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Il pendolo di Foucault 11 страница

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"Altra sottile ambiguità, altra luminosa analogia mistica! Certamente il sesto appuntamento è su una pietra, e vedremo dove, ma su quella pietra, ormai compiutasi la trasmissione del piano e l'apertura dei sei sigilli, i cavalieri sapranno dove trovare la Pietra! Che è poi il gioco evangelico, tu sei Pietro e questa pietra... Sulla pietra troverete la Pietra."

"Non può essere che essere così," disse Belbo. "Prego, proceda. Casaubon, non interrompa sempre. Siamo ansiosi di conoscere il resto."

"Dunque," disse il colonnello, "il riferimento evidente al Graal mi ha fatto a lungo pensare che il tesoro fosse Immenso deposito di materiale radioattivo, magari caduto da altri pianeti. Considerino per esempio, nella leggenda, la misteriosa ferita di re Amfortas... Sembra un radiologo che si sia esposto troppo... E infatti non lo si deve toccare. Perché? Pensino all'emozione che i Templari debbono aver provato quando sono arrivati sulle rive del mar Morto, loro lo sanno, acque bituminose pesantissime, su cui si galleggia come sughero, e con proprietà curative... Potrebbero aver scoperto in Palestina un deposito di radio, di uranio, che hanno capito di non poter sfruttare subito. I rapporti tra il Graal, i Templari e i catari sono stati studiati scientificamente da un valoroso ufficiale tedesco, parlo di Otto Rahn, un Obersturmbannführer delle SS che ha dedicato la vita a meditare con alto rigore sulla natura europea ed ariana del Graal — non voglio dire come e perché perse la vita nel 1939, ma c'è chi asserisce... be', posso dimenticare quel che accadde a Ingolf?... Rahn ci mostra i rapporti tra il Vello d'Oro degli Argonauti e il Graal... insomma è evi-dente che c'è un legame tra il Graal mistico della leggenda, la pietra filosofale (lapis!) e quella sorgente di potenza immensa a cui aspiravano i fedeli di Hitter alla vigilia della guerra, e sino all'ultimo respiro. Notino che in una versione della leggenda gli Argonauti vedono una coppa, dico una coppa, planare al di sopra della Montagna del Mondo con l'Albero della Luce. Gli Argonauti trovano il Vello d'Oro e la loro nave viene portata per incantesimo in piena Via Lattea, nell'emisfero boreale dove con la Croce, il Triangolo e l'Altare domina e afferma la mira luminosa del Dio eterno. Il triangolo simboleggia la Trinità divina, la croce il divino Sacrificio d'amore e l'altare è la Tavola della Cena, che portava la Coppa della Resurrezione. È evidente l'origine celtica e ariana di tutti questi simboli.»

Il colonnello sembrava preso dalla stessa esaltazione eroica che aveva spinto al supremo sacrificio il suo obersturmunddrang o come diavolo si chiamava. Occorreva riportarlo alla realtà.

"La conclusione?" chiesi.

"Signor Casaubon, non la vede coi suoi occhi? Si è parlato del Graal come Pietra Luciferina, avvicinandolo alla figura del Bafometto. Il Graal è una fonte di energia, i Templari erano i custodi di un segreto energetico, e tracciano il loro piano. Dove si stabiliranno le sedi ignote? Qui, signori miei," e il colonnello ci guardò con aria complice, come se stessimo cospirando insieme, "io avevo una pista, errata ma utile. Un autore che doveva aver orecchiato qualche segreto, Charles-Louis Cadet-Gassicourt (guarda caso, la sua opera appariva nella bibliotechina di Ingolf scrive nel 1797 un libro, Le tombeau de Jacques Molay ou le secret des conspirateurs à ceux qui veulent tout savoir, e sostiene che Molay, prima di morire, costituisce quattro logge segrete, a Parigi, in Scozia, a Stoccolma e a Napoli. Queste quattro logge avrebbero dovuto sterminare tutti i monarchi e distruggere la potenza del papa. D'accordo, Gassicourt era un esaltato, ma io sono partito dalla sua idea per stabilire dove veramente i Templari potevano collocare le loro sedi segreti. Non avrei potuto comprendere gli enigmi del messaggio se non avessi avito un'idea fida, natotele. Ma l'avevo, ed era la persuasione, fandats su innumerevoli evidenze, che lo spirito templare era. di ispirazione celtica, druidica: era lo spiriti dell'arianesimo nordica che la tradizione ident ifica con l'isola di Avalon, sede della vera civiltà iperborea. Sapranno che vari autori hanno identificato Avalon col giardino delle Esperidi, con la Ultima Thule e con 1a Colchide del Vello d'Oro. Non a caso il più grande ordine cavalleresco della storia è il Tosan d'Oro. Col che diventa chiaro che casa celi l’espressione ‘Castello’. E il castello iperboreo dove i Templari custodivano il Graal, probabilmente il Monsalvato della leggenda."

Fece una pausa. Voleva che pendessimo dalle sue labbra. Pendevamo.

"Veniamo al secondo comando: i guardiani del sigillo. dovranno andare là dove ci sono colui o coloro che hanno fatto qualcosa con il pane. Di per sé 1'indicaaíone è chiarissima: il Graal è la coppa del sangue di Cristo, il pane è la carne di Cristo, il luogo dove si è mangiato il pane è il luogo dell'Ultima Cena, a Gerusalemme. Impossibile pensare che i Templari, anche dopo la riconquista saracena, non avessero conservato una base segreta laggiù. A esser franco, all’inizio mi disturbava questo elemento giudlaico in un piano che sta interamente sotto il segno di una mitologia ariana. Poi ci ho ripensato, siamo noi che continuiamo a considerare Gesù come espressione detta religiosità giudaica, perché così ci ripete la chiesa di Roma. I Templari sapevano benissimo che Gesù è un mito cetico. Tutto il racconto evangelico è un'allegoria ermetica, resurrezione dopo essersi dissolto nelle viscere della terra eccetera eccetera. Cristo altro non èche l’Elisir degli alchimisti. D’altra parte tutti sanno che la trinità è nozione ariana, ed ecco perché tutta la regola templare, acuta daun druida come san Bernardo, è dominata dal numero tre.

Il colonnello aveva bevuto un altro sorso d'acqua. Era rauco. "E veniamo alla terza tappa, il Rifugio. È il Tibet."

"E perché il Tibet?"

"Ma perché, anzitutto, von Eschenbach racconta che i Templari abbandonano l'Europa e trasportano il Graal in India. La culla della stirpe ariana. Il rifugio è ad Agarttha. Loro avranno sentito parlare di Agarttha, sede cal re del mondo,la città sotterranea da cui i Signori del Mondo do-minano e dirigono le vicende della storia umana. I Templari hanno costruito uno dei loro centri segreti là alle radici stesse della loro spiritualità. Loro conosceranno i rapporti tra il regno di Agarttha e la Sinarchia..."

"Veramente no…"

"Megli così ci sono segreti che uccidono. Non divaghiamo. In ogni caso tutti sanno che Agarttha è stato fondato seimila anni fa, all'inizio dell’epoca del Kali-Yuga, nella quale stiamo ancora vivendo. Il compito degli ordini cavallereschi è sempre stato quello di mantenere il rapporto con questo centro segreto, la comunicazione attiva tra la saggezza d’Oriente e la saggezza d’Occidente. E a questo punto è chiaro dove debba avvenire il quarto appuntamento, in un altro dei santuari druidici, la città della Vergine, e cioè la cattedrale di Chartres. Chartres rispetto a Provins si trova dall'altro lato del fiume principale dalle de Frame, la Senna."

Non riuscivamo più a seguire il nostro interlocutore: "Ma che cosa c'entra Chartres nel suo percorso celtico e druidico?"

"Ma da dove credono che venga l'idea della Vergine? Le primi vergini che appaiono in Europa sono le vergini nere dei celti. San Bernardo da giovane stava in ginocchio, nella chiesa di Saint Voirles, davanti a una vergine nera ed essa spremette dal seno tre gocce di latte che caddero sulle labbra del futuro fondatore dei Templari. Di lì i romanzi del Graal, per creare una copertura alle crociate, e le crociate per ritrovare il Graal. I benedettini sono gli eredi dei druidi, lo sanno tutti."

"Ma dove sono queste vergini nere?"

"Fatte scomparire da chi voleva inquinare la tradizione nordica e trasformare la religiosità celtica nella religiosità mediterranea, inventando il mito di Maria di Nazareth. Oppure travestite, snaturate, come le tante madonne nere che ancora si espongono al fanatismo delle masse. Ma se si va a leggere bene le immagini delle cattedrali, come ha fatto il grande Fulcanelli, si vede che questa storia è raccontata a chiare lettere e a chiare lettere viene rappresentato il rapporto che lega le vergini celtiche alla tradizione alchemica di origine templare, che farà della vergine nera il simbolo della materia prima su cui lavorano i cercatori di quella pietra filosofale che, lo si è visto, altro non è che il Graal. E ora riflettano da dove è giunta l'ispirazione a quell'altro grande iniziato dai druidi, Maometto, per la pietra nera della Mecca. A Chartres qualcuno ha murato la cripta che mette in comunicazione con il sito sotterraneo dove sta ancora la statua pagana originaria, ma a cercar bene potete ancora trovare una vergine nera, Notre-Dame du Pillier, scolpita da un canonico odinista. La statua stringe in mano il cilindro magico delle grandi sacerdotesse di Odino e alla sua sinistra è scolpito il calendario magico dove apparivano — dico purtroppo apparivano, perché queste sculture non si sono salvate dal vandalismo dei canonici ortodossi — gli animali sacri dell'odinismo, il cane, l'aquila, il leone, l'orso bianco e il lupo mannaro. D'altra parte non è sfuggito a nessuno tra gli studiosi dell'esoterismo gotico che sempre a Chartres appare una statua che reca in mano la coppa del Graal. Eh, signori miei, se si sapesse ancora leggere la cattedrale di Chartres non secondo le guide turistiche cattoliche apostoliche e romane, ma sapendo vedere, dico vedere con gli occhi della Tradizione, la vera storia che quella rocca di Erec racconta..."

"E adesso arriviamo ai popelicans. Chi sono?"

"Sono i catari. Uno degli appellativi dati agli eretici era popelicani o popelicant. I catari di Provenza sono stati distrutti, non sarò così ingenuo da pensare a un appuntamento tra le rovine di Montsegur, ma la setta non è morta, c'è tutta una geografia del catarismo occulto da cui nascono persino Dante, gli Stilnovisti, la setta dei Fedeli d'Amore. Il quinto appuntamento è da qualche parte nell'Italia settentrionale o nella Francia meridionale."

"E l'ultimo appuntamento?»

"Ma qual è la più antica, la più sacra, la più stabile delle pietre celtiche, il santuario della divinità solare, l'osservatorio privilegiato da cui, giunti alla fine del piano, i discendenti dei Templari di Provins possono confrontare, ormai riuniti, i segreti celati dai sei sigilli e scoprire infine il modo di sfruttare l'immenso potere consentito dal possesso del Santo Graal? Ma è in Inghilterra, è il cerchio magico di Stonehenge! E che altro?»

"O basta là," disse Belbo. Solo un piemontese può capire l'animo con cui si pronuncia questa espressione di educata stupefazione. Nessuno dei suoi equivalenti in altra lingua o dialetto (non mi dica, dis donc, are you kidding?) può rendere il sovrano senso di disinteresse, il fatalismo coi cui essa riconferma l'indefettibile persuasione che gli altri siano, e irrimediabilmente, figli di una divinità maldestra.

Ma il colonnello non era piemontese, e parve lusingato dalla reazione di Belbo.

"Eh sì. Ecco il piano, ecco l'ordonation, nella sua mirabile semplicità e coerenza. E notino, prendano una carta dell'Europa e dell'Asia, traccino la linea di sviluppo del piano, dal nord dove sta il Castello a Gerusalemme, da Gerusalemme ad Agarttha, da Agarttha a Chartres, da Chartres ai bordi del Mediterraneo e di lì a Stonehenge.Ne verrà fuori un uaccîato, una runa pressapoco di questa forma.»

"E allora?" chiese Belbo.

"E allora è la stessa runa che connette idealmente alcuni dei principali centri dell'esoterismo temer, Arnie" Troyes, regno di San Bernardo ai bordi della Fôret d'Orient, Reims, Chartres, Rennes-le-Château e il Mont Saint-Michel, luogo di antichissimo culto druidico. E questo stesso disegno ricorda la costellazione della Vergine!"

"Mi diletto di astronomia," disse timidamente Diotallevi, "e per quanto ricordo la Vergine ha un disegno diverso e conta, mi pare, undici stelle…"

Il colonnello sorrise con indulgenza: "Signori, signori, sanno meglio di dipende da come si tracciano le linee, e si può avere un carro o un’orsa, a piacere, e come è difficile decidere se una stella stia fuori o dentro una costellazione. Si rivedano la Vergine, fissino la Spica come punto inferiore, corrispondente alla costa provenzale, identifichino solo cinque stelle, e la rassomiglianza fra i tracciati sarà impressionante."

"Basta decidere quali stelle scartare," disse Belbo.

"Appunto," confermò il colonnello.

"Senta," disse Belbo "come può escludere che gli incontri siano avvenuti regolarmente e che i cavalieri siano già al lavoro senza che lo sappiamo?"

"Non ne colgo i sintomi, e mi permetta di aggiungere 'purtroppo'. ll piano si è interrotto e forse coloro che dovevano portarlo a termine non ci sono più, i gruppi dei trentasei si sono dissolti nel corso di qualche catastrofe mondiale. Ma un gruppo di animosi che avesse le informazioni giuste potrebbe riprendere le fila della trama. Quel qualcosa è ancora 1à. E io sto cercando gli uomini giusti. Per questo voglio pubblicare il libro, per stimolare delle reazioni. E contemporaneamente cerco di pormi in contatto con persone che possano aiutarmi a cercare la risposta nei meandri del sapere tradizionale. Oggi ho voluto incontrare il massimo esperto in materia. Ma ahimè, pur essendo un luminare, non ha saputo dirmi nulla, anche se si è molto interessato alla mia storia e mi ha promesso una prefazione... "

"Mi scusi," gli chiese Belbo, "ma non è stato imprudente confidare il suo segreto a quel signore? È lei che ci ha parlato dell'errore di Ingolf..

"La prego," rispose il colonnello, "Ingolf era uno sprovveduto. Io ho preso contatto con uno studioso al di sopra di ogni sospetto. Persona che non azzarda ipotesi avventate. Tanto che oggi mi ha chiesto di attendere ancora a presentare la mia opera a un editore, sino a che non avete chiarito tutti i punti controversi... Non volevo alienarmi la sua simpatia e non gli ho detto che sarei venuto qui, ma capiranno che giunto a questa fase della mia fatica sono giustamente impaziente. Quel signore.... oh via, al diavolo la riservatezza, non vorrei che loro pensassero che misata. Si tratta del Rakosky..."

Fece una pausa, attendendo le nostre reazioni.

"Chi?» lo deluse Belbo.

"Ma il Rakosky! Un'autorità negli studi tradizionali, già direttore dei Cahiers du Mystère '"

"Ah," disse Belbo, "Sì, sì, mi pare, Rakosky, certo..."

"Ebbene, mi riservo di stendere definitivamente il mio testo dopo aver ascoltato ancora i consigli di quel signore, ma intendo bruciare le tappe e se intanto raggiungessi un accordo con la vostra casa... Lo ripeto, ho fretta di suscitare reazioni, raccogliere notizie... In giro c'è chi sa e non parla... Signori, malgrado si accorga che la guerra è perduta, proprio intorno al '44 Hitler incomincia a parlare di un'arma segreta che gli permetterà di rovesciare la situazione. È pazzo, si dice. E se non fosse stato pazzo? Mi seguono?" Aveva la fronte coperta di sudore e i baffi quasi irti, come un felino. "Insomma," disse, "io lancio l'esca. Vedremo se qualcuno si fa vivo."

 

Da quello che sapevo e pensavo allora di lui, mi attendevo quel giorno che Belbo lo mettesse fuori con qualche frase di circostanza. Invece disse: "Senta colonnello, la cosa è enormemente interessante, al di là del fatto se sia opportuno concludere con noi o con altri. Lei può rimanere ancora,una decina di minuti, vero colonnello?" Poi si rivolse a mie: «Per lei è tardi, Casaubon, e l'ho trattenuta qui anche troppo. Ci vediamo caso mai domani, no?"

Era un congedo. Diotallevi mi prese sottobraccio e disse che veniva via anche lui. Salutammo. Il colonnello strinse con calore la mano a Diotalllevi e a me fece un cenno col capo, accompagnato da un sorriso freddo.

Mentre scendemmo le scale, Diotallevi mi disse "Si chiederà certamente perché Balbo le ha chiesto di uscire. Non la prenda come una scortesia. Belbo dovrà fare al colonnello una proposta editoriale molto riservata. Riservatezza, ordine del signor Garamond. Me ne vado anch'io, per non creare imbarazzo."

Come capii in seguito, Belbo cercava di gettare il colonnello nelle fauci della Manuzio.

 

Trascinai Diotallevi da Pilade, dove io bevvi un Campari e lui un rabarbaro. Gli sembrava, disse, monacale, arcaico e quasi templare. Gli chiesi che cosa pensasse del colonnello.

"Nelle case editrici," rispose, "confluisce tutta l'insipienza del mondo. Ma poiché nell'insipienza del mondo sfolgora la sapienza dell'Altissimo, il saggio osserva 1'insipiente con umiltà." Poi si scusò, doveva andare.

"Questa sera ho un convito," disse.

"Una festa?" chiesi.

Parve sconcertato dalla mia vanità. " Zohar," precisò, " Lekh Lekha. Pa gine ancora del tutto incomprese.
21

Il Graal… è peso sì grave che a creature in preda al peccato

non è dato di rimuoverlo di posto.

(Wolfram von Eschenbach, Parzival,IX, 477)

 

Il colonnello non mi era piaciuto, ma mi aveva interessato. Si può osservare a lungo, affascinati, anche un ramarro. Stavo assaporando le prime gocce di veleno che ci avrebbero portati tutti a perdizione.

Tornai da Balbo il pomeriggio seguente, e parlammo un poco del nostro visitatore. Belbo disse che gli era parso un mitomane: "Ha visto come citava quel Rocoschi o Rostropovich come se fosse Kant?"

"Ma poi sono storie vecchie," dissi. "Ingolf era un matto che ci credeva e il colonnello è un matto che crede a Ingolf."

"Forse ci credeva ieri e oggi crede a qualche cosa d'altro. Le dirò, ieri prima di lasciarlo gli ho fissato per stornane un appuntamento con... con un altro editore, una casa di bocca buona, disposta a pubblicare libri autofinanziati dall'autore. Sembrava entusiasta. Ebbene, ho saputo poco fa che non ci è andato. E dire che mi aveva lasciato qui la fotocopia del messaggio, guardi. Lascia in giro il segreto dei Templari come niente forme. Sono personaggi fatti così."

Fu in quell'istante che squillò il telefono.... Belbo rispose: "Sì? Sono Balbo, sì, casa editrice Garamond. Buongiorno, mi dica... Sì, è venuta ieri pomeriggio, per propormi un libro. Mi scusi, c'è un problema di riservatezza da parte mia, se lei mi dicesse... "

Ascoltò per qualche secondo, poi mi guardò, pallido, e mi disse: "Hanno ammazzato il colonnello, o qualcosa del genere." Tornò al suo interlocutore: "Mi scusi, lo stavo dicendo a Casaubon, un mio collaboratore che ieri era presente al colloquio... Dunque, il colonnello Ardenti è venuto a parlarci di un suo progetto, una storia che ritengo fantasiosa, su un presunto tesoro dei Templari. Erano dei cavalieri del Medioevo...»

Istintivamente coprì il microfono con la mano, come per isolare l'ascoltatore, poi vide che lo osservavo, ritirò la mano e parlò con qualche esitazione. "No, dottor De Angelis, quel signore ha parlato di un libro che voleva scrivere, ma sempre in modo vago... Come? Tutti e due? Ora? Mi segno l'indirizzo."

Riappese. Rimase in silenzio qualche secondo, tamburellando sulla scrivania. "Dunque, Casaubon, mi scusi, senza pensarci ho tirato in mezzo anche lei. Sono stato colto di sorpresa. Era un commissario, un certo De Angelis. Pare che il colonnello abitasse in un residence, e qualcuno dice di averlo trovato morto ieri notte..."

"Dice? E questo commissario non sa se è vero?"

"Sembra strano, ma il commissario non lo sa. Pare che abbiano trovato il mio nome e l'appuntamento di ieri segnati su di un taccuino. Credo che siamo la loro unica traccia. Che debbo dirle, andiamo."

Chiamammo un tassì. Durante il tragitto Belbo mi prese per un braccio. "Casaubon, magari si tratta di una coincidenza. In ogni caso, mio dio, forse ho uno spirito contorto, ma dalle mie parti si dice ‘sempre meglio non far nomi’... C'era una commedia natalizia, in dialetto, che andavo a vedere quand'ero ragazzo, una farsa devota, coi pastori che non si capiva se abitavano a Betlemme o sulle rive del Tanaro... Arrivano i re magi e domandano al garzone del pastore come si chiama il suo padrone e risponde Gelindo. Quando Gelindo lo viene a sapere, prende a bastonate il garzone perché, dice, non si mette un nome a disposizione di chiunque... In ogni caso, se lei è d'accordo, il colonnello non ci ha detto nulla di Ingolf e del messaggio di Provins."

"Non vogliamo fare la fine di Ingolf," dissi, tentando di sorridere.

"Le ripeto, è una sciocchezza. Ma da certe storie è meglio tenersi fuori.»

Mi dissi d'accordo, ma rimasi turbato. Alla fin fine ero uno studente che partecipava ai cortei, e un incontro con la polizia mi metteva a disagio. Arrivammo al residence. Non dei migliori, fuori centro. Ci indirizzarono subito all'appartamento — così lo definivano — del colonnello Ar-denti. Agenti sulle scale. Ci introdussero al numero 27 (sette e due nove, pensai): camera da letto, ingresso con un tavolino, cucinotto, bagnetto con doccia, senza tenda, dalla porta semiaperta non si vedeva se c'era il bidet, ma in un residence del genere era probabilmente la prima e l'unica comodità che i clienti pretendevano. Arredamento scialbo, non molti effetti personali, ma tutti in gran disordine, qualcuno aveva rovistato in fretta negli armadi e nelle valigie. Forse era stata la polizia, tra agenti in borghese e agenti in divisa contai una decina di persone.

Ci venne incontro un indvidu abbastanza giovane, coi capelli ab stanza lunghi. "Sono De Angelis. Il dottor Belbo? Il dottor Casaubon?" "Non sono dottore, studio ancora."

"Studi, studi. Se non si laurea non potrà fare i concorsi per entrare nella polizia e non sa che cosa perde." Aveva l'aria seccata. "Mi scusino, ma cominciamo subito dai preliminari necessari. Ecco, questo è il passaporto che apparteneva all'abitante di questa stanza, registrato come colonnello Ardenti. Lo riconoscano?"

"È lui," disse Belbo, "ma mi aiuti a orientarmi. Al telefono non ho capito se è morto, o se..."

"Mi piacerebbe tanto se me lo dicesse lei; disse De Angelis con una smorfia. "Ma immagino che loro abbiano il diritto di sapere qualcosa di più. Dunque, il signor Ardenti, o colonnello che fosse, era sceso qui da quattro giorni. Si saranno accorti che non è il Grand Hotel. Ci sono il portiere che va a dormire alle undici perché i clienti hanno una chiave del portone, una o due cameriere che vengono alla mattina per far le camere, e un vecchio alcolizzato che fa da facchino e porta da bere in camera al clienti quando suonano. Alcolizzato, insisto, e arteriosclerotico: interrogarlo è stato uno strazio. Il portiere sostiene che ha il pallino dei fantasmi e ha già spaventato alcuni clienti. Ieri sera verso le dieci il portiere vede rientrare l'Ardenti insieme a due persone che fa salire in camera. Qui non fanno caso se uno si porta di sopra una banda di travestiti, figuriamoci due persone normali, anche se secondo il portiere avevano un accento straniero. Alle dieci e mezzo l'Ardenti chiama vecchio e si fa portare una bottiglia di whisky, una minerale e tre bicchieri. Verso l'una o l'una e mezzo il vecchio sente suonare dalla camera ventisette, a strappi, dice. Ma da come lo abbiamo trovato stamane, a quell'ora doveva già essersi scolato molti bicchieri di qualche cosa, e di quella cattiva. Il vecchio sale, bussa, non rispondono, apre la porta col passepartout, trova tutto in disordine com'è ora e sul letto il colonnello, con gli occhi sbarrati e un filo dí ferro stretto intorno al collo. Allora scende di corsa, sveglia il portiere, nessuno dei due ha voglia di risalire, afferrano il telefono, ma la linea sembra interrotta. Questa mattina funzionava benissimo, ma diamogli credito. Allora il portiere corre alla piazzetta all'angolo dove c'è un telefono a gettoni, per chiamare la questura, mentre il vecchio si trascina dalla parte opposta, dove abita un dottore. Insomma, ci mettono venti minuti, tornano, aspettano da basso, tutti spaventati, il dottore intanto si è vestito e arriva quasi insieme alla pantera della polizia. Salgono al ventisette, e sul letto non c'è nessuno."

"Come nessuno?" chiese Belbo.

"Non c'è nessun cadavere. E da quel momento il medico se ne torna a casa e i miei colleghi trovano solo quel che vedete. Interrogano veda e portiere, coi risultati che vi ho detto. Dove erano i due signori saliti con l'Ardenti alle dieci? E chi lo sa, potevano essere usciti tra le undici e l'una e nessuno se ne sarebbe accorto. Erano ancora in camera quando è entrato il vecchio? E chi lo sa, lui ci è rimasto un minuto, e non ha guardato né nel cucinotto né nel gabinetto. Possono essere usciti mentre i due disgraziati andavano a chiamare aiuto, e portandosi via un cadavere? Non sarebbe impossibile, perché c'è una scala esterna che finisce in cortile, e lì si potrebbe uscire dal portone, che dà su una via laterale. Ma soprattutto, c'era davvero il cadavere, o il colonnello se ne era uscito diciamo a mezzanotte coi due tipi; e il vecchio si è sognato tutto? Il portiere ripete che non è la prima volta che ha le traveggole, anni fa ha detto che aveva visto una cliente impiccata nuda, e poi la cliente era rientrata mezz'ora dopo fresca come una rosa, e sulla brandiva del vecchio era stata trovata una rivista sadoporno, magari gli era venuta la bella idea di andare a sbirciare nella camera della signora dal buco della serratura e aveva visto una tenda che si agitava nel chiaroscuro. L'unico dato sicuro è che la camera non è in stato normale, e che l'Ardenti si è volatilizzato. Ma adesso ho parlato troppo. Tocca a lei, dottor Belbo. L'unica traccia che abbiamo trovato è un foglio che stava per terra vicino a quel tavolino. Ore quattordici, Hotel Principe e Savoia, Mr. Rakosky; ore sedici, Garamond, dottor Belbo. Lei mi ha confermato che è venuto da voi. Mi dica quello che è successo."
22

I cavalieri del Graal non volevano più che si facessero loro domande.

(Wolfram von Eschenbach, Parzival, XVI, 819)

 

Belbo fu breve: gli ripeté tutto quello che aveva già detto per telefono, senza altri particolari, se non inessenziali. Il colonnello aveva raccontato una storia fumosa, dicendo di aver scoperto le tracce di un tesoro in certi documenti trovati in Francia, ma non ci aveva detto molto di più. Pareva pensasse di possedere un segreto pericoloso, e voleva renderlo pubblico prima o poi, per non esserne l'unico depositario. Aveva accennato al fatto che altri prima di lui, una volta scoperto il segreto, erano scomparsi misteriosamente. Avrebbe mostrato i documenti solo se gli avessimo assicurato il contratto, ma Belbo non poteva assicurare alcun contratto se prima non vedeva qualcosa, e si erano lasciati con un vago appuntamento. Aveva menzionato un incontro con tale Rakasky, e aveva detto che era il direttore dei Cahiers du Mystère. Voleva chiedergli una prefazione. Sembrava che Rakosky gli avesse consigliato di soprassedere alla pubblicazione. Il colonnello non gli aveva detto che sarebbe venuto alla Garamond. Era tutto.

"Bene, bene," disse De Angelis. "Che impressione vi ha fatto?"

"Ci è parso un esaltato ed ha accennato a un passato, come dire, un poco nostalgico, e a un periodo nella legione straniera."

"Vi ha detto la verità, anche se non tutta. In un certo senso lo si teneva già d'occhio, ma senza troppo impegno. Di casi così ne abbiamo tanti... Dunque, Ardenti non era neppure il suo nome, ma aveva un regolare passaporto francese. Era riapparso in Italia, saltuariamente, da qualche anno, ed era stato identificato, senza certezza, con un certo capitano Arcoveggi, condannato a morte in contumacia nel 1945. Collaborazione con le SS per mandare un po' di gente a Dachau.Anche in Francia lo tenevano d'occhio, era stato processato per truffa e se l'era cavata per un pelo. Si presume, si presume, badino, che sia la stessa persona che sotto il nome di Fassotti, l'anno scorso, è stato denunciato da un piccolo industriale di Peschiera Borromeo. Lo aveva convinto che nel lago di Como si trovava ancora il tesoro di Dongo, che lui aveva identificato il posto, che bastavano poche decine di milioni per due sommozzatori e un motoscafo... Una volta presi i soldi si era volatilizzato. Ora loro mi confermano che aveva la mania dei tesori”


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 33 | Нарушение авторских прав



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