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Il pendolo di Foucault 9 страница

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puto adeguarmi alla liturgia selvaggia di un gruppo selvaggio, con dignità. Ero un uomo chiamato cavallo.

C'erano a quei tempi, a ***, i cavalieri teutonici, non molto vigili perché i partigiani non si erano ancora fatti sentire — eravamo verso la fine del '43, o i primi del '44. Una delle nostre prime imprese fu di introdurci in una baracca, mentre alcuni di noi corteggiavano il soldato di guardia, un gran longobardo che mangiava un enorme panino con — ci parve, e orripilammo — salame e marmellata. La squadra di disturbo blandiva il tedesco lodandone le armi, e noialtri nella baracca (penetrabile dal retro, sconnesso) rubavamo alcuni panini di tritolo. Non credo che poi il tritolo sia stato mai usato, ma si sarebbe trattato, nei piani di Martinetti, di farlo esplodere in campagna, a fini pirotecnici, e con metodi che ora so molto rozzi e inadeguati. Più tardi ai tedeschi succedettero quelli della Decima Mas, che costituirono un posto di blocco lungo il fiume, proprio al bivio dove, alle sei di sera, discendevano dal viale le ragazze del collegio di Maria Ausiliatrice. Si trattava di convincere quelli della Decima (non dovevano aver più di diciott'anni) a legare un mazzo di bombe a mano tedesche, di quelle col bastone lungo, e togliergli la sicura per farle esplodere a filo d'acqua nel momento preciso in cui arrivavano le ragazze. Martinetti sapeva bene cosa occorresse fare, e come calcolare i tempi. Lo spiegava ai marò, e l'effetto era prodigioso: una colonna d'acqua si levava sul greto, tra fragore di tuono, proprio mentre le ragazze svoltavano l'angolo. Fuga generale tra molti squittii, e noi e i marò a sbellicarci. Si sarebbero ricordati di quei giorni di gloria, dopo il rogo di Molay, i sopravvissuti di Coltano.

Il diporto principale dei ragazzi del Viottolo era raccogliere bossoli e residuati vari, che dopo l'otto settembre non mancavano, come vecchi elmetti, giberne, tascapane, talora pallottole ancora vergini. Per utilizzare una pallottola buona, si procedeva così: tenendo il bossolo in mano si introduceva il proiettile nel buco di una serratura, e si faceva forza; là pallottola fuoriusciva e andava a far parte della collezione speciale. Il bossolo veniva svuotato della polvere (talora si trattava di fettuccine sottili di balistite), che veniva poi disposta in strutture serpentine, a cui si dava fuoco. Il bossolo, tanto più pregiato se la capsula era intatta, entrava ad arricchire l'Armata. Il buon collezionista ne aveva molti, e li disponeva a schiera, distinti per fattura, colore, forma e altezza. C'erano i manipoli di pedoni, i bossoli del mitra e dello sten, poi alfieri e cavalieri — moschetto, fucile novantuno (il Garand l'avremmo vi-sto solo con gli americani) — e aspirazione suprema, grandi maestri torreggianti, i bossoli di mitragliatrice.

Mentre eravamo intenti a questi giochi di pace, una sera Martinetti ci disse che il momento era venuto. Il anello di sfida era stato inviato alla banda del Canaletto e quelli avevano accettato. Lo scontro era previsto in territorio neutro, dietro alla stazione. Quella sera, alle nove.

Fu un tardo pomeriggio, estivo e spossato, di grande eccitazione. Ciascuno di noi si preparò coi parafernali più terrorizzanti, cercando pezzi di legno che potessero essere agilmente impugnati, riempiendo le giberne e il tascapane di sassi di varia grandezza. Qualcuno, con la cinghia di un moschetto, si era fatto una frusta, terribile se manovrata con decisione. Almeno in quelle ore vespertine, ci sentivamo tutti eroi, io più di tutti. Era l'eccitazione prima dell'assalto, acre, dolorosa, splendida — addio mia bella addio, dura, dolce fatica essere uomo d'arme, andavamo a immolare la nostra giovinezza, come ci avevano insegnato a scuola prima dell'otto settembre.

Il piano di Martinetti era sagace: avremmo attraversato la scarpata della ferrovia più a nord, prendendoli alle spalle, inattesi, e già praticamente vinci-tori. Poi assalto deciso, e nessun quartiere.

AI crepuscolo tagliammo così la scarpata arrancando per rampe e declivi, carichi come eravamo di sassi e manganelli. A picco sulla scarpata, li ve-demmo, già appostati dietro le latrine della stazione. Ci videro perché guardavano in su, sospettando che arrivassimo da quella parte. Non rimaneva che scendere senza dargli tempo di stupirsi per l'ovvietà della nostra mossa.

Nessuno ci aveva provvisti di grappa prima dell'assalto, ma ci precipitammo egualmente, vociando. E il fatto avvenne a cento metri dalla stazione. Là iniziavano a sorgere le prime case che, per quanto rade, costituivano già un reticolo di viuzze. Avvenne che il gruppo più ardito si buttò in avanti, senza paura, mentre io e — per mia fortuna — alcuni altri, rallentammo il passo e ci disponemmo dietro gli angoli delle case, osservando di lontano.

Se Martinetti ci avesse organizzato in avanguardia e retroguardia, avremmo fatto il nostro dovere, ma fu una sorta di distribuzione spontanea. I fegatosi avanti, i vili indietro. E dal nostro rifugio, il mio più arretrato di quello degli altri, osservammo lo scontro. Che non ci fu.

Arrivati a pochi metri gli uni dagli altri, i due gruppi si fronteggiarono, digrignanti, poi i capi si fecero avanti e parlamentarono. Fu una l'alta, decisero di dividersi le zone di influenza e di rispettare i transiti occasionali, come avveniva tra cristiani e musulmani in Terrasanta. La solidarietà tra le due cavallerie la importò (è un francesismo?) sulla ineluttabilità della battaglie Ciascuno aveva dato buona prova di sé. In buona armonia si ritirarono da bande opposte. In buona armonia si ritirarono le bande da bande opposte. Si ritirarono da parti opposte.

Ora mi dico che non sono andato all'attacco perché mi veniva da ridere. Ma allora non me lo dissi. Mi sentii vile e basta.

Ora, più vilmente ancora mi dico che se mi fossi buttato avanti con gli altri non avrei rischiato nulla, e sarei vissuto meglio per gli anni a venire. Ho mancato l'Occasione, a dodici anni. Come mancare l'erezione la prima volta, è l'impotenza per tutta la vita.

Un mese dopo, quando per uno sconfinamento casuale il Viottolo e il Canaletto si trovarono di fronte in un campo, e incominciarono a volare zolle di terra, non so se rassicurato dalla dinamica dello scorso evento, o desideroso di martirio, mi esposi in prima linea. Fu una sassaiola incruenta, salvo che per me. Una zolla, che evidentemente celava un cuore di pietra, mi prese sul labbro e lo spaccò. Fuggii a casa piangendo, e mia madre dovette lavorare con le pinzette da toeletta per togliermi la terra dalla fessura che si era formata all'interno della bocca. Sta di fatto che mi è rimasto un nodulo, in corrispondenza del canino destro inferiore, e quando ci faccio passare sopra la lingua sento una vibrazione, un brivido.

Ma questo nodulo non mi assolve, perché me lo sono procurato per incoscienza, non per coraggio. Mi passo la lingua contro le labbra e che faccio? Scrivo. Ma la cattiva letteratura non redime.

 

 

Dopo la giornata del corteo non vidi più Belbo per circa un anno. Mi ero innamorato di Amparo e non andavo più da Pilade, ovvero le poche volte che ci ero passato con Amparo, Belbo non c'era. E Amparo non amava quel luogo. Il suo rigore morale e politico – pari solo alla sua grazia, Balla sua splendida fierezza — le faceva sentire Pilade come un club per dandy democratici, e il dandysmo democratico era per lei una delle trame, la più sottile, del complotto capitalista. Fu un anno di grande impegno, di grande serietà e di grande dolcezza. Lavoravo con gusto ma con calma alla tesi.

Un giorno Belbo lo incontrai lungo i Navigli, a poca distanza dalla Garamond. "Guarda guarda," mi disse con allegria, "il mio Templare preferito! Mi hanno appena regalato un distillato di inenarrabile vetustà. Per-ché non fa un salto su da me? Ho dei bicchieri di carta e il pomeriggio libero."

"È uno zeugma," osservai.

"No, un bourbon imbottigliato, credo, prima della caduta di Alamo."

Lo seguii. Ma avevamo appena iniziato a degustare che Gudrun entrò e venne a dire che c'era un signore. Belbo si batté una mano sulla fronte. Si era scordato di quell'appuntamento, ma il caso ha il gusto del complotto, mi disse. Per quanto aveva capito, quel tizio voleva presentare un libro che riguardava anche i Templari. "Lo liquido subito," disse, "ma mi so‑

stenga con acute obiezioni."

Era stato certamente un caso. E così fui preso nella rete.
17

Così disparvero i cavalieri del Tempio con il loro segreto, nell'ombra del quale palpitava una bella speranza della città terrena. Ma l'Astratto al quale era incatenato il loro sforzo proseguiva in regioni sconosciute la sua vita inaccessibile... e più di una volta, nel corso dei tempi, lasciò fluire la sua ispirazione negli spiriti capaci di accoglierlo.

(Victor Emile Michelet, Le secret de la Chevalerie, 1930, 2)

 

Aveva una faccia da anni quaranta. A giudicare dalle vecchie riviste che avevo trovato nella cantina di casa, negli anni quaranta tutti avevano una faccia del genere. Doveva essere la fame del tempo di guerra: incavava il volto sotto gli zigomi e rendeva l'occhio vagamente febbricitante. Era una faccia che avevo visto nelle scene di fucilazione, da ambo le parti. A quei tempi uomini con la stessa faccia si fucilavano tra loro.

Il nostro visitatore indossava un completo blu con camicia bianca e cravatta grigio perla, e istintivamente mi chiesi perché si fosse messo in borghese. I capelli, innaturalmente neri, erano tirati indietro lungo le tempie su due bande impomatate, seppur con misura, e lasciavano al sommo del capo, lucido, una calvizie solcata da strisce sottili e regolari come fili del telegrafo, che si dipartivano a w dal sommo della fronte. Il varo era ab-bronzato, segnato, e non solo dalle rughe — esplicitamente coloniali. Una cicatrice pallida gli attraversava la guancia sinistra, dal labbro all'orecchio, e siccome portava baffetti neri e lunghi, alla Adolphe Menjou, il baffo sinistro ne era impercettibilmente solcato là dove, per meno di un millimetro, la pelle si era aperta e poi richiusa. Mensur o pallottola di striscio?

Si presentò: colonnello Ardenti, porse la mano a Belbo, mi fece un semplice cenno col capo quando Belbo mi definì come suo collaboratore. Si sedette, accavallò le gambe, si tirò i pantaloni sul ginocchio, scoprendo due calzini amaranto — corti.

"Colonnello... in servizio?" chiese Belbo.

Ardenti scoprì alcune protesi pregiate: "Caso mai in pensione. O, se vuole, della riserva. Forse non sembra, ma sono un uomo anziano." "Non sembra," disse Belbo.

"Eppure ho fatto quattro guerre."

"Dovrebbe aver cominciato con Garibaldi."

"No. Tenente, volontario, in Etiopia. Capitano, volontario, in Spagna. Maggiore di nuovo in Africa, sino all'abbandono della quarta sponda. Medaglia d'argento. Nel quarantatré... diciamo che ho scelto la parte dei vinti: e ho perso tutto, salvo l'onore. Ho avuto il coraggio di ricominciare da capo. Legione straniera. Palestra d'ardimento. Nel quarantasei sergente, nel cinquantotto colonnello, con Massu. Evidentemente scelgo sempre la parte perdente. Con l'andata al potere del sinistro de Gaulle mi

sono ritirato e sono passato a vivere in Francia. Avevo fatto buone conoscenze ad Algeri e ho impiantato un'impresa di import-export, a Marsiglia. Quella volta ho scelto la parte vincente, credo, dato che ora vivo di rendita, e posso occuparmi del mio hobby — si dice così oggi, non è vero? E negli ultimi anni ho steso i risultati delle mie ricerche. Ecco..." Trasse da una borsa di cuoio una cartella voluminosa, che allora mi parve rossa.

"Dunque," disse Belbo, "un libro sui Templari?"

"I Templari," concedette il colonnello. "Una passione quasi giovanile. Anche loro erano capitani di ventura che cercarono la gloria attraversando il Mediterraneo."

"Il signor Casaubon si occupa dei Templari," disse Belbo. "Conosce l'argomento meglio di me. Ci racconti."

"I Templari mi hanno sempre interessato. Un manipolo di generosi che porta la luce dell'Europa tra i selvaggi delle due Tripoli..."

"Gli avversari dei Templari non erano poi così selvaggi," dissi in tono conciliante.

"E mai stato catturato dai ribelli del Magreb?" mi chiese con sarcasmo. "Non ancora," dissi.

Mi fissò, e fui felice di non aver servito nei suoi plotoni. Parlò diretta-mente a Belbo. "Mi scusi, sono di un'altra generazione." Riguardò me, con aria di sfida: "Siamo qui per subire un processo o per..."

"Siamo qui per parlare del suo lavoro, colonnello," disse Belbo. "Ce ne parli, la prego."

"Voglio mettere subito in chiaro una cosa," disse il colonnello, posando le mani sulla cartella. "Sono disposto a contribuire alle spese di pubblicazione, non le propongo nulla in perdita. Se cercate garanzie scientifiche, ve le farò avere. Proprio due ore fa ho incontrato un esperto del ramo, venuto apposta da Parigi. Potrà fare una prefazione autorevole..." Indovinò la domanda di Belbo e fece un cenno, come a dire che per il momento era meglio restare nel vago, data la delicatezza della cosa.

"Dottor Belbo," disse, "qui in queste pagine io ho il materiale per una storia. Vera. Non banale. Meglio dei romanzi gialli americani. Ho trovato qualcosa, e di molto importante, ma è solo l'inizio. Io voglio dire a tutti quello che so, in modo che se c'è qualcuno che è in grado di completare questo gioco a incastri, legga, e si faccia vivo. Intendo lanciare un'esca. E inoltre devo farlo subito. Chi sapeva ciò che so io, prima di me, è stato probabilmente ucciso, proprio perché non lo divulgasse. Se ciò che so lo dico a duemila lettori, nessuno avrà più interesse ad eliminarmi." Fece una pausa: "Loro sanno qualcosa d n'arresto dei Templari..."

"Me ne ha parlato recentemente il signor Casaubon, e mi ha colpito che questo arresto avvenga senza colpo ferire, e í cavalieri vengano colti di sorpresa..."

Il colonnello sorrise, con commiserazione. "Infatti. È puerile pensare che gente così potente da far paura al re di Francia non fosse in grado di sapere in anticipo che quattro cialtroni stavano sobillando il re e che il re stava sobillando il papa. Andiamo! Occorre pensare a un piano. A un piano sublime. Supponga che i Templari avessero un progetto di conquista del mondo, e conoscessero il segreto di un'immensa fonte di potere, un segreto per preservare il quale valesse la pena di sacrificare l'intero quartiere del Tempio in Parigi, le commende sparse in tutto il reame, e in Spagna, Portogallo, Inghilterra e Italia, i castelli di Terrasanta, i depositi monetari, tutto... Filippo il Bello lo sospetta, altrimenti non si comprende perché avrebbe scatenato la persecuzione, gettando discredito sul fior fiore della cavalleria francese. Il Tempio capisce che il re ha capito e tenterà di distruggerlo, non serve opporre resistenza frontale, il piano richiede ancora tempo, il tesoro o quel che sia dev'essere ancora definitivamente localizzato, o bisogna sfruttarlo lentamente... E il direttorio se-greto del Tempio, di cui tutti ormai riconoscono l'esistenza..."

"Tutti?"

"Certo. Non è pensabile che un ordine così potente abbia potuto sopravvivere a lungo senza l'esistenza di una regola segreta."

"L'argomento non fa una grinza," disse Belbo, guardandomi di scorcio.

"Di qui," disse il colonnello, "altrettanto evidenti le conclusioni. Il gran maestro certo fa parte del direttorio segreto, ma dev'esserne la copertura esterna. Gauthier Walther, ne La chevalerie et les aspects sécrets de l'histoire, dice che il piano templare per la conquista del potere contemplava come termine finale l'anno duemila! Il Tempio decide di passare alla clandestinità, e per poterlo fare occorre che agli occhi di tutti l'ordine scompaia. Si sacrificano, ecco che cosa fanno, gran maestro compreso. Alcuni si lasciano ammazzare, probabilmente sono stati sorteggiati. Altri si sottomettono, si mimetizzano. Dove finiscono le gerarchie minori, i fratelli laici, i maestri d'ascia, i vetrai?... E la nascita della corporazione dei liberi muratori, che si diffonde per il mondo, ed è storia nota. Ma che succede in Inghilterra? Il re resiste alle pressioni del papa, e li mette tutti ín pensione, a finire tranquillamente la loro vita nelle capitanerie dell'ordine. E quelli, zitti zitti, ci stanno. Lei la beve? Io no. E in Spagna l'ordine decide di cambiar nome, diventa ordine di Montesa. Signori miei, quella era gente che poteva convincere un re, avevano tante sue cambiali nei loro forzieri che potevano mandarlo in bancarotta in una settimana. Anche il re del Portogallo viene a patti: facciamo così cari amici, dice, non vi chiamate più cavalieri del Tempio ma cavalieri di Cristo, e per me va bene. E in Germania? Pochi processi, abolizione pura-mente formale dell'ordine, ma lì in casa hanno l'ordine fratello, i Teutonici, che a quell'epoca fanno qualcosa di più che creare uno stato nello stato: sono lo stato, hanno messo insieme un territorio grande come quello dei paesi che sono oggi sotto il tallone dei russi, vanno avanti di questo passo sino alla fine del Quattrocento, perché a quel punto arrivano i mongoli — ma questa è un'altra storia, perché i mongoli li abbiamo ancora alle porte... ma non divaghiamo..."

"No, per favore," disse Belbo. "Andiamo avanti."

"Dunque. Come tutti sanno, due giorni prima che Filippo faccia partire l'ordine di arresto, e un mese prima che venga eseguito, una carretta

di fieno, tirata da buoi, lascia la cinta del Tempio per destinazione ignota. Ne parla anche Nostradamus in una delle sue centurie...." Cercò una pagina del suo manoscritto:

 

Souz la pasture d'animaux ruminant

par eux conduits au ventre berbipolique

soldats cachés, les armes bruit menant…

 

"La carretta di fieno è una leggenda," dissi, "e non prenderei Nostradamus come un'autorità in materia storiografica..."

"Persone più anziane di lei, signor Casaubon, hanno prestato fede a molte profezie di Nostradamus. D'altra parte non sono così ingenuo da prestar fede alla storia della carretta. E un simbolo. Il simbolo del fatto, evidente e assodato, che in vista dell'arresto Jacques de Molay passa il comando e le istruzioni segrete a suo nipote, il conte di Beaujeu, che diventa il capo occulto del Tempio ormai occulto."

"Ci sono documenti storici?"

"La storia ufficiale," sorrise amaramente il colonnello, "è quella che scrivono i vincitori. Secondo la storia ufficiale gli uomini come me non esistono. No, sotto la vicenda della carretta c'è altro. Il nucleo segreto si trasferisce in un centro tranquillo e di lì inizia a costituire la sua rete clan-destina. Da questa evidenza sono partito io. Da anni, ancora prima della guerra, mi chiedevo sempre dove fossero finiti questi fratelli in eroismo. Quando mi ritirai a vita privata decisi finalmente di cercare una pista. Perché in Francia era avvenuta la fuga della carretta, in Francia dovevo trovare il luogo della riunione originaria del nucleo clandestino. Dove?"

Aveva senso del teatro. Belbo e io volevamo ora sapere dove. Non trovammo di meglio che dire: "Dica."

"Lo dico. Dove nascono i Templari? Da dove viene Ugo de Payns? Dalla Champagne, vicino a Troyes. E ín Champagne governa Ugo de Champagne che pochi anni dopo, nel 1125, li raggiunge a Gerusalemme. Poi torna a casa e pare che si metta in contatto con l'abate di Cîteaux, e lo aiuta a iniziare nel suo monastero la lettura e la traduzione di certi testi ebraici. Pensino, i rabbini dell'alta Borgogna vengono invitati a Cîteaux, dai benedettini bianchi, e di chi? di san Bernardo, a studiare chi sa quali testi che Ugo ha trovato in Palestina. E Ugo offre ai monaci di san Bernardo una foresta, a Bar-sur-Aube, dove sorgerà Clairvaux. E che cosa fa san Bernardo?"

"Diventa il sostenitore dei Templari »dissi.

"E perché? Ma lo sa che fa diventare i Templari più potenti dei benedettini? Che ai benedettini proibisce i ricevere terre e case in regalo e le terre e le case le fa dare ai Templari? Ha mai visto la Forét d'Orient vicino a Troyes? Una cosa immensa, una capitaneria dopo l'altra. E intanto i cavalieri in Palestina non combattono, lo sa? Si installano nel Tempio, e invece di ammazzare i musulmani ci fanno amicizia. Prendono contatto con i loro iniziati. Insomma, san Bernardo, con l'appoggio economico dei

conti di Champagne, costituisce un ordine che in Terrasanta entra in contatto con le sette segrete arabe ed ebraiche. Una direzione sconosciuta pianifica le crociate per far vivere l'ordine, e non il contrario, e costituisce una rete di potere che si sottrae alla giurisdizione reale... Io non sono un uomo di scienza, sono un uomo d'azione. Invece di far troppe congetture, ho fatto quello che tanti studiosi, troppo verbosi, non hanno mai fatto. Sono andato là da dove i Templari venivano e dove avevano la loro base da due secoli, dove potevano nuotare come pesci nell'acqua..."

"Il presidente Mao dice che il rivoluzionario deve stare tra il popolo come un pesce nell'acqua," dissi.

"Bravo il suo presidente. I Templari, che stavano preparando una rivoluzione ben più grande di quella dei suoi comunisti col codino..." "Non hanno più il codino."

"No? Peggio per loro. I Templari, dicevo, non potevano non cercare rifugio in Champagne. A Payns? A Troyes? Nella Foresta d'Oriente? No. Payns era ed è un borgo di quattro case, e allora ci sarà stato al massimo un castello. Troyes era una città, troppa gente del re intorno. La foresta, templare per definizione, era il primo posto dove le guardie reali sarebbero andate a cercarli, come fecero. No: Provins, mi dissi. Se c'era un luogo, doveva essere Provins!"
18

Se potessimo penetrar con l'occhio e vedere l'interno della terra, da polo a polo, o dai nostri piedi sino agli antipodi, con orrore scorgeremmo una mole tremendamente traforata di fessure e caverne.

(T. Burnet, Tellu ri s Theoria Sacra, Amsterdam, Wolters, 1694, p. 38)

 

«Perché Provins?''

"Mai stato a Provins? Luogo magico, anche oggi lo si sente, ci vada. Luogo magico, ancora tutto profumato di segreti. Per intanto, nell'undicesimo secolo è sede del conte di Champagne, e rimane zona franca dove il potere centrale non può mettere il naso. I Templari vi sono di casa, ancora oggi c'è una strada intitolata a loro. Chiese, palazzi, una rocca che domina tutta la pianura, e soldi, circolazione di mercanti, fiere, confusione in cui ci si può confondere. Ma soprattutto, e dai tempi preistorici, gallerie. Una rete di gallerie che si estende sotto tutta la collina, vere e proprie catacombe, alcune le può visitare ancora oggi. Posti dove se qualcuno si riunisce in segreto, anche se i nemici vi penetrano, i congiurati possono disperdersi in pochi secondi, e Dio sa dove, e se conoscono bene i condotti sono già usciti da chissà quale parte, sono rientrati dalla parte opposta, felpati come gatti, e sono arrivati alle spalle degli invasori, e li fanno fuori al buio. Dio mio, assicuro, signori miei, quelle gallerie sembrano fatte per i commandos, rapidi ed invisibili, ci si insinua nella notte, pugnale tra i denari, due bombe a mano, e gli altri a far la morte del topo, perdio!"

Gli scintillavano gli occhi. "Capiscono che nascondiglio favoloso può essere Provins? Un nucleo segreto che si riunisce nel sottosuolo, e tutta la gente del luogo che se vede non parla. Gli uomini del re arrivano anche a Provins, certo, arrestano i Templari che si mostrano in superficie, e li portano a Parigi. Reynaud de Provins subisce la tortura ma non parla. Secondo il piano segreto, è chiaro, doveva farsi arrestare per far credere che Provins fosse stata bonificata, ma doveva al tempo stesso lanciare un segnale: Provins non molla. Provins, il luogo dei nuovi Templari sotterranei... Gallerie che portano da edificio a edificio, si finge di entrare in un deposito di grano o in un fondaco e sí fuoriesce in una chiesa. Gallerie costruite con pilastri e volte in muratura, ogni casa della città alta ha ancor oggi una cantina, con le volte ogivali, ce ne saranno più di cento, ogni cantina, che dico, ogni sala sotterranea era l'ingresso di uno dei condotti."

"Congetture," dissi.

«No, signor Casaubon. Prove. Lei non ha visto le gallerie di Provins. Sale e sale, nel cuore della terra, piene di graffiti. Si trovano per lo più in quelle che gli speleologi chiamano alveoli laterali. Sono raffigurazioni ieratiche, di origine druidica. Graffite prima dell'arrivo dei romani. Cesare passava di sopra, e qui si tramava la resistenza, l'incantesimo, l'agguato. E ci sono i simboli dei catari, sissignori, i catari non erano solo in Provenza, quelli di Provenza sono stati distrutti, quelli della Champagne sono sopravvissuti in segreto e si riunivano qui, in queste catacombe dell'eresia. Centottantatré ne furono bruciati in superficie, e gli altri sopravvissero qui. Le cronache li definivano come bougres et manichéens — guarda caso, i bougres erano i bogomili, catari di origine bulgara, le dice nulla la parola bougre in francese? Alle origini voleva dire sodomita, perché si diceva che i catari bulgari avessero questo vizietto..." Fece una risatina imbarazzata. "E chi viene accusato di questo stesso vizietto? Loro, i Templari... Curioso, vero?"

"Sino a un certo punto," dissi, "a quei tempi se si voleva far fuori un eretico lo si accusava di sodomia..."

"Certo, e non pensi che io pensi che i Templari... Suvvia, erano uomini d'arme, a noi uomini d'arme piacciono le belle donne, anche se avevano pronunciato i voti l'uomo è uomo. Ma ricordo questo perché non credo che sia un caso che in un ambiente templare abbiano trovato rifugio eretici catari, e in ogni caso i Templari avevano imparato da loro come si usavano i sotterranei."

"Ma insomma," disse Belbo, " le sue sono ancora solo ipotesi..."

"Ipotesi di partenza. Le ho detto le ragioni per cui mi sono messo a esplorare Provins. Adesso veniamo alla storia vera e propria. Al centro di Provins c'è un grande edificio gotico, la Grange-aux-Dîmes, il granaio delle decime, e loro sanno che uno dei punti di forza dei Templari era che essi raccoglievano direttamente le decime senza dover nulla allo stato. Sotto, come dappertutto, una rete di sotterranei, oggi in pessimo stato. Bene, mentre frugavo negli archivi di Provins, mi capita tra le mani un giornale locale del 1894. Vi si racconta che due dragoni, i cavalieri Camille Laforge di Tours e Edouard Ingolf di Pietroburgo (proprio così, di Pietroburgo), stavano visitando alcuni giorni prima la Grange con il guardiano, ed erano discesi in una delle sale sotterranee, al secondo piano sotto la superficie del suolo, quando il guardiano, per dimostrare che esistevano altri piani soggiacenti, picchiò col piede per terra e si sentirono echi e rimbombi. Il cronista loda gli ardimentosi dragoni che si muniscono di lanterne e corde, entrano in chissà quali gallerie come fanciulli in miniera, strisciando sui gomiti, e si insinuano per misteriosi condotti. E arrivano, dice il giornale, ad una grande sala, con un bel camino, e un pozzo al centro. Calano una corda con una pietra e scoprono che il pozzo è profondo undici metri... Tornano una settimana dopo con delle orde più robuste, e mentre gli altri due tengono la corda, Ingolf si cala nel pozzo e scorge una grande camera dalle pareti di pietra, dieci metri per dieci, e alta cinque. A turno scendono anche gli altri due, e si rendono conto di essere al terzo piano sotto la superficie del suolo, a trenta metri di profondità. Cosa vedano e facciano i tre in quella sala non si sa. Il cronista confessa che quando si è recato a controllare sul posto, non ha avuto la forza di calarsi nel pozzo. La storia mi eccitò, e mi venne voglia di visitare il posto. Ma dalla fine del secolo scorso a oggi molti sotterranei erano crollati, e se pure quel pozzo era mai esistito, chissà dove si trovava ora. Mi balenò per il capo che i dragoni avessero trovato laggiù qualche cosa. Avevo letto proprio in quei giorni un libro sul segreto di Rennesle-Chàteau, anche quella una vicenda in cui in qualche modo c'entrano i Templari. Un curato senza soldi e senza avvenire, mentre procede al restauro di una vecchia chiesa in un paesino di duecento anime, alza una pietra del pavimento del coro e trova un astuccio con manoscritti antichissimi, dice. Solo manoscritti? Non si sa bene che cosa succede, ma negli anni che seguono costui diventa immensamente ricco, spende e spande, conduce vita dissipata, va sotto processo ecclesiastico... E se a uno dei dragoni o a entrambi fosse accaduto qualche cosa di simile? Ingolf scende per primo, trova un oggetto prezioso di dimensioni ridotte, lo nasconde sotto la giubba, risale, non dice nulla agli altri due... Insomma, sono cocciuto, e se non fosse stato sempre così avrei avuto una vita diversa." Si era sfiorato la cicatrice con le dita. Poi si era portato le mani alle tempie, muovendole verso la nuca, per assicurarsi che i capelli aderissero a dovere.


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 35 | Нарушение авторских прав



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