Студопедия
Случайная страница | ТОМ-1 | ТОМ-2 | ТОМ-3
АрхитектураБиологияГеографияДругоеИностранные языки
ИнформатикаИсторияКультураЛитератураМатематика
МедицинаМеханикаОбразованиеОхрана трудаПедагогика
ПолитикаПравоПрограммированиеПсихологияРелигия
СоциологияСпортСтроительствоФизикаФилософия
ФинансыХимияЭкологияЭкономикаЭлектроника

Il pendolo di Foucault 17 страница

Читайте также:
  1. 1 страница
  2. 1 страница
  3. 1 страница
  4. 1 страница
  5. 1 страница
  6. 1 страница
  7. 1 страница

"D'accordo, passo domani da lei."

Gli si avvicinò Lorenza Pellegrini. "Mi accompagni a casa?"

"Perché io stasera?" chiese Belbo.

"Perché sei l'uomo della mia vita."

Arrossì, come poteva arrossire lui, guardando ancora più altrove. Le disse: "C'è un testimone." E a me: "Sono l'uomo della sua vita. Lorenza."

"Ciao."

"Ciao."

Si alzò e le sussurrò qualcosa all’orecchio.

"Che c’entra?" disse lei. "Ti ho chiesto se mi accompagni a casa con la macchina."

"Ah," disse lui, "Scusi Casaubon, debbo fare il axi driver per la donna della vita di non so chi."

"Scemo," disse lei con tenerezza, e lo baciò sulla guancia.

 


Permettetemi intanto di dare un consiglio al mio futuro o attuale lettore, che sia effettivamente malinconico: non deve leggere i sintomi o le prognosi nella parte che segue, per non risultarne turbato e trarne infine più male che bene, applicando quello che legge a se stesso... come fa la maggior parte dei malinconici.

(R. Burton, Anatomy of Melancholy, Oxford, 1621, Introduzione)

 

Era evidente che Belbo era legato in qualche modo a Lorenza Pellegrini. Non capivo con quale intensità e da quando. Neppure i files di Abulafia mi hanno aiutato a ricostruire la vicenda..

Per esempio è senza data il file sulla cena col dottor Wagner. Il dottor Wagner, Belbo lo conosceva prima della mia partenza, e avrebbe avuto rapporti con lui anche dopo l'inizio della mia collaborazione con la Garamond, tanto che lo avvicinai anch'io. Quindi la cena avrebbe potuto precedere o seguire la sera che sto ricordando. Se la precede, capisco l'imbarazzo di Belbo, la sua composta disperazione.

Il dottor Wagner un austriaco che da anni professava a Parigi, da cui la pronuncia "Wagnère" per chi voleva millantarne la consuetudine da circa dieci anni veniva invitato regolarmente a Milano da due gruppi rivoluzionari dell'immediato post-sessantotto. Se lo disputavano, e natural-mente ciascun gruppo dava una versione radicalmente alternativa del suo pensiero. Come e perché quest'uomo famoso avesse accettato di farsi sponsorizzare dagli extraparlamentari non ho mai capito. Le teorie di Wagner non avevano colore, per così dire, e lui se voleva poteva essere invitato dalle università, dalle cliniche, dalle accademie. Credo che avesse accettato l'invito di costoro perché era sostanzialmente un epicureo, e pretendeva rimborsi spese principeschi. I privati potevano mettere insieme più soldi delle istituzioni, e per il dottor Wagner questo significava viaggio in prima classe, albergo di lusso, più le parcelle per conferenze e seminari, calcolate secondo il suo tariffario di terapeuta.

Perché poi i due gruppi trovassero una fonte di ispirazione ideologica nelle teorie di Wagner era un'altra storia. Ma in quegli anni la psicoanalisi di Wagner appariva abbastanza decostruttiva, diagonale, libidinale, non cartesiana, da suggerire spunti teorici all'attività rivoluzionaria.

Risultava complicato farla digerire agli operai, e forse per questo i due gruppi, a un certo punto, furono costretti a scegliere tra gli operai e Wagner, e scelsero Wagner. Fu elaborata l'idea che il nuovo soggetto rivoluzionario non fosse il proletario ma il deviante.

"Invece di far deviare i proletari meglio proletarizzare i devianti, ed è più facile, dati i prezzi del dottor Wagner," mi disse un giorno Belbo. Quella dei wagneriani fu la rivoluzione più costosa della storia.

La Garamond, finanziata da un istituto di psicologia, aveva tradotto una raccolta di saggi minori di Wagner, molto tecnici, ma ormai introvabili, e quindi molto richiesti dai fedeli. Wagner era venuto a Milano per la presentazione, e in quell'occasione era iniziato il suo rapporto con Belbo.

 

filename: Doktor Wagner

 

Il diabolico doktor Wagner Ventiseiesima puntata

 

Chi, in quella grigia mattina del

 

Al dibattito gli avevo mosso un'obiezione. II satanico vegliardo ne fu certo irritato ma non lo diede a divedere. Anzi rispose come se avesse voluto sedurmi.

Sembrava Charlus con Jupien, ape e fiore. Un genio non sopporta di non essere amato e deve sedurre subito chi dissente, in modo che dopo lo ami. Ci è riuscito, l'ho amato.

Ma non doveva avermi perdonato, perché quella sera del divorzio mi ha vibrato un colpo mortale. Senza saperlo, d'istinto: senza saperlo aveva cercato di sedurmi e senza saperlo ha deciso di punirmi. A costo della deontologia mi ha psicoanalizzato gratis. L'inconscio morde anche i suoi guardiani.

Storia del marchese di Lantenac in Novantatré. La nave dei Vandeani viaggia nella tempesta al largo delle coste bretoni, a un tratto un cannone si scioglie dalla sua incavigliatura e mentre la nave rolla e beccheggia inizia una corsa pazza da fiancata a fiancata e bestione immenso qual è rischia di sfondare babordo e tribordo. Un cannoniere (ahimè, proprio colui per la cui incuria il cannone non era stato assicurato a dovere), con un coraggio senza eguali, una catena in mano, si butta quasi sotto al bestione che sta per stritolarlo e lo ferma, lo inchiavarda, Io riconduce alla sua mangiatoia, salvando la nave, l'equipaggio, la missione. Con sublime liturgia, il terribile Lantenac fa schierare gli uomini sul ponte, loda l'ardimentoso, si toglie dal collo un'alta decorazione, ne lo insignisce, l'abbraccia, mentre la ciurma grida al cielo i suoi urrah.

Poi Lantenac, adamantino, ricorda che lui, l'insignito, è il responsabile dell'incidente, e ordina che sia fucilato.

Splendido Lantenac, virtuoso, giusto e incorruttibile! E cosi fece con me il dottor Wagner, mi onorò della sua amicizia, e mi uccise donandomi la verità

 

e mi uccise rivelandomi che cosa veramente volessi

 

e mi rivelò che cosa, volendo, paventassi.

 

Storia che incomincia per baretti. Bisogno di innamorarsi.

Certe cose le senti venire, non è che ti innamori perché ti innamori, ti innamori perché in quel periodo avevi un disperato bisogno di innamorarti. Nei periodi in cui senti la voglia di innamorarti devi stare attento a dove metti piede: come aver bevuto un filtro, di quelli che ti innamorerai del primo essere che incontri. Potrebbe essere un ornitorinco.

Perché provavo bisogno proprio in quel periodo, che da poco avevo smesso di bere. Rapporto tra fegato e cuore. Un nuovo amoreun buon motivo per rimettersi a bere. Qualcuno con cui andare per baretti. Sentirsi bene.

 

Il baretto è breve, furtivo. Ti permette un'attesa lunga dolce per tutto il giorno, sino a che vai a celarti nella penombra sulle poltrone di cuoio, alle sei del pomeriggio non c'è nessuno, la sordida clientela verrà alla sera, con il pianista. Scegliere un american bar equivoco vuoto al tardo pomeriggio, il cameriere viene solo sedo chiami tre volte, e ha già pronto l'altro martini.

Il martini è essenziale. Non il whisky, il martini. Il liquido è bianco, alzi il bicchiere e la vedi dietro all'oliva. Differenza tra guardare l'amata attraverso il martini cocktail dove il calice triangolare è troppo piccolo e guardarla attraverso il gin martini on the rocks, bicchiere largo, il suo volto si scompone nel cubismo trasparente del ghiaccio, l'effetto si duplica se avvicinate i due bicchieri ciascuno con la fronte contro il freddo dei bicchieri e tra fronte e fronte i due bicchieri — col calice non puoi.

L'ora breve del baretto. Dopo aspetterai tremando un altro giorno. Non c'è il ricatto della sicurezza.

 

Chi si innamora per baretti non ha bisogno di una donna tutta sua. Qualcuno vi impresta l'uno all'altro.

 

La figura di lui. Le consentiva molta libertà, era sempre in viaggio. La sospetta liberalità di colui: potevo telefonare anche a mezzanotte, lui c'era e tu no, lui mi rispondeva che tu eri fuori, anzi visto che telefoni non sai per caso dove sia? Gli unici momenti di gelosia. Ma anche in quel modo strappavo Cecilia ai suonatore di sassofono. Amare o credere di amare come eterno sacerdote di un’antica vendetta.

 

Le cose si erano complicate con Sandra: quella volta sì era resa conto che la storia mi prendeva troppo, la vita a due era diventata piuttosto tesa. Dobbiamo lasciarci? Allora lasciamoci. No, aspetta, riparliamone. No, così non può andare avanti. Insomma, il problema era Sandra.

Quando vai per baretti il dramma passionale non è con chi trovi ma con chi lasci.

 

Avviene allora la cena col dottor Wagner. Alla conferenza aveva appena dato a un provocatore una definizione della psicoanalisi: — La psychanalyse? C'est qu'entre l'homme et la femme... chers amis... ça ne colle pas.

Si discuteva sulla coppia, sul divorzio come illusione della Legge. Preso dai miei problemi partecipavo alla conversazione con calore. Ci lasciammo trascinare in ludi dialettici, parlando noi mentre Wagner taceva, dimenticando di avere con noi un oracolo. E fu con aria assorta

 

e fu con aria sorniona

 

e fu con melanconico disinteresse

 

e fu come se si inserisse nella conversazione giocando fuori tema che Wagner disse (cerco di ricordare le sue parole esatte, ma mi si sono scolpite nella mente, impossibile che mi sia ingannato): — In tutta la mia attività non ho mai avuto un paziente nevrotizzato dal suo proprio divorzio. La causa del malessere era sempre il divorzio dell'Altro.

Il dottor Wagner, anche quando parlava, diceva sempre Altro con la A maiuscola. Stadi fatto che io sobbalzai, come morso da un aspide

 

il visconte sobbalzò come morso da un aspide

 

un sudore diaccio gli imperlava la fronte

 

il barone lo fissava tra le pigre volute di fumo delle sue sottili sigarette russe

 

- Intende dire, chiesi, che si entra in crisi non per il divorzio dal proprio partner ma per il possibile o impossibile divorzio della terza persona che ha messo in crisi la coppia di cui si è membro?

Wagner mi guardò con la perplessità del laico che incontra per la prima volta una persona mentalmente disturbata. Mi chiese che cosa volevo dire.

In verità, qualunque cosa avessi voluto dire, l'avevo detta male. Cercai di rendere concreto il mio ragionamento. Presi dal tavolo il cucchiaio e lo misi accanto alla forchetta: — Ecco, qui ci sono io, Cucchiaio, sposato a lei, Forchetta. E qui c'è un'altra coppia, lei Coltellina sposata a Coltellone o Mackie Messerr.Ora io Cucchiaio credo di soffrire perché dovrò abbandonare la mia Forchetta, e non vorrei, amo Coltellina ma mi va bene che stia col suo Coltel-Ione. Ma in verità, Lei mi dice dottor Wagner, io sto male perché Coltellina non si separa da Coltellone. E così?

Wagner rispose a un altro commensale che non aveva mai detto una cosa simile.

- Come, non l'ha detta? Ha detto che non ha mai trovato qualcuno nevrotizzato dal suo proprio divorzio ma sempre dal divorzio dell'altro.

- Puo' darsi, non ricordo, disse allora Wagner, annoiato.

- E se lo ha detto, non voleva intendere quello che io ho inteso?

Wagner tacque per alcuni minuti.

 

Mentre i commensali attendevano senza neppur deglutire, Wagner fece cenno che gli versassero un bicchiere di vino, guardò con attenzione il liquido contro luce e infine parlò.

 

- Se lei ha inteso così è perché voleva intendere così.

 

Poi si voltò da un'altra parte, disse che faceva caldo, accennò a un'aria d'opera lirica muovendo un grissino come se dirigesse un'orchestra lontana, sbadigliò, si concentrò su di una torta con panna, e infine, dopo una nuova crisi di mutismo, chiese di essere riportato in albergo.

Gli altri mi guardarono come chi ha rovinato un simposio da cui avrebbero potuto uscire Parole definitive.

 

In verità io avevo udito parlare la Verità.

Ti telefonai. Eri in casa, e con l'Altro. Passai una notte insonne. Tutto era chiaro: io non potevo sopportare che tu stessi con lui. Sandra non c'entrava.

Seguirono sei mesi drammatici, in cui ti stavo addosso, fiato sul collo, per insidiare la tua convivenza, dicendoti che ti volevo tutta per me, e convincendoti che tu odiavi l'Altro. Incominciasti a litigare con l'Altro, l'Altro incominciò a diventare esigente, geloso, non usciva la sera, quando era in viaggio telefonava due volte al giorno, e in piena notte. Una sera ti schiaffeggiò. Mi chiedesti dei soldi perché volevi fuggire, racimolai il poco che avevo in banca. Abbandonasti il talamo, te ne andasti in montagna con alcuni amici, senza lasciare l'indirizzo. L'Altro mi telefonava disperato chiedendomi se sapevo dove fossi, io non lo sapevo, e sembrava mentissi perché gli avevi detto che lo lasciavi per me.

Quando tornasti, mi annunciasti radiosa che gli avevi scritto una lettera di addio. A quel punto mi chiesi cosa sarebbe accaduto tra me e Sandra, ma tu non mi lasciasti il tempo di inquietarmi. Mi dicesti che avevi conosciuto un tale, con una cicatrice sulla guancia e un appartamento molto zingaresco. Saresti andata a stare con lui. — Non mi ami più? — Al contrario, sei l'unico uomo della mia vita, ma dopo quello che è successo ho bisogno di vivere questa esperienza, non essere puerile, cerca di capirmi, in fondo ho abbandonato mio marito per te, lascia alla gente i propri tempi.

- I propri tempi? Mi stai dicendo che te ne vai con un altro.

- Sei un intellettuale, e di sinistra, non comportarti come un mafioso. A presto.

 

Devo tutto al dottor Wagner.
37

Chiunque rifletta su quattro cose, meglio sarebbe se non fosse mai nato: ciò che è sopra, ciò che è sotto, ciò che è prima e ciò che è dopo.

(Talmud, Hagigah 2.1)

 

Mi feci vivo alla Garamond proprio la mattina in cui installavano Abulafia, mentre Belbo e Diotallevi si perdevano nella loro diatriba sui nomi di Dio, e Gudrun osservava sospettosa gli uomini che inserivano quella nuova inquietante presenza tra le pile, sempre più polverose, dei mano-scritti.

"Si segga, Casaubon, ecco qua i progetti di questa nostra storia dei metalli." Rimanemmo soli e Belbo mi fece vedere degli indici, degli abbozzi di capitoli, degli schemi di impaginazione. Io dovevo leggere i testi è trovare le illustrazioni. Nominai alcune biblioteche milanesi che mi pare-vano ben fornite.

"Non basterà," disse Belbo. "Occorrerà visitare qualche altro posto. Per esempio al museo della scienza di Monaco c'è una fototeca meravigliosa. Poi a Parigi c'è il Conservatoire des Arts et Métiers. Vorrei tornarci io, se avessi tempo."

"Bello?"

"Inquietante. Il trionfo della macchina in una chiesa gotica..." Esitò, — riordinò alcune carte sul tavolo. Poi, come temendo di dare eccessiva importanza alla sua rivelazione: "C'è il Pendolo," disse.

"Che pendolo?"

"Il Pendolo. Si chiama pendolo di Foucault."

Mi spiegò il Pendolo, così come l'ho visto sabato — e forse sabato l'ho visto così perché Belbo mi aveva preparato alla visione. Allora non dovetti mostrare troppo entusiasmo, e Belbo mi guardò come chi, di fronte alla Cappella Sistina, chieda se è tutto lì.

"Sarà l'atmosfera della chiesa, ma le assicuro che si prova una sensazione molto forte. L'idea che tutto scorra e solo là in alto esista l'unico punto fermo dell'universo.... Per chi non ha fede è un modo di ritrovare Dio, e senza mettere in questione la propria miscredenza, perché si tratta di un Polo Nulla. Sa, per gente della mia generazione, che ha mangiato delusioni a colazione e a cena, può essere confortevole."

"Ha mangiato più delusioni la mia, di generazione.»

"Presuntuoso. No, per voi è stata solo una stagione, avete cantato la Carmagnola e poi vi siete ritrovati in Vandea. Passerà presto. Per noi è stato diverso. Prima il fascismo, anche se lo abbiamo vissuto da ragazzi, come un romanzo di avventure, ma i destini immortali erano un punto fermo. Poi il punto fermo della resistenza, specie per quelli come me che l'hanno guardata dal di fuori, e ne han fatto un rito di vegetazione, il ritorno della primavera, un equinozio, o un solstizio, confondo sempre...

Poi per alcuni Dio e per altri la classe operaia, e per molti entrambi. Era consolante per un intellettuale pensare che ci fosse l'operaio, bello, sano, forte, pronto a rifare il mondo. E poi, lo avete visto anche voi, l'operaio c'era ancora, ma la classe no. Debbono averla ammazzata in Ungheria. E siete arrivati voi. Per lei è stato naturale, forse, ed è stata una festa. Per quelli della mia età no, era la resa dei conti, il rimorso, il pentimento, la rigenerazione. Noi avevamo mancato e voi arrivavate a portare l'entusiasmo, il coraggio, l'autocritica. Per noi che allora avevamo trentacinque o quarant'anni è stata una speranza, umiliante, ma speranza. Dovevamo ridiventare come voi, a costo di ricominciare da capo. Non portavamo più la cravatta, buttavamo via il trench coat per comperarci un eskimo usato, qualcuno ha dato le dimissioni dal lavoro per non servire i padroni..."

Accese una sigaretta e finse di fingere rancore, per farsi perdonare il suo abbandono.

"E avete ceduto su tutti i fronti. Noi, con i nostri pellegrinaggi penitenziali alle catacombe ardeatine, rifiutavamo di inventare uno slogan per la Coca-Cola, perché eravamo antifascisti. Ci accontentavamo di quattro soldi alla Garamond perché il libro almeno è democratico. E voi adesso, per vendicarvi dei borghesi che non siete riusciti a impiccare, gli vendete videocassette e fanzines, li rimbecillite con lo zen e la manutenzione della motocicletta. Ci avete imposto a prezzo di sottoscrizione la vostra copia dei pensieri di Mao e coi soldi siete andati a comperarvi i mortaretti per le feste della nuova creatività. Senza vergogna. Noi abbiamo passato la vita a vergognarci. Ci avete ingannato, non rappresentavate nessuna purezza, era solo acne giovanile. Ci avete fatto sentire come vermi perché non avevamo il coraggio di affrontare a faccia aperta la gendarmeria boliviana, e poi avete sparato nella schiena a disgraziati che passavano lungo i viali. Dieci anni fa ci è capitato di mentire per tirarvi fuori di prigione, e voi avete mentito per mandare in prigione i vostri amici. Ecco perché mi piace questa macchina: è stupida, non crede, non mi fa credere, fa quello che le dico, stupido io stupida lei — o lui. E un rapporto onesto."

"Io..."

"Lei è innocente, Casaubon. È scappato invece di tirare le pietre, si è laureato, non ha sparato. Eppure qualche anno fa io mi sentivo ricattato anche da lei. Badi bene, nulla di personale. Cicli generazionali. E quando ho visto il Pendolo, l'anno scorso, ho capito tutto."

"Tutto che?"

"Quasi tutto. Veda Casaubon, anche il Pendolo è un falso profeta. Lei lo guarda, crede che sia l'unico punto fermo nel cosmo, ma se lo stacca dalla volta del Conservatoire e va ad appenderlo in un bordello funziona lo stesso. Ci sono altri pendoli, uno è a New York al palazzo dell'ONU, un altro a San Francisco al museo della scienza, e chissà quanti ancora. Il pendolo di Foucault sta fermo con la terra che gli gira sotto in qualsiasi posto si trovi. Ogni punto dell'universo è un punto fermo, basta attaccarci il Pendolo."

"Dio è in ogni luogo?"

"In un certo senso sì. Per questo il Pendolo mi disturba. Mi promette l'infinito, ma lascia a me la responsabilità di decidere dove voglio averlo. Così non basta adorare il Pendolo là dove è, occorre prendere di nuovo una decisione, e cercare il punto migliore. Eppure...."

"Eppure?"

"Eppure — non mi prenderà mica sul serio, vero Casaubon? No, posso stare tranquillo, siamo gente che non prende sul serio... Eppure, dicevo, la sensazione è che uno nella vita ha attaccato il Pendolo da tante parti, e non ha mai funzionato, e là, al Conservatoire, funziona così bene... E se nell'universo ci fossero punti privilegiati? Qui sul soffitto di questa stanza? No, non ci crederebbe nessuno. Ci vuole atmosfera. Non so, forse stiamo sempre cercando il punto giusto, forse è vicino a noi, ma non lo riconosciamo, e per riconoscerlo bisognerebbe crederci... Insomma, an-diamo dal signor Garamond."

"Ad attaccare il Pendolo?"

"Oh stoltezza. Andiamo a fare cose serie. Per pagarla ho bisogno che il padrone la veda, la tocchi, l'annusi, e dica che lei va bene. Venga a farsi toccare dal padrone, il suo tocco guarisce dalla scrofola."
38

Maestro Segreto, Maestro Perfetto, Maestro per Curiosità, Intendente degli Edifici, Eletto dei Nove, Cavaliere del Real Arco di Salomone o Maestro del Nono Arco, Grande Scozzese della Sacra Volta, Cavaliere d'Oriente o della Spada, Principe di Gerusalemme, Cavaliere d'Oriente e d'Occidente, Principe Cavaliere di Rosa-Croce e Cavaliere dell'Aquila e del Pellicano, Gran Pontefice o Sublime Scozzese della Gerusalemme Celeste, Venerabile Gran Maestro di Tutte le Logge ad vitam, Cavaliere Prussiano e Patriarca Noachita, Cavaliere dell'Ascia Reale o Principe del Libano, Principe del Tabernacolo, Cavaliere del Serpente di Rame, Principe di Compassione o di Grazia, Grande Commenda-tore del Tempio, Cavaliere del Sole o Principe Adepto, Cavaliere di Sant'Andrea di Scozia o Gran Maestro d'ella Luce, Cavaliere Grand'Eletto Kadosh e Cavaliere dell'Aquila Bianca e Nera.

(Alti gradi della Massoneria di Rito Scozzese Antico e Accettato)

 

Percorremmo il corridoio, salimmo tre scalini, e passammo attraverso una porta a vetri smerigliati. Di colpo entrammo in un altro universo. Se i locali che avevo visto sinora erano bui, polverosi, slabbrati, questi sembravano la saletta vip di un aeroporto. Musica diffusa, pareti azzurre, una sala d'aspetto confortevole con mobili firmati, le pareti adorne di fotografie in cui si intravedevano signori con la faccia da deputato che consegnavano una vittoria alata a signori con la faccia da senatore. Su un tavolinetto, gettate con disinvoltura, come nella saletta di un dentista, alcune riviste in carta patinata, L'Arguzia Letteraria, L’Atanòr Poetico, La Rosa e la Spina, Parnaso Enotrio, Il Verso Libero. Non le avevo mai viste in circolazione, e dopo seppi il perché: erano diffuse solo presso i clienti della Manuzio.

Se all'inizio avevo creduto di essere entrato nella zona direzionale della Garamond, dovetti subito ricredermi. Eravamo negli uffici di un'al tra casa editrice. Nell'atrio della Garamond c'era una vetrinetta oscura e appannata, con gli ultimi libri pubblicati, ma i libri della Garamond erano dimessi, coi fogli ancora da tagliare e una sobria copertina grigiastra — dovevano ricordare le pubblicazioni universitarie francesi, con la carta che si faceva gialla in pochi anni, in modo da suggerire che l'autore, specie se giovane, avesse pubblicato da lunga data. Qui c'era un'altra vetrinetta, illuminata dall'interno, che ospitava i libri della casa editrice Manuzio, alcuni aperti su pagine ariose: copertine bianche, leggere, ricoperte di plastica trasparente, molto elegante, e una carta tipo riso con bei caratteri nitidi.

Le collane della Garamond avevano nomi seri e pensosi, come Studi Umanistici o Philosophia. Le collane della Manuzio avevano nomi delicati e poetici: Il Fiore che Non Colsi (poesia), La Terra Incognita (narrativa), L’Ora dell'Oleandro (ospitava titoli tipo Diario di una fanciulla malata), l'Isola di Pasqua (mi parve di saggistica varia), Nuova Atlantide (l'ultima opera pubblicata era Koenigsberg Redenta — Prolegomeni a ogni metafisica futura che si presenti come doppio sistema trascendentale e scienza del noumeno fenomenale). Su tutte le copertine, il marchio della casa, un pellicano sotto una palma, con il motto "io ho quel che ho donato".

Belbo fu vago e sintetico: il signor Garamond possedeva due case editrici, ecco tutto. Nei giorni seguenti mi resi conto che il passaggio tra la Garamond e la Manuzio era del tutto privato e confidenziale. Di fatto l'ingresso ufficiale della Manuzio era in via Marchese Gualdi e in via Gualdi l'universo purulento di via Sincero Renato lasciava posto a facciate pulite, marciapiedi spaziosi, ingressi con ascensore in alluminio. Nessuno avrebbe potuto sospettare che un appartamento di un vecchio stabile di via Sincero Renato comunicasse, con soli tre scalini di dislivello, con un uno stabile di via Gualdi. Per ottenere il permesso il signor Garamond doveva aver fatto salti mortali, credo si fosse raccomandato a uno dei suoi autori, funzionario del Genio Civile.

Eravamo stati ricevuti subito dalla signora Grazia, blandamente matronale, foulard di marca e tailleur dello stesso colore delle pareti, che ci aveva introdotto con un accurato sorriso nella sala del mappamondo.

La sala non era immensa, ma richiamava alla mente il salone di Palazzo Venezia, con un globo terracqueo all'ingresso, e la scrivania di mogano del signor Garamond là in fondo, che pareva di guardarlo con un binocolo rovesciato. Garamond ci aveva fatto cenno di avvicinarci, e mi ero sentito intimidito. Più tardi; all'ingresso di De Gubernatis, Garamond gli sarebbe andato incontro, e questo gesto di cordialità gli avrebbe conferito ancor più carisma, perché il visitatore avrebbe visto prima lui che attraversava la sala, e poi l'avrebbe attraversata al braccio dell'ospite, e lo spa-zio quasi per magia si sarebbe raddoppiato.

Garamond ci fece sedere di fronte alla sua scrivania, e fu brusco e cordiale. "Il dottor Belbo mi ha parlato bene di lei, dottor Casaubon. Abbiamo bisogno di collaboratori valenti. Come avrà capito, non si tratta di un'assunzione, non possiamo permettercerlo. Sarà compensata adeguata-mente la sua assiduità, la sua devozione, se mi consente, perché il nostro lavoro è una missione."

Mi disse una cifra a forfait in base alle ore di lavoro presunte, che a quei tempi mi parve ragionevole.

"Ottimo, caro Casaubon." Aveva eliminato il titolo, dal momento che ero diventato un dipendente. "Questa storia dei metalli deve diventare splendida, dirò di più, bellissima. Popolare, accessibile, ma scientifica. Deve colpire la fantasia del lettore, ma scientificamente. Le faccio un esempio. Leggo qui nei primi abbozzi che esisteva questa sfera, come si chiama, di Magdeburgo, due semisfere accostate e dentro viene fatto il vuoto pneumatico. Gli attaccano due pariglie di cavalli normanni, una di qua e una di là, tira di qua e tira di là, e le due semisfere non si separano. Bene, questa è una notizia scientifica. Ma lei deve individuarmela, fra tutte le altre meno pittoresche. E una volta individuata, deve trovarmi l'immagine, l'affresco, l'olio, quel che sia. Dell'epoca. E poi lo sbattiamo a piena pagina, a colori."

"C’è un'incisione," dissi, "la conosco."

"Vede? Bravo. A piena pagina, a colori."

"Se è un'incisione sarà in bianco e nero," dissi. È

"Sì? Benissimo, allora in bianco e nero. L'esattezza è l'esattezza. Ma su fondo oro, deve colpire il lettore, deve farlo sentire là, quel giorno che han fatto l'esperimento. Chiaro? Scientificità, realismo, passione. Si può usare la scienza e prendere il lettore per le viscere. C'è qualcosa di più teatrale, drammatico, di madame Curie che rientra a casa la sera e nel buio vede una luce fosforescente, dio mio che cosa sarà mai... È l'idrocarburo, la golconda, il flogisto o come diavolo si chiamava e voilà, Maria Curie ha inventato i raggi X. Drammatizzare. Nel rispetto della verità."

"Ma i raggi X c'entrano coi metalli?" chiesi.


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 36 | Нарушение авторских прав



mybiblioteka.su - 2015-2024 год. (0.024 сек.)