perché credete che parlerebbe qui, di fronte al Pendolo?"

"Egli andrà parlare nel dissolversi. Le sacrifice humain!" gridò Pierre alla navata.

E la navata, a gran voce: "Le sacrifice humain!"

Si avanzò Salon: "Conte, puerilità a parte, il fratello ha ragione. Non siamo dei poliziotti..."

"Non dovrebbe dirlo lei," motteggiò Agliè.

"Non siamo dei poliziotti e non riteniamo dignitoso procedere coi mezzi d'indagine consueti. Ma non credo neppure che possano valere i sacrifici alle forze del sottosuolo. Se esse avessero voluto darci un segno, lo avrebbero fatto da tempo. Oltre al prigioniero qualcun altro sapeva, tranne che è scomparso. Ebbene, questa sera abbiamo la possibilità di mettere a confronto con il prigioniero coloro che sapevano e..." fece un sorriso, fissando Agliè con gli occhi socchiusi sotto le sopracciglia irsute, "di metterli anche a confronto con noi, o con alcuni di noi..."

"Cosa intende dire, Salon?" chiese Agliè, con voce certamente insicura.

"Se il signór conte permette, vorrei spiegarlo io," disse Madame 0lcott. Era lei, la riconoscevo dal manifesto. Livida in una veste olivastra, i capelli lucidi di oli, raccolti sulla nuca, la voce di un uomo rauco. Mi pareva, nella libreria Sloane, di conoscere quel viso, e ora ricordavo: era la druidessa che ci era corsa quasi incontro nella radura, quella notte. "Alex, Denys, portate qui il prigioniero."

Aveva parlato in modo imperioso, il brusio della navata sembrava esserle favorevole, i due giganti avevano ubbidito affidando Lorenza a due Freaks Mignons, Agliè aveva le mani contratte sui braccioli dello scranno e non aveva osato opporsi.

Madame Olcott aveva fatto segno ai suoi mostriciattoli, e fra la statua di Pascal e l'Obéissant erano state poste tre poltroncine, sulle quali essa ora stava facendo accomodare tre individui. Tutti e tre scuri di carnagione, piccoli di statura, nervosi, con grandi occhi bianchi. "I gemelli Fox, li conoscete bene, conte. Theo, Leo, Geo, sedete, e preparatevi."

In quel momento riapparvero i giganti di Avalon tenendo per le braccia proprio Jacopo Belbo, che ai due arrivava a malapena alle spalle. Il mio povero amico era terreo, con la barba di molti giorni, aveva le mani legate dietro la schiena e una camicia aperta sul petto. Entrando in quel-l'agone fumoso sbatté gli occhi. Non sembrò stupirsi per l'accolta di gerofanti che si vedeva di fronte, in quegli ultimi giorni doveva essersi abituato ad attendersi di tutto.

Non si attendeva però di vedere il Pendolo, non in quella posizione. Ma i giganti lo trascinarono davanti allo scranno di Agliè. Del Pendolo ormai udiva solo il lievissimo stormire che faceva sfiorandolo alle spalle.

Un solo istante si voltò, e vide Lorenza. Si emozionò, fece per chiamarla, cercò di divincolarsi ma Lorenza, che pure lo fissava atona, parve non riconoscerlo.

Belbo stava certamente per domandare ad Agliè che cosa le avevano fatto, ma non ne ebbe il tempo. Dal fondo della navata, verso la zona della cassa e dei banchi dei libri, si udì un rullo di tamburi, e alcune note stridenti di flauti. Di colpo le portiere di quattro automobili si aprirono e ne uscirono quattro esseri che già avevo visto, anch'essi, sul manifesto del Petit Cirque.

Un cappello di feltro senza tesa, come un fez, ampi mantelli neri chiusi sino al collo, Les Derviches Hurleurs uscirono dalle automobili come risorti che sorgessero dal sepolcro e si accovacciarono ai bordi del cerchio magico. Sul fondo í flauti modulavano ora una musica dolce, mentre essi con uguale dolcezza battevano le mani sul suolo e chinavano la testa.

Dalla carlinga dell'aeroplano di Breguet, come il muezzin dal minareto, si sporse un quinto dei loro, che iniziò a salmodiare in una lingua ignota, gemendo, lamentandosi, con toni striduli, mentre riprendevano i tamburi, crescendo d'intensità.

Madame Olcott si era chinata dietro ai fratelli Fox e sussurrava loro frasi di incoraggiamento. I tre si erano abbandonati sulle poltrone, le mani strette ai braccioli, con gli occhi chiusi, iniziando a traspirare e agitando tutti i muscoli del viso.

Madame Olcott si rivolgeva all'assemblea dei dignitari. "Ora i miei bravi fratellini porteranno tra noi tre persone che sapevano." Fece una pausa, poi annunciò: "Edward Kelley, Heinrich Khunrath e..." altra pausa, "il conte di San Germano."

Per la prima volta vidi Agliè perdere íl controllo. Si levò dallo scranno, e commise un errore. Poi si lanciò verso la donna – evitando quasi per caso la traiettoria del Pendolo – gridando: "Vipera, bugiarda, sai benissimo che non può essere..." Poi alla navata: "Impostura, impostura! Fermatela!"

Ma nessuno si mosse, anzi, Pierre andò a prendere posto sullo scranno e disse: "Proseguiamo, madame."

Agliè si calmò. Riprese il suo sangue freddo, e si fece da parte, confondendosi tra gli astanti. "Avanti," sfidò, "proviamo, allora."

Madame Olcott mosse il braccio come per dare il via a una corsa. La musica assunse toni sempre più acuti, si frantumò in una cacofonia di dissonanze, i tamburi rullarono aritmici, i danzatori, che già avevano iniziato a muovere il busto avanti e indietro, a destra e a sinistra, si erano alzati, buttando í mantelli e tendendo le braccia rigide, come se stessero per prendere il volo. Dopo un attimo di immobilità avevano preso a vorticare su se stessi, usando il piede sinistro come perno, ti volto levato in alto, concentrati e perduti, mentre la loro giubba plissettata accompagnava le loro piroette allargandosi a campana, e sembravano fiori battuti da un uragano.

Nel contempo i medium si erano come rattrappiti, il volto teso e sfigurato, sembrava che volessero defecare senza riuscirci, respiravano rauchi. La luce del braciere si era attenuata, e gli accoliti di Madame Olcott avevano spento tutte le lanterne poste a terra. La chiesa era solo illuminata dal lucore delle lanterne della navata.

E a poco a poco si verificò il prodigio. Dalle labbra di Theo Fox iniziava a uscire come una spuma biancastra che a poco a poco si solidificava, e una spuma analoga, con un poco di ritardo, stava uscendo dalle labbra dei suoi fratelli.

"Forza fratellini," sussurrava insinuante Madame Olcott, "forza, fatevi forza, così, così..."

I danzatori cantavano, in modo rotto e isterico, facevano oscillare e poi dondolare la testa, le grida che lanciavano erano prima convulse, poi furono rantoli.

I medium parevano trasudare una sostanza dapprima gassosa, poi più consistente, era come una lava, un albume che si snodava lentamente, saliva e discendeva, strisciava loro sulle spalle, sul petto, sulle gambe, con movimenti sinuosi che ricordavano quelli di un rettile. Non capivo più se gli uscisse dai pori della pelle, dalla bocca, dalle orecchie, dagli occhi. La folla premeva in avanti, spingendosi sempre più contro i medium, verso i danzatori. Io avevo perduto ogni paura: sicuro di confondermi tra tutti coloro, ero uscito dalla garitta, esponendomi ancor più ai vapori che si spandevano sotto le volte.

Intorno ai medium aleggiava una luminescenza dai contorni lattiginosi e imprecisi. La sostanza stava per scorporarsi da essi e assumeva forme ameboidi. Dalla massa che proveniva da uno dei fratelli si era staccata una specie di punta, che si incurvava e risaliva sul suo corpo, quasi fosse un animale che volesse colpire col becco. Al sommo della punta stavano per formarsi due escrescenze retrattili, come le corna di un lumacone...

I danzatori avevano gli occhi chiusi, la bocca piena di schiuma, senza cessare il movimento di rotazione intorno a se stessi avevano iniziato in circolo, per quanto lo spazio poteva permettergli, un movimento di rivoluzione intorno al Pendolo, miracolosamente riuscendo a muoversi senza incrociarne la traiettoria. Sempre più vorticando, avevano gettato il loro berretto, lasciando fluttuare lunghi capelli neri, le teste che sembravano volar via dal collo. Gridavano, come quella sera a Rio, houu houu houuuuu...

Le forme bianche si definivano, una di esse aveva assunto una vaga sembianza uman'a, l'altra era ancora un fallo, un'ampolla, un alambicco, e la terza stava assumendo chiaramente l'aspetto di un uccello, di una civetta dai grandi occhiali e dalle orecchie ritte, íl becco adunco di vecchia professoressa di scienze naturali.

Madame Olcott interrogava la prima forma: "Kelley, sei tu?" E dalla forma uscì una voce. Non era certamente Theo Fox a parlare, era una voce lontana, che sillabava a fatica: "Now... I do reveale, a... a mighty Secret if you marke it well..."

"Sì, sì," insisteva la Olcott. E la voce: "This very place is call'd by many names... Earth... Earth is the lowest element of All... When thrice yee bave turned this Wheele about... thus my greate Secret I have revealed..."

Theo Fox fece un gesto con la mano, come a chieder grazia. "Rilassati un poco soltanto, mantieni la cosa..." gli disse Madame Olcott. Poi si rivolse alla forma della civetta: "Ti riconosco Khunrath, che cosa ci vuoi dire?"

La civetta parve parlare: "Hallelu...Iàah... Hallelu... Iaàh... Was..."

"Was?"

"Was helfen Fackeln Licht... oder Briln... so die Leut... nicht sehen... wollen..."

"Noi vogliamo," diceva Madame Olcott, "dicci quello che sai..."

"Symbolon kósmou... tà àntra... kaì tàn enkosmiòn... dunàmeòn erithento... oi theològoi..."

Anche Leo Fox era allo stremo, la voce della civetta si era affievolita verso la fine. Leo aveva reclinato il capo, e sosteneva la forma a fatica. Implacabile Madame Olcott lo incitava a resistere e si rivolgeva all'ultima forma, che ora aveva assunto fattezze antropomorfe anch'essa. "Saint-Germain, Saint-Germain, sei tu? Che cosa sai?"

E la forma si era messa a solfeggiare una melodia. Madame Olcott aveva imposto ai musicanti di attenuare il loro frastuono, mentre i danzatori non ululavano più ma continuavano a piroettare sempre più spossati.

La forma cantava: "Gentle love this hour befriends me..."

"Sei tu, ti riconosco," diceva invitante Madame Olcott. "Parla, dicci dove, cosa..."

E la forma: "Il était nuit... La téte couverte du volle de lin.... j'arrive.. je trouve un autel de fer, j'y place le rameau mystérieux... Oh, je crus descendre dans un abime... des galeries composées de quartiers de pietre noire... mon voyage souterrain..."

"È falso, è falso," gridava Agliè, "fratelli, conoscete tutti questo testo, è la Très Sainte Trinosophie, l'ho ben scritta io, chiunque può leggerla per sessanta franchi!" Era corso verso Geo Fox e stava scuotendolo per il braccio.

"Ferma impostore," gridò Madame Olcott, "lo uccidi!"

"E quando fosse!" gridò Agliè rovesciando il medium dalla sedia.

Geo Fox cercò di sostenersi afferrandosi alla sua stessa secrezione che, trascinata in quella caduta, si dissolse sbavando verso terra. Geo si accasciò nella gora vischiosa che stava continuando a vomitare, quindi si irrigidì senza vita.

"Fermati pazzo," gridava Madame Olcott, afferrando Agliè. E poi agli altri due fratelli: "Resistete piccoli miei, essi debbono parlare ancora. Khunrath. Khunrath, digli che siete veri!"

Leo Fox, per sopravvivere, stava tentando di riassorbire la civetta. Madame Olcott gli si era posta alle spalle e gli stringeva le tempie, per piegarlo alla sua protervia. La civetta si accorse che stava per scomparire e si rivoltò verso il suo stesso partoriente: "Phy, Phy Diabolo," sibilava, cercando di beccargli gli occhi. Leo Fox emise un gorgoglio come se gli avessero reciso la carotide e cadde in ginocchio. La civetta scomparve in una melma ributtante (phiii, phiii, faceva), e in essa cadde a soffocare il medium, rimanendovi infagottato e immobile. La Olcott furente si era rivolta a Theo, che stava resistedo bravamente: "Parla Kelley, mi senti?"

Kelley non parlava più. Tendeva a scorporarsi dal medium, che ora urlava come se gli strappassero le viscere e cercava di riprendersi ciò che aveva prodotto, battendo le mani nel vuoto. "Kelley, orecchie mozze, non barare ancora una volta," gridava la Olcott. Ma Kelley, non riuscendo a separarsi dal medium, cercava di soffocarlo. Era diventato come un chewing-gum da cui l'ultimo fratello Fox tentava invano di districarsi. Poi anche Theo cadde sulle ginocchia, tossiva, si stava confondendo con la cosa parassita che lo divorava, rotolò per terra dimenandosi come se fosse avvolto dalle fiamme. Ciò che era stato Kelley lo ricoprì dapprima come un sudario, poi morì liquefacendosi e lo lasciò svuotato al suolo, la metà di se stesso, la mummia di un bambino imbalsamato da Salon. In quello stesso momento i quattro danzatori si arrestarono all'unisono, agitarono le braccia in aria, per pochi secondi furono annegati che stavano colando a picco, quindi si accasciarono guaendo come cuccioli e coprendosi la testa con le mani.

Agliè intanto si era riportato nell'ambulacro, tergendosi il sudore dalla fronte, con il fazzolettino che gli ornava il taschino della giacca. Inspirò due volte, e si portò alla bocca una pasticca bianca. Poi impose silenzio.

"Fratelli, cavalieri. Avete visto a quali miserie questa donna ha voluto sottoporci. Ricomponiamoci e torniamo al mio progetto. Datemi un'ora per condurre di là il prigioniero."

Madame Olcott era fuori gioco, china sui suoi medium, in un dolore quasi umano. Ma Pierre, che aveva seguito la vicenda sempre seduto sullo scranno, riprese il controllo della situazione. "Non," disse, "non c'è che un mezzo. Le sacrifice humain! Il prisoniero a me!"

Magnetizzati dalla sua energia i giganti di Avalon avevano afferrato Belbo, che aveva seguito attonito la scena, e lo avevano sospinto davanti a Pietre. Costui, con l'agilità di un giocoliere, si era alzato, aveva messo lo scranno sul tavolo e aveva spinto entrambi al centro del coro, quindi aveva afferrato il filo del Pendolo al passaggio e aveva arrestato la sfera, arretrando per il contraccolpo. Fu un attimo: come seguendo un piano — e forse durante la confusione c'era stato un accordo — i giganti erano saliti su quel podio, avevano issato Belbo sullo scranno e uno di essi aveva avvolto intorno a1 suo collo, due volte, il filo del Pendolo, mentre il secondo teneva sospesa la sfera, appoggiandola poi sul bordo del tavolo.


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 33 | Нарушение авторских прав



mybiblioteka.su - 2015-2024 год. (0.023 сек.)