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Il pendolo di Foucault 12 страница

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"E quel Rakosky?" Chiese Belbo.

"Già controllato. Al Principe e Savoia è sceso un Rakosky, Wladimir, registrato con passaporto francese. Descrizione vaga, signore distinto. La stessa descrizione del portiere di qui. Al banco Alitalia risulta registrato stamattina sul Primo volo per Parigi. Ho interessato l'Interpol. Annunziata, è arrivato qualche cosa da Parigi?"

"Ancora nulla, dottore."

"Ecco. Dunque il colonnello Ardenti, o come si chiama, arriva a Milano quattro giorni fa, non sappiamo checosa faccia i primi tre, ieri alle due vede presumibilmente il Rakosky all'hotel, non gli dice che sarebbe venuto da voi, e questo mi pare interessante. Alla sera viene qui, probabilmente con lo stesso Rakosky e un altro tipo... dopo di che tutto diventa impreciso. Anche se non lo ammazzano, certo gli perquisiscono l'appartamento. Che cosa cercano? Nella giacca — ah sì, perché anche se esce, esce in maniche di camicia, la giacca col passaporto rimane in camera, ma non credano che questo semplifichi le cose, perché il vecchio dice che era steso sul letto con la giacca, ma magari era una giacca da camera, mio dio, qui mi pare di muovermi in una gabbia di matti — dicevo, nella giacca aveva ancora parecchio denaro, anche troppo.... Quindi cercavano altro. E l'unica idea buona mi viene da loro. Il colonnello aveva dei documenti. Che aspetto avevano?"

"Aveva in mano una cartella marrone," disse Belbo.

"A me è parsa rossa," dissi io.

"Marrone,» insistette Belbo, "ma forse mi sbaglio."

"Rossa o marrone che fosse," disse De Angelis, "qui non c'è. I signori di ieri sera se la sono portata via. Quindi è intorno a quella cartella che si deve girare. Secondo me l'Ardenti non voleva affatto pubblicare un libro. Aveva messo insieme qualche dato per ricattare il Rakosky e cercava di millantare contatti editoriali come elemento di pressione. Sarebbe nel suo stile. E a questo punto si potrebbero fare altre ipotesi. I due se ne vanno minacciandolo, Ardenti si spaventa e fugge nella notte lasciando tutto, con la cartella sottobraccio. E magari per chissà quale ragione fa credere al vecchio di essere stato ucciso. Ma sarebbe tutto troppo romanzesco, e non spiegherebbe la stanza in disordine. D'altra parte se i due l'ammazzano e rubano la cartella, perché rubare anche il cadavere? Vedremo. Scusino, sono costretto a richiedere le loro coordinate."

Girò due volte tra le mani il mio tesserino universitario. "Studente di filosofia, eh?"

"Siamo in molti," dissi.

"Anche troppi. E fa degli studi su questi Templari... Se dovessi farmi una cultura su questa gente, che cosa dovrei leggere?"

Gli suggerii due libri divulgativi, ma abbastanza seri. Gli dissi che avrebbe trovato notizie attendibili sino al processo e che dopo erano solo farneticazioni.

"Vedo, vedo," disse. "Anche i Templari, adesso. Un gruppuscolo che non conoscevo ancora."

Arrivò quell'Annunziata con un fonogramma: «Ecco la risposta di Parigi, dottore.

Lesse. "Ottimo. A Parigi questo Rakosky è ignoto, e comunque il numero del suo passaporto corrisponde a quello di un documento rubato due anni fa. E così siamo a posto. Il signor Rakosky non esiste. Lei dice che era direttore di una rivista... come si chiamava?" Prese nota. "Proveremo, ma scommetto che scopriremo che non esiste neppure la rivista, o che ha cessato le pubblicazioni chissà da quanto. Bene, signori. Grazie per la collaborazione, forse li disturberò ancora qualche volta. Oh, un'ultima domanda. Questo Ardenti ha lasciato empire di avere connessioni con qualche gruppo politico?"

"No," disse Belbo. "Avevi l'aria di aver lasciato la politica per i tesori."

"E per la circonvenzione d'incapace." Si rivolse a me: "A lei non è piaciuto, immagino."

"A me non piacciono i tipi come lui," dissi. "Ma non mi viene in mente di strangolarli con il fil di ferro. Se non idealmente."

"Naturale. Troppo faticoso. Non tema, signor Casaubon, non sono di quelli che pensano che tutti gli studenti siano criminali. Vada tranquillo. Auguri per la sua tesi."

Belbo chiese: "Scusi, commissario, ma è tanto per capire. Lei è dell'omicidi o della politica?"

"Buona domanda. Il mio collega dell'omicidi è venuto stanotte. Dopo che in archivio hanno scoperto qualcosa di più sui trascorsi dell'Ardenti, ha passato la faccenda a me. Sono della politica. Ma proprio non so se sono la persona giusta. La vita non è semplice come nei libri gialli."

"Lo supponevo, disse Belbo, dandogli la mano.

Ce ne andammo, e non ero tranquillo. Non per via del commissario, che mi era parso una brava persona, ma mi ero trovato, per la prima volta in vita mia, al centro di una storia oscura. E avevo mentito. E Belbo con me.

Lo lasciai sulla porta della Garamond ed eravamo entrambi imbarazzati.

"Non abbiamo fatto niente di male," disse Belbo in tono colpevole. "Che il commissario sappia di Ingolf o dei catari, non fa molta differenza. Erano tutti vaneggiamenti. Maganti è stato costretto a eclissarsi per altre ragioni, e ce n'erano mille. Magari Rakosky è del servizio segreto israeliano e ha regolato dei vecchi conti. Magari è stato mandato da un pezzo grosso che il colonnello ha raggirato. Magari era un commilitone della legione straniera con vecchi rancori. Magari era un sicario algerino. Magari la storia del tesoro templare era solo un episodio secondario nella vita del nostro colonnello. Sì, lo so, manca la cartella, rossa o marrone che fosse. Ha fatto bene a contraddirmi, così era chiaro che 1'avevamo vista solo di sfuggita..."

Io tacevo, e Belbo non sapeva come concludere.

"Mi dirà che sono scappato di nuovo, come in via Larga."

"Sciocchezze. Abbiamo fatto bene. Arrivederci."

Provavo pietà per lui, perché si sentiva un vile. Io no, mi avevano insegnato che con la polizia si mente. Per principio. Ma così è, la cattiva coscienza inquina l'amicizia.

Da quel giorno non lo vidi più. Io ero il suo rimorso, e lui era il mio.

Ma fu allora che mi convinsi che ad essere studenti si è sempre più sospetti che ad essere laureati. Lavorai ancora un anno e compilai duecentocinquanta cartelle sul processo dei Templari. Erano anni in cui presentare la tesi era prova di leale adesione alle leggi dello stato, e si era trattati con indulgenza.

 

Nei mesi che seguirono alcuni studenti cominciarono a sparare, l'epoca delle grandi manifestazioni a cielo aperto stava finendo.

 

Ero a corto di ideali. Avevo un alibi, perché amando Amparo facevo all'amore con il Terzo Mondo. Amparo era bella, marxista, brasiliana, entusiasta, disincantata, aveva una borsa di studio e un sangue splendidamente misto. Tutto insieme.

L'avevo incontrata a una festa e avevo agito d'impulso: "Scusami, ma vorrei fare all'amore con te.",

"Sei uno sporco maschilista."

"Come non detto."

"Come detto. Sono una sporca femminista."

Stava per rientrare in patria e non volevo perderla. Fu lei che mi mise in contatto con un'università di Rio dove cercavano un lettore d'italiano. Ottenni il posto per due anni, rinnovabili. Visto che l’Italia mi stava andando stretta, accettai.

E poi, nel Nuovo Mondo, mi dicevo, non avrei incontrato i Templari.

 

Illusione, pensavo sabato sera nel periscopio. Salendo i gradini della Garamond mi ero introdotto nel Palazzo. Diceva Diotallevi: Binah è il palazzo che Hokmah si costruisce espandendosi dal punto primordiale. Se Hokmah è la fonte, Binah è il fiume che ne scaturisce dividendosi poi nei suoi vari rami, sino a che tutti non si gettano nel gran mare dell'ultima sefirah é in Binah tutte le forme sono già preformate.
4

HESED

L'analogia dei contrari è il rapporto della luce all'ombra, della vetta all'abisso, del pieno al vuoto. L'allegoria, madre di tutti i dogmi, è la sostituzione dell'impronta al suggello, delle ombre alla realtà, è la menzogna della verità e la verità della menzogna.

(Eliphas Levi, Dogme de la haute magie, Paris, Baillère, 1856, LXII, 22)

 

Ero arrivato in Brasile per amore di Amparo, vi ero rimasto per amore del paese. Non ho mai capito perché questa discendente di olandesi che si erano installati a Recife e si erano mescolati con indios e negri sudanesi, dal volto di una giamaicana e dalla cultura di una parigina, avesse un nome spagnolo. Non sono mai riuscito a venire a capo dei nomi propri brasiliani. Sfidano ogni dizionario onomastico ed esistono solo laggiù.

Amparo mi diceva che nel loro emisfero, quando l'acqua viene risucchiata dallo scolo del lavabo, il mulinello va da destra a sinistra, mentre da noi va al contrario – o viceversa. Non ho potuto verificare se fosse vero. Non solo perché nel nostro emisfero nessuno ha mai guardato da che parte vada l'acqua, ma anche perché dopo vari esperimenti in Brasile mi ero accorto che è molto difficile capirlo. Il risucchio è troppo rapido per poterlo seguire, e probabilmente la sua direzione dipende dalla forza e dall'inclinazione del getto, dalla forma del lavabo o della vasca. E poi, se fosse vero, che cosa accadrebbe all'equatore? Forse l'acqua colerebbe a picco, senza mulinello, o non colerebbe affatto?

A quel tempo non drammatizzai troppo il problema, ma sabato sera pensavo che tutto dipendesse dalle correnti telluriche e che il Pendolo ne celasse il segreto.

Amparo era ferma nella sua fede. "Non importa che cosa accada nel caso empirico," mi diceva, "si tratta di un principio ideale, da verificare in condizioni ideali, e quindi mai. Ma è vero."

A Milano Amparo mi era apparsa desiderabile per il suo disincanto. Laggiù, reagendo agli acidi della sua terra, diventava qualcosa di più imprendibile, lucidamente visionaria e capace di razionalità sotterranee. La sentivo agitata da passioni antiche, vigile nel tenerle a freno, patetica nel suo ascetismo che le comandava di rifiutarne la seduzione.

Misurai le sue splendide contraddizioni vedendola discutere coi suoi compagni. Erano riunioni in case malmesse, decorate con pochi poster e molti oggetti folcloristici, ritratti di Lenin e terrecotte nordestine che celebravano il cangaceiro, o feticci amerindi. Non ero arrivato in uno dei momenti politicamente più limpidi e avevo deciso, dopo l'esperienza in patria, di tenermi lontano dalle ideologie, specie laggiù, dove non le capivo. I discorsi dei compagni di Amparo aumentarono la mia incertezza, ma mi stimolarono nuove curiosità. Erano naturalmente tutti marxisti, e a prima vista parlavano quasi come un marxista europeo, ma parlavano di una cosa diversa, e improvvisamente nel corso di una discussione sulla lotta di classe parlavano di "cannibalismo brasiliano", o del ruolo rivoluzionario dei culti afro-americani.

Fu sentendo parlare di questi culti che mi convinsi che laggiù anche il risucchio ideologico va per il verso opposto. Mi disegnavano un panorama di migrazioni pendolari interne, coi diseredati del nord che scendevano verso il sud industriale, si sottoproletarizzavano in metropoli immense, asfissiati da nuvole di smog, ritornavano disperati al nord, per riprendere un anno dopo la fuga verso il sud; ma in questa oscillazione molti si arenavano nelle grandi città e venivano assorbiti da una pleiade di chiese autoctone, si davano allo spiritismo, all'evocazione divinità africane... E qui i compagni di Amparo si dividevano, per alcuni questo dimostrava un ritorno alle radici, un’opposizione al mondo dei bianchi, per altri i culti erano la droga con cui la classe dominante teneva a freno un immenso potenziale rivoluzionario, per altri ancora erano il crogiolo dove bianchi, indios e negri si fondevano, disegnando prospettive ancora vaghe e dall'incerto destino. Amparo era decisa, le religioni sono state ovunque l’oppio dei popoli e a maggior ragione lo erano i culti pseudo-tribali. Poi la tenevo alla vita nelle "escolas de samba", quando partecipavo anch'io ai serpenti di danzatori, che disegnavano sinusoidi ritmate dal battito insostenibile dei tamburi, e mi accorgevo che a quel mondo essa aderiva coi muscoli dell'addome, col cuore, con la testa, con le narici... E poi ancora uscivamo, e lei era la prima ad anatomizzarmi con sarcasmo e rancore la religiosità profonda, orgiastica, di quella lenta dedizione, settimana per settimana, mese per mese, al rito del carnevale. Altrettanto tribale e stregonesco, diceva con odio rivoluzionario, dei riti calcistici, che vedono i diseredati spendere la loro energia combattiva, e il senso della rivolta, per praticare incantesimi e fatture, e ottenere dagli dei di ogni mondo possibile la morte del terzino avversario, dimentichi del dominio che li voleva estatici ed entusiasti, condannati all'irrealtà.

Lentamente smarrii il senso della differenza. Così come mi stavo a poco a poco abituando a non cercar di riconoscere le razze, in quell'universo di volti che raccontavano storie centenarie di ibridazioni incontrollate. Rinunciai a stabilire dove stesse il progresso, dove la rivolta, dove la trama – come si esprimevano i campagli di Amparo – del capitale. Come potevo pensare ancora europeo, quando apprendevo che le speranze dell'estrema sinistra erano tenute vive da un vescovo del Nordeste, sospetto di aver simpatizzato in gioventù per il nazismo, che con intrepida fede teneva alta la fiaccola della rivolta, sconvolgendo il Vaticano spaurito, e i barracuda di Wall Street, infiammando di giubilo l'ateismo dei mistici proletari, conquistati dallo stendardo minaccioso e dolcissimo di una Bella Signora, che trafitta di sette dolori mirava le sofferenze del suo popolo?

Una mattina, uscito con Amparo da un seminario sulla struttura di classe del Lumpenproletariat, percorrevamo in macchina una litoranea.

Lungo la spiaggia vidi delle offerte votive, delle candeline, delle corbeille bianche. Amparo mi disse che erano offerte a Yemanjà, la dea delle acque. Scese dalla macchina, si recò compunta sulla battigia, ristette alcuni momenti in silenzio. Le chiesi se ci credeva. Mi domandò con rabbia come potessi crederlo. Poi aggiunse: "Mia nonna mi portava qui sulla spiaggia, ed invocava la dea, perché io potessi crescere bella e buona e felice. Chi è quel vostro filosofo che parlava dei gatti neri, e delle corna di corallo, e ha detto ‘non è vero, ma ci credo’? Bene, io non ci credo, ma è vero." Fu quel giorno che decisi di risparmiare sugli stipendi, e tentare un viaggio a Bahia.

 

Ma fu anche allora, lo so, che iniziai a lasciarmi cullare dal sentimento della somiglianza: tutto poteva avere misteriose analogie con tutto.

Quando tornai in Europa trasformai questa metafisica in una meccanica – e per questo precipitai nella trappola ove ora mi trovo. Ma allora mi mossi in un crepuscolo dove si annullavano le differenze. Razzista, pensai che le credenze altrui sono per l'uomo forte occasioni di blando fantasticare.

Appresi dei ritmi, dei modi di lasciare andare il corpo e la mente. Me lo dicevo l'altra sera nel periscopio, mentre per combattere il formicolio delle membra le muovevo come se percotessi ancora l'agogò. Vedi, mi dicevo, per sottrarti al potere dell'ignoto, per mostrare a te stesso, che non ci credi, né accetti gli incantamenti. Come un ateo confesso, che di notte veda il diavolo, e ragioni ateisticamente così: lui certo non esiste, e questa è un'illusione dei miei sensi eccitati, forse dipende dalla digestione, ma lui non lo sa, e crede nella sua teologia a rovescio. Che cosa, a lui sicuro di esistere, farebbe paura? Ti fai il segno della croce e lui, credulo, scompare in un'esplosione di zolfo.

Così è accaduto a me come a un etnologo saccente che per anni abbia studiato il cannibalismo e, per sfidare l'ottusità dei bianchi, racconti a tutti che la carne umana ha un sapore delicato. Irresponsabile, perché sa che non gli accadrà mai di assaggiarla. Sino a che qualcuno, ansioso di verità, non voglia provare su di lui. E mentre viene divorato brano a brano non saprà più chi abbia ragione, e quasi spera che il rito sia buono, per giustificare almeno la propria morte. Così l'altra sera dovevo credere che il Piano fosse vero, altrimenti negli ultimi due anni sarei stato l'architetto onnipossente di un incubo maligno. Meglio che l'incubo fosse realtà, se una cosa è vera è vera, e tu non c'entri.
24

Sauvez la faible Aischa des vertiges de Nahash, sauvez la plaintive Héva des mirages de la sensibilité, et que les Khérubs me gardent.

Qoséphin Péladan, Comment on devient Fée, Paris, Chamuel, 1893, p. XIII)

 

Mentre mi inoltravo nella selva delle somiglianze, ricevetti la lettera di Belbo.

 

Caro Casaubon,

Non sapevo, sino all'altro giorno, che lei fosse in Brasile, avevo perso del tutto le sue tracce, non sapevo neppure che si fosse laureato (complimenti), ma da Pilade ho trovato chi mi ha fornito le sue coordinate. Mi pare opportuno metterla al corrente di alcuni fatti nuovi che riguardano la sfortunata vicenda del colonnello Ardenti. Sono passati più di due anni, mi pare, e mi deve scusare ancora, sciino io che l'ho messa nei pasticci quella mattina, senza volerlo.

Avevo quasi dimenticato quella brutta storia, ma due settimane fa sono andato in gita nel Montefeltro e sono capitato alla rocca di San Leo. Pare che nel Settecento fosse dominio pontificio, e il papa vi abbia chiuso dentro Cagliostro, in una cella senza porta (si entrava, per la prima e per l'ultima volta, da una botola nel soffitto) e con una finestrella da cui il condannato poteva vedere solo le due chiese del villaggio. Sul ripiano dove Cagliostro dormiva ed è morto ho visto un mazzo di rose, e mi hanno spiegato che vi sono ancora molti devoti che vanno in pellegrinaggio nel luogo del martirio. Mi hanno detto che tra i pellegrini più assidui c'erano i membri di Picatrix, un cenacolo milanese di studi misteriosofici, che pubblica una rivista — apprezzi la fantasia — che si chiama Picatrix.

Sa che sono curioso di queste bizzarrie, e a Milano mi sono procurato un numero di Picatrix, da cui ho appreso che si doveva celebrare entro qualche giorno un'evocazione dello spirito di Cagliostro. Ci sono andato.

Le pareti erano damascate con stendardi pieni di segni cabalistici, grande spreco di gufi e civette, scarabei e ibis, divinità orientali di incerta provenienza. Sul fondo c'era un palco, con un proscenio di fiaccole ardenti su supporti di rozzo ceppo, sullo sfondo un altare con pala triangolare e due statuette di Iside e Osiride. Intorno, un anfiteatro di figure di Anubi, un ritratto di Cagliostro (di chi se no, le pare?), una mummia dorata formato Cheope, due candelabri a cinque braccia, un gong sostenuto da due serpenti rampanti, un leggio su un podio ricoperto di cotonina stampata a geroglifici, due corone, due tripodi, un sarcofaghetto ventiquattrore, un trono, una poltrona falso Seicento, quattro sedie scompagnate tipo banchetto presso lo sceriffo di Nottingham, candele, candeline, candelone, tutto un ardore molto spirituale.

Insomma, entrano sette chierichetti in sottanina rossa e torcia, e poi il celebrante, che pare sia il direttore di Picatrix — e si chiamava Brambilla, gli dei lo perdonino — con paramenti rosa e oliva, e poi la pupilla, o medium, e poi sei ac-coliti biancovestiti che sembravano tanti Ninetto Davoli ma con infula, quella del dio, se ricorda i nostri poeti.

I1 Brambilla si mette in testa un triregno con mezzaluna, afferra uno spadone rituale, traccia sul palco figure magiche, evoca alcuni spiriti angelici col finale in "el", e a quel punto a me vengono vagamente in mente quelle diavolerie pseudo-semitiche del messaggio di Ingolf, ma è faccenda di un attimo e poi mi distraggo. Anche perché a quel punto succede qualcosa di singolare, i microfoni del palco sono collegati con un sintonizzatore, che dovrebbe raccogliere delle onde vaganti per lo spazio, ma l'operatore, con infula, deve aver commesso un errore, e prima si sente della disco-music e poi entra in onda Radio Mosca. Il Brambilla apre il sarcofago, ne trae un grimoire, sciabola con un turibolo e grida "o signore venga il tuo regno" e sembra ottenere qualcosa perché Radio Mosca tace, ma nel momento più magico riprende con un canto di cosacchi avvinazzati, di quelli che ballano col sedere raso terra. Brambilla invoca la Clavicula Salomonis, brucia una pergamena sul tripode rischiando un rogo, evoca alcune divinità del tempio di Karnak, chiede con petulanza di essere posto sulla pietra cubica di Esod, e chiama insistentemente un certo Familiare 39, che al pubblico doveva essere familiarissimo perché un fremito pervade la sala. Una spettatrice cade in trance con gli occhi in su, che si vede solo il bianco, la gente grida un medico un medico, a questo punto il Brambilla chiama in causa il Potere dei Pentacoli e la pupilla, che si era frattanto seduta sulla poltrona falso Seicento, incomincia ad agitarsi, a gemere, il Brambilla le si fa addosso interrogandola ansiosamente, ovvero interrogando il Familiare 39, che come intuisco in quel momento è il Cagliostro stesso medesimo.

Ed ecco che incomincia la parte inquietante, perché la ragazza fa davvero pena e soffre sul serio, suda, trema, bramisce, incomincia a pronunciare frasi spezzate, parla di un tempio, di una porta da aprire, dice che si sta creando un vortice di forza, che bisogna salire verso la Grande Piramide, il Brambilla si agita sul palco percotendo il gong e chiamando Iside a gran voce, io mi sto godendo lo spettacolo, quando sento che la ragazza, tra un sospiro e un gemito, parla di sei sigilli, di centoventi anni di attesa e di trentasei invisibili. Non ci sono più dubbi, sta parlando del messaggio di Provins. Mentre mi attendo di sentire di più, la ragazza si accascia esausta, il Brambilla la accarezza sulla fronte, benedice gli astanti col turibolo e dice che il rito è finito.

Un poco ero impressionato, un poco volevo capire, e cerco di avvicinarmi alla ragazza, che intanto si è riavuta, si è infilata un soprabito abbastanza malmesso e sta uscendo dal retro. Sto per toccarla su una spalla e mi sento prendere per un braccio. Mi volto ed è il commissario De Angelis, che mi dice di lasciarla stare, tanto lui sa dove trovarla. Mi invita a prendere un caffè. Lo seguo, come se mi avesse colto in fallo, e in un certo senso era vero, e al bar mi chiede perché io ero là e perché cercavo di avvicinare la ragazza. Mi secco, gli rispondo che non viviamo in una dittatura, e che io posso avvicinare chi voglio. Lui si scusa, e mi spiega: le indagini su Ardenti erano andate a rilento, ma avevano cercato di ricostruire come avesse passato i due giorni a Milano prima di vedere quelli della Garamond e il misterioso Rakosky. A distanza di un anno, per un colpo di fortuna, era venuto fuori che qualcuno aveva visto l'Ardenti uscire dalla sede di Picatrix, con la sensitiva. La sensitiva d’altra parte lo interessava perché conviveva con un individuo non ignoto alla squadra narcotici.

Gli dico che ero là per puro caso, e che mi aveva colpito il fatto che la ragazza aveva detto una frase su sei sigilli che avevo sentito dire dal colonnello. Lui mi fa osservare che è strano che mi ricordi così bene a due anni di distanza che cosa aveva detto il colonnello, visto che il giorno dopo avevo accennato solo a un vago discorso sul tesoro dei Templari. Io gli dico che il colonnello aveva parlato appunto di un tesoro, protetto da qualcosa come sei sigilli, ma che non avevo pensato fosse un particolare importante, perché tutti i tesori sono protetti da sette sigilli e da scarabei d'oro. E lui osserva che non vede perché avessero dovuto colpirmi le parole della medium, dato che tutti i tesori sono protetti da scarabei d'oro. Gli chiedo che non mi tratti come un pregiudicato, e lui cambia tono e si mette a ridere. Dice che non trovava strano che la ragazza avesse detto quello che aveva detto, perché in qualche modo Ardenti doveva averle parlato delle sue fantasie, magari cercando di usarla come tramite per qualche contatto astrale, come dicono in quell'ambiente. La sensitiva è una spugna, una lastra fotografica, deve avere un inconscio che sembra un luna park — mi ha detto — quelli di Picatrix le fanno probabilmente il lavaggio del cervello tutto l'anno, non è inverosimile che in stato di trance — perché la ragazza fa sul serio, non finge, e non ha la testa a posto — le siano riaffiorate delle immagini che l'avevano impressionata tempo fa.

Ma due giorni dopo De Angelis mi capita in ufficio, e mi dice guarda che strano, il giorno dopo lui è andato a cercare la ragazza, e questa non c'era. Chiede ai vicini, nessuno l'ha vista, più o meno dal pomeriggio prima della sera del rito fatale, lui si insospettisce, entra nell'appartamento, lo trova tutto in disordine, lenzuola per terra, cuscini in un angolo, giornali calpestati, cassetti vuoti. Scomparsa, lei e il suo drudo o amante o convivente che dir si volesse.

Mi dice che se so qualcosa di più è meglio che parli perché è strano che la ragazza si sia volatilizzata e le ragioni sono due: o qualcuno si è accorto che lui, De Angelis, la teneva d'occhio, o hanno notato che un certo Jacopo Belbo cercava di parlarle. E quindi le cose che aveva detto in trance forse si riferivano ad alcunché di serio, e nemmeno Essi, fossero chi fossero, si erano mai resi conto che lei sapesse tanto. "Metta poi che a qualche mio collega venisse in mente che ad ammazzarla è stato lei," ha aggiunto De Angelis con un bel sorriso, "e vede che ci conviene marciare uniti." Stavo per perdere la calma, dio sa che non mi succede spesso, gli ho chiesto perché mai una persona che non si fa trovare in casa dovrebbe essere stata ammazzata, e lui mi ha chiesto se ricordavo la storia di quel colonnello. Gli ho detto che in ogni caso, se l'avevano ammazzata o rapita, era stato quella sera mentre io ero con lui, e lui mi ha chiesto come facevo ad esserne così sicuro, perché ci eravamo lasciati verso mezzanotte e dopo non sapeva cosa fosse successo, gli ho chiesto se diceva sul serio, lui mi ha chiesto se non avevo mai letto un libro giallo e non sapevo che la polizia deve sospettare per principio di chiunque non abbia un alibi luminoso come Hiroshima, e che donava la testa per un trapianto anche subito se io avevo un alibi per il periodo tra la una e il mattino dopo.

Che dirle, Casaubon, forse facevo bene a raccontargli la verità, ma quelli delle nostre parti sono testardi e non riescono mai a fare marcia indietro.

Le scrivo perché, come io ho trovato il suo indirizzo, così potrebbe trovarlo De Angelis: se si mette in contatto con lei, sappia almeno la linea che ho tenuto io. Ma siccome mi pare una linea pochissimo retta, se lei crede, dica tutto. Mi vergogno, mi scusi, mi sento complice di qualche cosa, e cerco una ragione,appena appena nobile, per giustificarmi, e non la trovo. Devono essere le mie origini contadine, in quelle nostre campagne siamo brutta gente.

Tutta una storia — come si dice in tedesco — unheimlich.

Il suo Jacopo Belbo.
25

... questi misteriosi iniziati, divenuti numerosi, arditi, cospira-tori: gesuitismo, magnetismo, martinismo, pietra filosofale, sonnambulismo, eclettismo, tutto nasce da loro.

(C.-L. Cadet-Gassicourt, Le tombeau de Jacques de Molay, Paris, Desenne, 1797, p. 91)

 

La lettera mi turbò. Non per timore di essere cercato da De Angelis, figuriamoci, in un altro emisfero, ma per ragioni più impercettibili. In quel momento pensai che mi irritava che mi tornasse di rimbalzo laggiù un mondo che avevo lasciato. Ora comprendo che ciò che mi perturbava era un'ennesima trama della somiglianza, il sospetto di un'analogia. Come reazione istintiva pensai che mi infastidiva ritrovare Belbo con la sua eterna coda di paglia. Decisi di rimuovere tutto, e non menzionai la lettera ad Amparo.

Fui aiutato dalla seconda lettera, che Belbo mi inviò due giorni dopo, e per rassicurarmi.

La storia della sensitiva si era conclusa in modo ragionevole. Un confidente della polizia aveva raccontato che l'amante della ragazza era stato implicato in un regolamento di conti per via di una partita di droga, che aveva venduto alla spicciolata invece di consegnarla all'onesto grossista che l'aveva già pagata. Cose che nell'ambiente sono molto mal viste. Per salvare la pelle si era volatilizzato. Ovvio che avesse portato con sé la sua donna. Spulciando poi tra i giornali rimasti nel loro appartamento De Angelis aveva trovato delle riviste tipo Picatrix con una serie di articoli vistosamente sottolineati in rosso. Uno riguardava il tesoro dei Templari, un altro i Rosa-Croce che vivevano in un castello o in una caverna o che diavolo d'altro, in cui stava scritto "post 120 annos patebo", ed erano stati definiti come trentasei invisibili. Per De Angelis quindi era tutto chiaro. La sensitiva si cibava di quella letteratura (che era la stessa di cui si cibava il colonnello) e poi la rigurgitava quando era in trance. La faccenda era chiusa, passava alla squadra narcotici.


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 40 | Нарушение авторских прав



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