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Il pendolo di Foucault 37 страница

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Agliè non pareva adontarsi di queste nostre ritrosie. Ci salutava con molta grazia e si eclissava. Con una grazia che rasentava ormai l'alterigia.

Un lunedì mattina ero arrivato tardi in ufficio, e Belbo impaziente mi aveva invitato da lui, chiamando anche Diotallevi. "Grandi novità," aveva detto. Stava per iniziare a parlare quando era arrivata Lorenza. Belbo era diviso tra la gioia per quella visita e l'impazienza di dirci le sue scoperte. Subito dopo avevamo udito bussare e si era affacciato Agliè: "Non li voglio importunare, prego, stiano comodi. Non ho il potere di turbare tanto concistoro. Avverto solo la carissima Lorenza che sono di là dal signor Garamond. E spero di avere almeno il potere di convocarla per uno sherry a mezzogiorno, nel mio ufficio."

Nel suo ufficio. Quella volta Belbo aveva perso il controllo. Almeno, come poteva perdere íl controllo lui. Aveva atteso che Agliè fosse uscito e aveva detto tra i denti: "Ma gavte la nata."

Lorenza, che stava ancora facendo gesti complici di allegrezza, gli aveva chiesto che cosa volesse dire.

"è torinese. Significa levati il tappo, ovvero, se preferisci, voglia ella levarsi il tappo. In presenza di persona altezzosa e impettita, la si suppone enfiata dalla propria immodestia, e parimenti si suppone che tale smodata autoconsiderazione tenga in vita il corpo dilatato solo in virtù di un tappo che, infilato nello sfintere, impedisca che tutta quella aerostatica dignità si dissolva, talché, invitando il soggetto a togliersi esso turacciolo, lo si condanna a perseguire il proprio irreversibile afflosciamento, non di rado accompagnato da sibilo acutissimo e riduzione del superstite involucro esterno a povera cosa, scarna immagine ed esangue fantasma della prisca maestà."

"Non ti credevo così volgare."

"Adesso lo sai."

Lorenza era uscita, fingendo irritazione. Sapevo che Belbo ne soffriva ancor più: una rabbia vera lo avrebbe pacificato, ma un malumore messo in scena lo induceva a pensare che teatrali, in Lorenza, fossero anche le parvenze di passione, sempre.

E fu per questo, credo, che con determinazione disse subito: "Andiamo avanti." E voleva dire procediamo col Piano, lavoriamo sul serio.

"Non ne ho voglia," aveva detto Diotallevi. "Non mi sento bene. Ho male qui," e si toccava lo stomaco, "credo sia gastrite."

"Figurati," gli aveva detto Belbo, "non ho la gastrite io... Cosa ti ha fatto venire la gastrite, l'acqua minerale?"

"Potrebbe essere," aveva sorriso Díotallevi, tirato. "Ieri sera ho ecceduto. Sono abituato alla Fiuggi e ho bevuto della San Pellegrino."

"Allora devi stare attento, questi eccessi potrebbero ucciderti. Ma andiamo avanti, perché è due giorni che muoio dalla voglia di raccontarvi. Finalmente so perché da secoli i trentasei invisibili non riescono a determinare la forma della mappa. John Dee si era sbagliato, la geografia è da rifare. Noi viviamo all'interno di una terra cava, avvolti dalla superficie terrestre. E Hitler lo aveva capito."
99

Il nazismo fu il momento in cui lo spirito di magia si impadronì delle leve del progresso materiale. Lenin diceva che il comunismo è il socialismo più l'elettricità. In un certo senso, l'hitlerismo era íl guenonismo più le divisioni blindate.

 

(Pauwels e Bergier, Le matin des magiciens, Paris, Gallimard, 1960, 2, vu)

 

Belbo era riuscito a collocare anche Hitler nel piano. "Tutto scritto, carta canta. è provato che i fondatori del nazismo erano legati al neotemplarismo teutonico."

"Non ci piove."

"Non sto inventando, Casaubon, una volta tanto non sto inventando!"

"Calma, quando mai abbiamo inventato? Siamo sempre partiti da dati oggettivi, in ogni caso notizie di pubblico dominio."

"Anche questa volta. Nel 1912 nasce un Germanenorden che propugna una ariosofia, ovvero una filosofia della superiorità ariana. Nel 1918 un certo barone von Sebottendorff ne fonda una filiazione, la Thule Gesellschaft, una società segreta, un'ennesima variazione della Stretta Osservanza Templare, ma con forti venature razzistiche, pangermanistiche, neo-ariane. E nel '33 questo Sebottendorff scriverà di aver seminato quello che Hitler ha poi fatto crescere. E d'altra parte è nell'ambiente della Thule Gesellschaft che appare la croce uncinata. E chi appartiene subito alla Thule? Rudolf Hess, l'anima dannata di Hitler! E poi Rosenberg! E Hitler stesso! Oltretutto lo avrete letto sui giornali, Hess nel suo carcere a Spandau ancora oggi si occupa di scienze esoteriche. Von Sebottendorff nel '24 scrive un libello sull'alchimia, e osserva che i primi esperimenti di fissione atomica dimostrano le verità della Grande Opera. E scrive un romanzo sui Rosa-Croce! Inoltre dirigerà una rivista astrologica, 1'Astrologische Rundschau, e Trevor-Roper ha scritto che i gerarchi nazisti, Hitler in testa, non si muovevano prima di essersi fatti fare un oroscopo. Nel 1943, pare che sia stato consultato un gruppo di sensitivi per scoprire dov'era tenuto prigioniero Mussolini. Insomma, tutto il gruppo dirigente nazista è connesso al neo-occultismo teutonico."

Belbo sembrava aver dimenticato l'incidente con Lorenza, e io lo assecondavo, dando colpi di acceleratore alla ricostruzione: "In fondo possiamo considerare sotto questa luce anche il potere di Hitler come trascinatore di folle. Fisicamente era un ranocchio, aveva la voce stridula, come faceva a far impazzire la gente? Doveva possedere facoltà medianiche. Probabilmente, istruito da qualche druida delle sue parti, sapeva mettersi in contatto con le correnti sotterranee. Anche lui uno spinotto, un menhir biologico. Trasmetteva l'energia delle correnti ai fedeli dello stadio di Norimberga. Per un po' deve essergli riuscito, poi gli si son consumate le batterie."
100

A tutto il mondo: io dichiaro che la terra è vuota e abitabile all'interno, che essa contiene un certo numero di sfere solide, concentriche, cioè poste l'una dentro l'altra, e che è aperta ai due poli per una estensione di dodici o sedici gradi.

 

(J. Cleves Symmes, capitano di fanteria, 10 aprile 1818; cit. in Sprague de Camp e Ley, Lands Beyond, New York, Rinehart, 1952, X)

 

"Mi compiaccio, Casaubon, nella sua innocenza ha avuto un'intuizione esatta. La vera, unica ossessione di Hitler erano le correnti sotterranee. Hitler aderiva alla teoria della terra cava, la Hohlweltlehre."

"Ragazzi, io me ne vado, ho la gastrite," diceva Diotallevi.

"Aspetta, che adesso viene il bello. La terra è vuota: noi non abitiamo fuori, sulla crosta esterna, convessa, ma dentro, nella superficie concava interna. Quello che noi crediamo il cielo è una massa di gas con delle zone di luce brillante, gas che riempie l'interno del globo. Tutte le misure astronomiche vanno riviste. Il cielo non è infinito, è circoscritto. Il sole, se pure esiste, non è più grande di quello che appare. Un bruscolino di trenta centimetri di diametro al centro della terra. Lo avevano già sospettato i greci."

"Questa te la sei inventata tu," disse stancamente Diotallevi.

"Questa me la sono inventata io proprio no! L'idea l'aveva già tirata fuori ai primi dell'Ottocento, in America, un certo Symmes. Poi la riprende a fine secolo un altro americano, un certo Teed, che si appoggia su esperimenti alchemici e sulla lettura di Isaia. E dopo la prima guerra mondiale la teoria viene perfezionata da un tedesco, come si chiama, che fonda addirittura il movimento della Hohlweltlehre che come dice la parola stessa è la teoria della terra vuota. Ora Hitler e i suoi trovano che la teoria della terra vuota corrisponde esattamente ai loro principi, e addirittura — si dice — sbagliano alcuni tiri con le V1 proprio perché calcolano le traiettoria partendo dall'ipotesi di una superficie concava e non convessa. Hitler si è ormai convinto che il Re del Mondo é lui, e che lo stato maggiore nazista sono i Superiori Sconosciuti. E dove abita il Re del Mondo? Dentro, sotto, non fuori. E partendo da questa ipotesi che Hitler decide di rovesciare tutto l'ordine delle ricerche, la concezione della mappa finale, il modo di interpretare il Pendolo! Occorre ricompattare i sei gruppi e rifare tutti i conti da capo. Pensate alla logica della conquista hitleriana... Prima rivendicazione, Danzica, per aver sotto il suo potere i luoghi classici del gruppo teutonico. Poi conquista Parigi, mette il Pendolo e la Tour Eiffel sotto controllo, contatta i gruppi sinarchici e li inserisce nel governo di Vichy. Quindi si assicura la neutralità, e in effetti la complicità del gruppo portoghese. Quarto obiettivo, è ovvio, l'Inghilterra, ma sappiamo che non è facile. Nel frattempo, con le campagne d'Africa cerca di raggiungere la Palestina, ma anche in quel caso non gli riesce. Allora punta alla sottomissione dei territori pauliciani, invadendo i Balcani e la Russia. Quando presume di avere tra le mani i quattro sesti del Piano, manda Hess in missione segreta in Inghilterra per proporre un'alleanza. Siccome i baconiani non abboccano, ha un'intuizione: coloro che hanno in mano la parte più importante del segreto non possono essere che i nemici di sempre, gli ebrei. E non è necessario cercarli a Gerusalemme, dove sono rimasti in pochi. Il frammento di messaggio del grupppo gerosolimitano non si trova affatto in Palestina, ma nelle mani di qualche gruppo della diaspora. Ed ecco spiegato l'Olocausto."

"In che senso?"

"Ma pensateci un istante. Immaginate di voler commettere un genocidio..."

"Ti prego," disse Diotallevi, "adesso esageriamo, ho male allo stomaco, io vado."

"Aspetta, perdio, quando i Templari sbudellavano i saraceni ti divertivi, perché era passato tanto tempo, e ora fai del moralismo da piccolo intellettuale. Qui stiamo cercando di rifare la Storia, nulla ci deve fare paura."

Lo lasciammo continuare, soggiogati dalla sua energia.

"Quello che colpisce nel genocidio degli ebrei è la lunghezza dei procedimenti, prima vengono tenuti nei campi a far la fame, poi li si spoglia nudi, poi le docce, poi la conservazione meticolosa di montagne di cadaveri, e l'archiviazione dei vestiti, il censimento dei beni personali... Non era un procedimento razionale, se si trattava solo di uccidere. Diventava razionale se si fosse trattato di cercare, cercare un messaggio che uno di quei milioni di persone, il rappresentante gerosolimitano dei Trentasei Invisibili, conservava, nelle pieghe dell'abito, in bocca, tatuato sulla pelle... Solo il Piano spiega la inspiegabile burocrazia del genocidio! Hitler cerca addosso agli ebrei il suggerimento, l'idea che gli permetta di determinare, grazie al Pendolo, il punto esatto in cui, sotto la volta concava che la terra cava provvede a se stessa, si intersecano le correnti sotterranee — che a questo punto, badate alla perfezione della concezione, si identificano con le correnti celesti, per cui la teoria della terra cava materializza, per così dire, l'intuizione ermetica millenaria: ciò che sta sotto è eguale a ciò che sta sopra! Il Polo Mistico coincide col Cuore della Terra, il disegno segreto degli astri altro non è che il disegno segreto dei sotterranei di Agarttha, non c'è più differenza tra cielo e inferno, e il Graal, il lapis exillis, è il lapis ex coelis nel senso che è la Pietra Filosofale che nasce come avvolgimento, termine, limite, utero ctonio dei cieli! E quando Hitler avrà identificato quel punto, al centro cavo della terra che è il centro perfetto del cielo, sarà il padrone del mondo di cui è Re per diritto di razza. Ed ecco perché sino all'ultimo, dall'abisso del suo bunker, egli pensa di poter determinare ancora il Polo Mistico."

"Basta," aveva detto Diotallevi. "Ora sto male davvero. Mi fa male."

"Sta male davvero, non è una polemica ideologica," dissi.

Belbo parve capire solo allora. Si alzò sollecito e andò a sostenere l'amico che si appoggiava al tavolo, e sembrava sul punto di svenire. "Scusa, caro, mi stavo lasciando trascinare. Davvero non è che ti senti male perché ho detto quelle cose? È vent'anni che scherziamo insieme, no? Ma tu stai male sul serio, davvero forse è gastrite. Guarda che in tal caso basta una pastiglia di Merankol. E una borsa d'acqua calda. Dai, ti accompagno a casa, poi però è meglio se chiami un dottore, meglio avere un controllo."

Diotallevi disse che poteva andare a casa da solo in tassì, che non era ancora moribondo. Doveva sdraiarsi. Avrebbe subito chiamato un medico, promesso. E che non era la storia di Belbo che lo aveva scosso, stava già male dalla sera prima. Belbo parve sollevato e lo accompagnò al tassì.

Tornò preoccupato: "Pensandoci adesso, da qualche settimana quel ragazzo ha una brutta cera. Ha delle occhiaie... Ma santa pazienza, io dovrei essere morto di cirrosi da dieci anni ed eccomi qui, e lui che vive come un asceta ha la gastrite, e magari peggio, secondo me è un'ulcera. Al diavolo il Piano. Stiamo facendo tutti una vita da pazzi."

"Ma io dico che con una pastiglia di Merankol gli passa," dissi.

"Lo dico anch'io. Però se si mette una borsa d'acqua calda è meglio. Speriamo che faccia giudizio."
101

Qui operatur in Cabala... si errabit in opere aut non purificatus accesserit, deuorabitur ab Azazale.

 

(Pico della Mirandola, Conclusiones Magicae)

 

La crisi di Diotallevi era avvenuta a fine novembre. Lo attendevamo in ufficio il giorno dopo e ci aveva telefonato dicendo che si faceva ricoverare. Il medico aveva detto che i sintomi non erano preoccupanti, ma era meglio fare degli esami.

Belbo e io stavamo associando la sua malattia al Piano, che forse avevamo portato troppo avanti. Con mezze parole ci dicevamo che era irragionevole, ma ci sentivamo colpevoli. Era la seconda volta che mi sentivo complice di Belbo: una volta avevamo taciuto insieme (a De Angelis), questa volta — insieme — avevamo parlato troppo. Era irragionevole sentirsi colpevoli — allora ne eravamo convinti — ma non potevamo evitare il disagio. E così smettemmo per un mese e più di parlare del Piano.

Dopo due settimane Diotallevi era riapparso e con tono disinvolto ci aveva detto che aveva chiesto a Garamond un periodo di malattia. Gli avevano consigliato una cura, sulla quale non si era dilungato troppo, che lo obbligava a presentarsi in clinica ogni due o tre giorni, e che lo avrebbe un poco debilitato. Non so quanto potesse debilitarsi ancora: ora aveva la faccia dello stesso colore dei capelli. "E smettetela con quelle storie," aveva detto, "fanno male alla salute, come vedete. È la vendetta dei Rosa-Croce."

"Non ti preoccupare," gli aveva detto Belbo sorridendo, "noi ai Rosa-Croce gli facciamo un sedere così, e ti lasciano in pace. Basta un gesto." E aveva schioccato le dita.

La cura era durata sino all'inizio dell'anno nuovo. Io mi ero immerso nella storia della magia — quella vera, quella seria, mi dicevo, non la nostra. Garamond capitava dalle nostre parti almeno una volta al giorno per chiedere notizie di Diotallevi. "E mi raccomando signori, avvertitemi di ogni esigenza, voglio dire, di ogni problema che sorga, di ogni circostanza in cui io, l'azienda, possiamo fare qualcosa per il nostro valoroso amico. Per me è come un figlio, dirò di più, un fratello. In ogni caso siamo in un paese civile, grazie al cielo, e checché se ne dica godiamo di un'eccellente assistenza mutualistica."

Agliè si era mostrato sollecito, aveva chiesto il nome della clinica e aveva telefonato al direttore, suo carissimo amico (oltretutto, aveva detto, fratello di un APS con cui era ormai in rapporti cordialissimi). Diotallevi sarebbe stato trattato con particolari riguardi.

Lorenza si era commossa. Passava alla Garamond quasi ogni giorno, per domandar notizie. Questo avrebbe dovuto rendere Belbo felice, ma ne aveva tratto motivo per una diagnosi fosca. Così presente, Lorenza gli sfuggiva perché non veniva per lui.

Poco prima di Natale avevo sorpreso un frammento di conversazione. Lorenza gli diceva: "Ti assicuro, una neve magnifica e hanno delle camerette deliziose. Tu puoi fare del fondo. Sì?" Ne avevo tratto la conclusione che avrebbero trascorso il Capodanno insieme. Ma dopo l'Epifania, un giorno Lorenza era apparsa in corridoio e Belbo le aveva detto: "Buon anno," sottraendosi al suo tentativo di abbraccio.
102

De qui partendone venemmo in una contrada chiamata Milestre... nel quale dice che solea stare uno che se chiama el Vecchio de la Montagna... E havìa facto sopra altissimi monti, che circhiava intorno una valle, un muro grossissimo et alto, et gyrava intorno ma miglia, et andavase per doi porte dentro et erano occulte, forate nel monte.

 

(Odorico da Pordenone, De rebus incognitis, Impressus Esauri, 1513, c. 21, p. 15)

 

Un giorno, alla fine di gennaio, passavo per via Marchese Gualdi, dove avevo parcheggiato la macchina, e avevo visto uscire Salon dalla Manuzio. "Una chiacchierata con l'amico Agliè..." mi aveva detto. Amico? Per quanto ricordassi dalla festa in Piemonte, Agliè non lo amava. Era Salon che ficcava il naso alla Manuzio o Agliè che lo stava usando per chissà quale contatto?

Non mi aveva dato tempo di rifletterci sopra perché mi aveva proposto un aperitivo, ed eravamo finiti da Pilade. Non l'avevo mai visto da quelle parti, ma aveva salutato il vecchio Pilade come se si conoscessero da gran tempo. Ci eravamo seduti, mi aveva domandato come andasse la mia storia della magia. Sapeva anche quello. Lo avevo provocato sulla terra cava, e su quel Sebottendorff citato da Belbo.

Aveva riso. "Ah, certo che di matti da voi ne vengono parecchi! Su questa storia della terra cava non ne so niente. Quanto a Von Sebottendorff, eh, quello era un tipo strano... Ha rischiato di mettere in testa a Himmler e compagnia delle idee suicide per il popolo tedesco."

"Quali idee?"

"Fantasie orientali. Quell'uomo si guardava dagli ebrei e cadeva in adorazione degli arabi e dei turchi. Ma lo sa che sullo scrittoio di Himmler, oltre a Mein Kampf c'era sempre il Corano? Sebottendorff in gioventù si era invaghito di non so quale setta iniziatica turca, e aveva iniziato a studiare la gnosi islamica. Lui diceva `Führer', ma pensava al Veglio della Montagna. E quando tutti insieme hanno fondato le SS, pensavano a un'organizzazione simile a quella degli Assassini... Si chieda perché nella prima guerra mondiale Germania e Turchia sono alleate..."

"Ma lei come sa queste cose?"

"Le ho detto, credo, che il povero papà lavorava per 1'Ochrana russa. Bene, ricordo che a quei tempi la polizia zarista si era preoccupata degli Assassini, credo che la prima intuizione l'avesse avuta Rackovskij... Poi avevano abbandonato la pista, perché se c'entravano gli Assassini non c'entravano più gli ebrei, e il pericolo allora erano gli ebrei. Come sempre. Gli ebrei sono tornati in Palestina e hanno costretto quegli altri a uscire dalle caverne. Ma quella di cui parlavamo è una storia confusa, finiamola qui."

Sembrava pentito di aver detto troppo, e si era accomiatato in fretta. Ed era accaduto qualche cosa d'altro. Dopo tutto quello che è successo, ora sono convinto di non aver sognato, ma quel giorno avevo creduto di avere qualche allucinazione, perché accompagnando Salon con gli occhi mentre usciva dal bar, mi era parso di vederlo incontrare, sull'angolo, un individuo con la faccia orientale.

In ogni caso Salon mi aveva detto abbastanza per rimettere in orgasmo la mia immaginazione. Veglio della Montagna e Assassini non erano per me degli sconosciuti: ne avevo accennato nella tesi, i Templari erano stati accusati di aver collusioni anche con loro. Come avevamo potuto dimenticarcene?

Fu così che ricominciai a far lavorare la mente, e soprattutto i polpastrelli, sfogliando vecchie schede, ed ebbi un'idea così folgorante che non riuscii a trattenermi.

 

Piombai una mattina nello studio di Belbo: "Avevano sbagliato tutto: Abbiamo sbagliato tutto."

"Calma Casaubon, chi? Oh, mio dio, il Piano." Ebbe un momento di esitazione. "Sa che ci sono cattive notizie di Diotallevi? Lui non parla, ho telefonato alla clinica e non hanno voluto dirmi nulla di preciso perché non sono un parente – lui non ha parenti, chi si occupa di lui allora? Non mi è piaciuta la loro reticenza. Qualcosa di benigno, dicono, ma la terapia non è stata sufficiente, sarà meglio che si ricoveri in modo definitivo per un mesetto, e forse vale la pena di tentare un interventino chirurgico... Insomma, quella gente non me la dice tutta e la storia mi piace sempre meno."

Non seppi cosa rispondere, mi misi a sfogliare qualcosa per far dimenticare la mia entrata trionfale. Ma fu Belbo a non resistere. Era come un giocatore a cui avessero fatto vedere di colpo un mazzo di carte. "Al diavolo," disse. "La vita purtroppo continua. Mi dica."

"Hanno sbagliato tutto. Abbiamo sbagliato tutto, o quasi. Allora: Hitler fa quello che fa con gli ebrei, ma non ci cava un ragno dal buco. Gli occultisti di mezzo mondo, per secoli e secoli si danno a imparar l'ebraico, scabaleggiano da tutte le parti, e al massimo ci tiran fuori l'oroscopo. Perché?"

"Mah... Ma perché il frammento dei gerosolimitani è ancora nascosto da qualche parte. D'altra parte è mica venuto fuori il frammento dei pauliciani, per quel che ne sappiamo..."

"Questa è una risposta da Agliè, non da noi. Ho di meglio. Gli ebrei non c'entrano."

"In che senso?"

"Gli ebrei non c'entrano col Piano. Non possono entrarci. Cerchiamo di immaginare la situazione dei Templari, a Gerusalemme prima, e nelle capitanerie d'Europa poi. I cavalieri francesi si incontrano coi tedeschi, con i portoghesi, con gli spagnoli, con gli italiani, con gli inglesi, tutti insieme hanno rapporti con l'area bizantina, e soprattutto si misurano con l'avversario, il turco. Un avversario con cui ci si batte ma con cui anche si tratta, lo abbiamo visto. Quelle erano le forze in campo, e i rapporti avvenivano tra gentiluomini di pari rango. Chi erano gli ebrei a quel tempo in Palestina? Una minoranza religiosa e razziale, tollerata, rispettata dagli arabi che li trattavano con benevola condiscendenza, e trattati malissimo dai cristiani, perché non dimentichiamo che nel corso delle varie crociate, strada facendo, si saccheggiavano i ghetti, e massacra che ti massacro. E noi pensiamo che i Templari, con tutta la puzza che avevano sotto il naso, stessero a scambiarsi informazioni mistiche con gli ebrei? Mai no. E nelle capitanerie d'Europa gli ebrei apparivano come usurai, gente mal vista, da sfruttare ma a cui non dare confidenza. Qui stiamo parlando di un rapporto tra cavalieri, stiamo costruendo il piano di una cavalleria spirituale, e abbiamo potuto immaginare che i Templari di Provins introducano nell'affare dei cittadini di seconda categoria? Mai no."

"Ma tutta la magia rinascimentale che si mette a studiare la Gabbala..."

"Per forza, siamo già vicini al terzo incontro, si morde il freno, si cercano delle scorciatoie, l'ebraico appare come lingua sacra e misteriosa, i cabalisti si sono dati da fare per conto proprio e per altri fini, e i trentasei sparsi per il mondo si mettono in testa che una lingua incomprensibile possa celare chissà quali segreti. Sarà Pico della Mirandola a dire che nulla nomina, ut significativa et in quantum nomina sunt, in magico opere virtutem babere non possunt, visi sint Hebraica. Ebbene? Pico della Mirandola era un cretino."

"Diciamolo!"

"E inoltre come italiano era escluso dal Piano. Che cosa ne sapeva lui? Peggio per i vari Agrippa, Reuchlin e compagnia brutta che si gettano su quella falsa pista. Sto ricostruendo la storia di una falsa pista, è chiaro? Noi ci siamo fatti influenzare da Diotallevi che cabaleggiava. Diotallevi cabaleggiava, e noi abbiamo inserito gli ebrei nel Piano. Ma se Diotallevi si fosse occupato di cultura cinese, avremmo messo nel Piano i cinesi?"

"Forse sì."

"Forse no. Ma non è il caso di strapparsi le vesti, siamo stati indotti in errore da tutti. L'errore lo hanno fatto tutti, da Postel in avanti, probabilmente. Si erano convinti, duecento anni dopo Provins, che il sesto gruppo fosse quello gerosolimitano. Non era vero."

"Ma scusi, Casaubon, siamo noi che abbiamo corretto l'interpretazione di Ardenti, e abbiamo detto che l'appuntamento sulla pietra non era a Stonehenge bensì sulla pietra della Moschea di Omar."

"E ci siamo sbagliati. Di pietre ce ne sono altre. Dovevamo pensare a un luogo fondato sulla pietra, sulla montagna, sul sasso, sullo sperone, sul dirupo... I sesti attendono nella fortezza di Alamut."
103

E apparve Kairos che teneva in mano uno scettro che significava la regalità, e lo diede al primo dio creato, e costui lo prese e disse: "Il tuo nome segreto sarà di 36 lettere."

 

(Hasan-i Sabbàh, Sargozast-i Sayyid-na)

 

Avevo eseguito il mio pezzo di bravura, ora dovevo delle spiegazioni. Le avevo provviste nei giorni a venire, lunghe, minuziose, documentate, mentre sui tavolini di Pilade mostravo a Belbo prove su prove, che egli seguiva con l'occhio sempre più annebbiato, accendendo le sigarette coi mozziconi, stendendo ogni cinque minuti il braccio in fuori, il bicchiere vuoto con una parvenza di ghiaccio sul fondo, e Pilade che si precipitava a rifornire, senza attendere altri comandi.

Le prime fonti erano proprio quelle in cui apparivano le prime narrazioni sui Templari, da Gerardo di Strasburgo a Joinville. I Templari erano entrati in contatto, talora in conflitto, più spesso in misteriosa alleanza, con gli Assassini del Veglio della Montagna.

La storia era naturalmente più complessa. Incominciava dopo la morte di Maometto, con la scissione tra i seguaci della legge ordinaria, i sunniti, e i sostenitori di All, il genero del Profeta, marito di Fatima, che si era visto sottrarre la successione. Erano gli entusiasti di All, che si riconoscevano nella shia, il gruppo degli adepti, che avevano dato vita all'ala eretica dell'Islam, gli sciiti. Una dottrina iniziatica, che vedeva la continuità della rivelazione non nella rimeditazione tradizionale delle parole del Profeta, ma nella persona stessa dell'Imam, signore, capo, epifania del divino, realtà teofanica, Re del Mondo.

Ora che cosa accadeva a quest'ala eretica dell'islamismo, che veniva via via infiltrata da tutte le dottrine esoteriche del bacino mediterraneo, dai manichei agli gnostici, dai neoplatonici alla mistica iranica, da tutte quelle suggestioni che avevamo da anni seguito nel corso del loro sviluppo occidentale? La storia era lunga, non riuscivamo a dipanarla, anche perché i vari autori e protagonisti arabi avevano nomi lunghissimi, í testi più seri li trascrivevano con i segni diacritici, e a tarda sera non riuscivamo più a distinguere fra Abú `Abdi'1-là Mubammad b. ibn Razzàm al-Tel al-Kúfl, Abú Mubammad `Ubaydu'l-1th, Abú Mu'ini'd-Din Nàsir ibn Hosrow Marwàzi Qobàdyàni (credo che un arabo si sarebbe trovato nello stesso imbarazzo a distinguere tra Aristotele, Aristosseno, Aristarco, Aristide, Anassimandro, Anassimene, Anassagora, Anacreonte e Anacarsi).

Ma una cosa era certa. Lo sciismo si scinde in due tronconi, uno detto duodecimano, che resta in attesa di un Imam scomparso e venturo, e l'altro che è quello degli ismailiti, che nasce nel regno dei Fatimidi del Cairo, e poi per varie vicende si afferma come ismaílismo riformato in Persia, per opera di un personaggio affascinante, mistico e feroce, Hasan

Sabbàh. E quivi Sabbàh pone il proprio centro, il proprio imprendibile seggio a sudovest del Caspio, nella fortezza di Alamut, il Nido del Rapace.


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 38 | Нарушение авторских прав



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