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Il pendolo di Foucault 6 страница

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"Vedremo. Ma cosa avevamo messo nell'Ossimorica? Ecco, Istituzioni di Rivoluzione, Dinamica Parmenidea, Statica Eraclitea, Spartanica Sibaritica, Istituzioni di Oligarchia Popolare, Storia delle Tradizioni Innovative, Dialettica Tautologica, Eristica Booleana..."

Ormai mi sentivo sfidato a mostrare di che tempra fossi: "Posso suggerírvi una Grammatica della Devianza?"

"Bello, bello!" dissero entrambi, e si misero a prender nota.

"C'è un punto," dissi.

"Quale?"

"Se voi rendete pubblico il progetto, si presenterà un sacco di gente con pubblicazioni attendibili."

"Te l'ho detto che è un ragazzo acuto, Jacopo," disse Diotallevi. "Ma sa che questo è proprio il nostro problema? Senza volerlo abbiamo tracciato il profilo ideale di un sapere reale. Abbiamo dimostrato la necessità del possibile. Quindi occorrerà tacere. Ma ora debbo andare."

"Dove?" chiese Belbo.

"E venerdi pomeriggio."

"Oh Gesù santissimo," disse Belbo. Poi a me: "Qui di fronte ci sono due o tre case abitate da ebrei ortodossi, sa quelli col cappello nero, il barbone e il ricciolo. Non ce ne sono molti a Milano. Oggi è venerdi e al tramonto comincia il sabato. Così nell'appartamento di fronte iniziano a preparare tutto, a lucidare il candelabro, a cuocere i cibi, a disporre le cose in modo che domani non abbiano nessun fuoco da accendere. Anche il televisore rimane attivato tutta la notte, salvo che sono obbligati a scegliere subito il canale. Il nostro Diotallevi ha un piccolo cannocchiale, e ignominiosamente spia dalla finestra, e si delizia, sognando di essere dal-l'altra parte della strada."

"E perché?" chiesi.

"Perché il nostro Diotallevi si ostina a sostenere di essere ebreo." "Come mi ostino?" chiese piccato Diotallevi. "Sono ebreo. Lei ha qual-cosa contro, Casaubon?"

"Si figuri."

"Diotallevi," disse Belbo con decisione, "tu non sei ebreo."

"No? E il mio nome? Come Graziadio, Diosiacontè, tutte traduzioni dall'ebraico, nomi di ghetto, come Schalom Aleichem."

"Diotallevi è un nome benaugurale, spesso dato dagli ufficiali comunali ai trovatelli. E tuo nonno era un trovatello."

"Un trovatello ebreo."

"Diotallevi, hai la pelle rosa, la voce di gola e sei praticamente albino." "Ci sono conigli albini, ci saranno anche ebrei albini."

"Diotallevi, non si può decidere di diventare ebrei come si decide di diventare filatelici o testimoni di Geova. Ebrei si nasce. Rassegnati, sei un gentile come tutti."

"Sono circonciso."

"Andiamo! Chiunque si può fare circoncidere per igiene. Basta un dottore col termocauterio. A che età ti sei fatto circoncidere?"

"Non sottilizziamo."

"Sottilizziamo, invece. Un ebreo sottilizza."

"Nessuno può dimostrare che mio nonno non fosse ebreo."

"Certo, era un trovatello. Ma avrebbe potuto essere anche l'erede del trono di Bisanzio, o un bastardo degli Asburgo."

"Nessuno può dimostrare che mio nonno non fosse ebreo, ed è stato trovato vicino al Portico d'Ottavia."

"Ma tua nonna non era ebrea, e la discendenza da quelle parti avviene per via materna..."

"... e al di sopra delle ragioni anagrafiche, perché anche i registri comunali possono essere letti oltre la lettera, ci sono le ragioni del sangue, e il sangue dice che i miei pensieri sono squisitamente talmudici, e sarebbe razzismo da parte tua sostenere che anche un gentile possa essere così squisitamente talmudico quale io mi trovo ad essere."

Uscì. Belbo mi disse: "Non ci faccia caso. Questa discussione avviene quasi ogni giorno, salvo che ogni giorno tento di portare un argomento nuovo. Il fatto è che Diotallevi è un devoto della Gabbala. Ma c'erano anche dei cabalisti cristiani. E poi senta, Casaubon, se Diotallevi vuole essere ebreo, posso mica oppormi."

"Non credo. Siamo democratici."

"Siamo democratici."

Si accese una sigaretta. Io mi ricordai perché ero venuto. "Mi aveva parlato di un dattiloscritto sui Templari," dissi.

"È vero... Vediamo. Era in una cartella di fintapelle..." Stava frugando in una pila di manoscritti e cercava di trarne fuori uno, posto a metà, senza togliere gli altri. Operazione rischiosa. Infatti la pila crollò in parte sul pavimento. Belbo teneva ora in mano la cartella di fintapelle.

Guardai l'indice e l'introduzione. "Riguarda l'arresto dei Templari. Nel 1307 Filippo il Bello decide di arrestare tutti i Templari di Francia. Ora c'è una leggenda che dice che due giorni prima che Filippo faccia partire gli ordini di arresto, una carretta di fieno, tirata da buoi, lascia la cinta del Tempio, a Parigi, per destinazione ignota. Si dice sia un gruppo di cavalieri guidati da un certo Aumont, e costoro si rifugerebbero in Scozia, unendosi a una loggia di muratori a Kilwinning. La leggernda vuole che i cavalieri si identificassero con le compagnie di muratori che si tra-mandavano i segreti del Tempio di Salomone. Ecco, lo prevedevo. Anche costui pretende di ritrovare l'origine della massoneria in questa fuga dei Templari in Scozia... Una storia rimasticata da due secoli, fondata su fantasie. Nessuna prova, le posso buttare sul tavolo una cinquantina di libretti che raccontano la stessa faccenda, uno scopiazzato dall'altro. Guardi qui, ho aperto a caso: `La prova della spedizione scozzese sta nel fatto che ancor oggi, a seicentocinquanta anni di distanza, esistono ancora nel mondo ordini segreti che si richiamano alla Milizia del Tempio. Come spiegare altrimenti la continuità di questo retaggio?' Capisce? Com'è possibile che non esista il marchese di Carabas visto che anche il gatto con gli stivali dice di essere al suo servizio?"

"Ho capito," disse Belbo. "Lo faccio fuori. Ma la sua storia dei Templari mi interessa. La volta buona che ho sottomano un esperto, non voglio lasciarmelo sfuggire. Perché tutti parlano dei Templari e non dei cavalieri di Malta? No, non me lo dica adesso. Si è fatto tardi, Diotallevi e io tra poco dobbiamo andare a una cena col signor Garamond. Ma dovremmo finire verso le dieci e mezzo. Se posso, convinco anche Diotallevi a fare un salto da Pilade — lui di solito va a dormire presto ed è aste-mio. La trovo là?"

"E dove se no? Appartengo a una generazione perduta, e mi ritrovo soltanto quando assisto in compagnia alla solitudine dei miei simili."
13

Li frere, li mestre du Tempie

Qu'estoient templi et ampie

D'or et d'argent et de richesse

Et qui menoient tel noblesse,

Où sont il? que sont devenu?

(Chronique à la suite du roman de Favel)

 

Et in Arcadia ego. Pilade quella sera era l'immagine dell'età dell'oro. Una di quelle serate in cui avverti che la Rivoluzione non solo si farà, ma sarà sponsorizzata dall'Unione industriali. Solo da Pilade si poteva vedere il proprietario di un cotonificio, in eschimo e barba, giocare a otto americano con un futuro latitante, in doppiopetto e cravatta. Eravamo agli al-bori di un grande rovesciamento di paradigma. Ancora all'inizio degli anni sessanta la barba era fascista — ma occorreva disegnarne il profilo, rasandola sulle guance, alla Italo Balbo — nel sessantotto era stata contestataria, e ora stava diventando neutra e universale, scelta di libertà. La barba è sempre stata maschera (ci si mette una barba finta per non essere riconosciuti), ma in quello scorcio d'inizio anni settanta ci si poteva camuffare con una barba vera. Si poteva mentire dicendo la verità, anzi, rendendo la verità enigmatica e sfuggente, perché di fronte a una barba non si poteva più inferire l'ideologia del barbuto. Ma quella sera, la barba risplendeva anche sui volti glabri di chi, non portandola, lasciava capire che avrebbe potuto coltivarla e vi aveva rinunciato solo per sfida.

Divago. Ma arrivarono a un certo punto Belbo e Diotallevi, mormorandosi a vicenda, con aria stravolta, acri commenti sulla loro recentissima cena. Solo dopo avrei saputo cos'erano le cene del signor Garamond.

Belbo passò subito ai suoi distillati preferiti, Diotallevi rifletté a lungo, frastornato, e si decise per un'acqua tonica. Trovammo un tavolino in fondo, appena liberato da due tranvieri che la mattina dopo dovevano al‑

zarsi presto.

"Allora, allora," disse Diotallevi, "questi Templari..."

"No, adesso per piacere non mettetemi in crisi... Sono cose che potete leggere dappertutto..."

"Siamo per la tradizione orale," disse Belbo.

"E più mistica," disse Diotallevi. "Dio ha creato il mondo parlando, mica ha mandato un telegramma."

"Fiat lux, stop. Segue lettera," disse Belbo.

"Ai Tessalonicesi, immagino," dissi.

"I Templari," chiese Belbo.

"Dunque," dissi.

"Non si comincia mai con dunque," obiettò Diotallevi.

Feci l’atto di alzarmi. Attesi che mi implorassero. Non lo fecero. Mi se-detti eparlai.

"No, dico, la storia la sanno tutti. C'è la prima crociata, va bene? Goffredo il gran sepolcro adora e scioglie il voto, Baldovino diventa il primo re di Gerusalemme. Un regno cristiano in Terrasanta. Ma un conto è te-nere Gerusalemme, un conto il resto della Palestina, i saraceni sono stati battuti ma non eliminati. La vita da quelle parti non è facile, né per i nuovi insediati, né per i pellegrini. Ed ecco che nel 1118, sotto il regno di Baldovino II, arrivano nove personaggi, guidati da un certo Ugo de Payns, e costituiscono il primo nucleo di un Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo: un ordine monastico, ma con spada e armatura. I tre voti classici, povertà, castità, obbedienza, più quello di difesa dei pellegrini. Il re, il vescovo, tutti, a Gerusalemme, danno subito aiuti in denaro, li alloggiano, li installano nel chiostro del vecchio Tempio di Salomone. Ed ecco come diventano Cavalieri del Tempio."

"Chi sono?"

"Probabilmente Ugo e i primi otto sono degli idealisti, conquistati dalla mistica della crociata. Ma in seguito saranno dei cadetti in cerca di avventure. Il nuovo regno di Gerusalemme è un poco la California dí quei tempi, c'è da far fortuna. A casa non hanno troppe prospettive, magari c'è tra di loro qualcuno che l'ha combinata grossa. Io penso alla faccenda in termini di legione straniera. Che fai se sei nei guai? Ti fai Templare, si vedono dei posti nuovi, ci si diverte, si menano le mani, ti nutrono, ti vestono e alla fine salvi anche l'anima. Certo, dovevi essere abbastanza disperato, perché si trattava di andare nel deserto, e dormire sotto la tenda, e passare giorni e giorni senza vedere anima viva salvo che gli altri Templari e qualche faccia di turco, e cavalcare sotto il sole, e patire la sete, e sbudellare degli altri poveri diavoli..."

Mi fermai un istante. "Forse la faccio un po' troppo western. C'è probabilmente una terza fase: l'ordine è diventato potente, si cerca di farne parte anche se si ha una buona posizione in patria. Ma a quel punto essere Templare non vuoi più dire necessariamente lavorare in Terrasanta, si fa il Templare anche a casa. Storia complessa. Certe volte sembrano dei soldatacci, altre volte mostrano di avere una certa sensibilità. Per esempio, non si può dire che fossero razzisti: combattevano i musulmani, erano lì per quello, ma con spirito cavalleresco, e si ammiravano a vicenda. Quando l'ambasciatore dell'emiro di Damasco visita Gerusalemme, i Templari gli assegnano una piccola moschea, già trasformata in chiesa cristiana, perché possa fare le sue devozioni. Un giorno entra un franco che si indigna vedendo un musulmano in un luogo sacro, e lo tratta male. Ma i Templari cacciano via l'intollerante e si scusano col musulmano. Questa fraternità darmi col nemico li porterà poi alla rovina, perché al processo verranno anche accusati di avere avuto rapporti con sette esoteriche musulmane. E forse è vero, è un po' come quegli avventurieri del secolo scorso che si prendono íl mal d'Africa, non avevano un'educazione monastica regolare, non erano così sottili nel cogliere le differenze teologiche, pensateli come tanti Lawrence d'Arabia, che dopo un poco si vestono come uno sceicco... Ma poi, è difficile valutare le loro

azioni, perché spesso gli storiografi cristiani come Guglielmo di Tiro non perdono occasione per denigrarli."

"Perché?"

"Perché diventano troppo potenti e troppo in fretta. Tutto succede con san Bernardo. Avete presente san Bernardo, no? Grande organizzatore, riforma l'ordine benedettino, elimina dalle chiese le decorazioni, quando un collega gli dà sui nervi, come Abelardo, lo attacca alla McCarthy, e se potesse lo farebbe salire sul rogo. Non potendolo, fa bruciare i suoi libri. Poi predica la crociata, armiamoci e partite..."

"Non le è simpatico," osservò Belbo.

"No, non lo posso soffrire, se era per me finiva in uno dei gironi brutti, altro che santo. Ma era un buon press agent di se stesso, vedi il servizio che gli fa Dante, lo nomina capo di gabinetto della Madonna. Diventa subito santo perché si è arruffianato con la gente giusta. Ma dicevo i Templari. Bernardo intuisce subito che l'idea è da coltivare, e appoggia quei nove avventurieri, trasformandoli in una Militia Christi, diciamo pure che i Templari, nella loro versione eroica, li inventa lui. Nel 1128 fa convocare un concilio a Troyes proprio per definire che cosa siano quei nuovi monaci soldati, e alcuni anni dopo scrive un elogio di questa Milizia di Cristo, e prepara una regola di settantadue articoli, divertente da leggere, perché vi si trova di tutto. Messa ogni giorno, non devono frequentare cavalieri scomunicati, però se uno di essi sollecita l'ammissione al Tempio bisogna accoglierlo cristianamente, e vedete che avevo ragione quando parlavo di legione straniera. Porteranno mantelli bianchi, semplici, senza pellicce, a meno che non siano di agnello o di montone, proibito portare calzature ricurve e sottili alla moda, si dorme in camicia e mutande, un materasso, un lenzuolo e una coperta..."

"Con quel caldo chissà che puzza..." disse Belbo.

"Quanto alla puzza ne riparleremo. La regola ha altre durezze: una stessa scodella per due, si mangia in silenzio, carne tre volte alla settimana, penitenza il venerdì, ci si alza all'alba, se il lavoro è stato faticoso viene concessa un'ora di sonno in più, ma in cambio si debbono recitare tredici pater a letto. C'è un maestro, tutta una serie di gerarchie inferiori, sino ai marescialli, agli scudieri, ai famigli e servi. Ogni cavaliere avrà tre cavalli e uno scudiero, nessuna decorazione di lusso a briglie sella e speroni, armi semplici, ma buone, vietata la caccia, tranne il leone, insomma, una vita di penitenza e di battaglia. Senza dire del voto di castità, su cui si insiste particolarmente, perché quella era gente che non stava in con-vento ma faceva la guerra, viveva in mezzo al mondo, se vogliamo chiamare mondo il verminaio che doveva essere a quei tempi la Terrasanta. Insomma, dice la regola che la compagnia di una donna è pericolosissima e che non si possono baciare che la mamma, la sorella e la zia."

Belbo nicchiò: "Be', però la zia, io sarei stato più attento.... Ma per quel che ricordo, i Templari non sono stati accusati di sodomia? C'è quel libro di Klossowski, Il Bafometto. Chi era Bafometto, una loro divinità diabolica, no?"

"Ci arrivo. Ma ragionate un momento. Facevano la vita del marinaio, mesi e mesi nel deserto. Ti trovi a casa del diavolo, è notte, ti sdrai sotto la tenda col tizio che ti ha mangiato nella stessa scodella, hai sonno freddo sete paura e vorresti la mamma. Che fai?"

"Amore virile, legione tebana," suggerì Belbo.

"Ma pensate che vita d'inferno, in mezzo ad altri armigeri che non hanno fatto il voto, quando invadono una città stuprano la moretta, ventre ambrato e occhi di velluto, che fa il Templare, tra gli aromi dei cedri del Libano? Lasciategli il moretto. Adesso capite perché si diffonde il detto ‘bere e bestemmiare come un Templare’. E un poco la storia del cappellano in trincea, ingolla grappa e bestemmia coi suoi soldati analfabeti. E bastasse. Il loro sigillo li rappresenta sempre in due, uno stretto al dorso dell'altro, su uno stesso cavallo. Perché, visto che la regola gli con-sente tre cavalli ciascuno? Dev'essere stata un'idea di Bernardo, per simboleggiare la povertà, o la duplicità del loro ruolo di monaci e cavalieri. Ma vi vedete voi l'immaginazione popolare, che dire di questi monaci che vanno a rotta di collo, uno con la pancia contro il culo dell'altro? Sa-ranno anche stati calunniati..."

"...ma certo se la sono cercata," commentò Belbo. "Sarà mica che quel san Bernardo era stupido?"

"No, stupido non lo era, ma era monaco anche lui, e a quei tempi il monaco aveva una sua strana idea del corpo... Poco fa temeva, di aver buttato la mia storia troppo sul western, ma a ripensarci bene, sentite cosa ne dice Bernardo, dei suoi cavalieri prediletti, ho con me la citazione perché vale la pena: `Evitano e aborriscono i mimi, i prestigiatori e i giocolieri, le canzoni sconvenienti e le farse, si tagliano i capelli corti, avendo appreso dall'apostolo che è un'ignominia per un uomo curare la propria capigliatura. Non li si vede mai pettinati, raramente lavati, la barba irsuta, fetidi di polvere, sporchi per le loro armature e per il caldo.'"

"Non avrei voluto soggiornare nei loro quartieri," disse Belbo.

Diotallevi sentenziò: "E sempre stato tipico dell'eremita coltivare una sana sporcizia, per umiliare il proprio corpo. Non era san Macario quello che viveva su una colonna e, quando i vermi gli cadevano di dosso, li raccoglieva e se li rimetteva sul corpo perché anch'essi, creature di Dio, avessero il loro festino?"

"Lo stilita era san Simeone," disse Belbo, "e a mio parere stava sulla colonna per sputare in testa a quelli che passavano di sotto."

"Odio lo spirito dell'illuminismo," disse Diotallevi. "In ogni caso, Ma-cario o Simeone, c'era uno stilita coi vermi come dico io, ma non sono un'autorità in materia perché non mi occupo delle follie dei gentili."

"Erano puliti i tuoi rabbini di Gerona," disse Belbo.

"Stavano in luride stamberghe perché voi gentili li costringevate nel ghetto. I Templari invece si insozzavano per gusto."

"Non drammatizziamo," dissi. "Avete mai visto un plotone di reclute dopo una marcia? Ma ho raccontato queste cose per farvi capire la con-

traddizione del Templare. Deve essere mistico, ascetico, non mangiare, non bere, non scopare, però va per il deserto, taglia le teste ai nemici di Cristo, più ne taglia più guadagna tagliandi per il paradiso, puzza, si fa irsuto ogni giorno che passa, e poi Bernardo pretendeva che dopo aver conquistato una città non si buttasse su qualche fanciulletta o vecchietta che fosse, e che nelle notti illuni, quando com'è noto il simun soffia sul deserto, non si facesse fare qualche servizietto dal suo commilitone preferito. Come fai a essere monaco e spadaccino, sbudelli e reciti l'avemaria, non devi guardare in faccia tua cugina e poi entri in una città, dopo giorni di assedio, gli altri crociati si fottono la moglie del califfo davanti ai tuoi occhi, sulamite meravigliose si aprono íl corsetto e dicono prendimi prendimi ma lasciami la vita... E il Templare no, dovrebbe stare duro, puzzolente, irsuto come lo voleva san Bernardo, e recitar compieta... D'altra parte, basta leggersi i Retraits..."

"Che cosa erano?"

"Statuti dell'ordine, di redazione abbastanza tarda, diciamo quando già l'ordine è in pantofole. Non c'è nulla di peggio di un esercito che si annoia perché la guerra è finita. Per esempio a un certo punto si proibiscono risse, ferite a un cristiano per vendetta, commercio con una donna, calunnia del fratello. Non si deve perdere uno schiavo, incollerirsi e dire `me ne andrò dai saraceni!', smarrire per incuria un cavallo, donare un animale a eccezione di cani e gatti, partire senza permesso, spezzare il sigillo del maestro, lasciare la capitaneria di notte, prestare denaro dell'or-dine senza autorizzazione, gettare l'abito a terra per rabbia."

"Da un sistema di divieti si può capire quel che la gente fa di solito," disse Belbo, "e se ne possono trarre bozzetti di vita quotidiana."

"Vediamo," disse Dioallevi, "un Templare, irritato per chi sa cosa i fratelli gli avevano detto o fatto quella sera, se ne esce di notte senza per-messo, a cavallo, con un saracenino di scorta e tre capponi appesi alla sella, va da una ragazza di indecorosi costumi e locupletandola dei capponi ne trae occasione di illecito concubito.... Poi, durante la crapula, il moretto scappa col cavallo e il nostro Templare, più sporco sudato e irsuto che di costume, torna a casa con la coda fra le gambe e cercando di non farsi vedere passa denaro (del Tempio) al solito usuraio ebreo che attende come un avvoltoio sul trespolo..."

"Tu l'hai detto, Caifa," osservò Belbo.

"Suvvia, si va per stereotipi. Il Templare cerca di riavere, se non il moro, almeno una parvenza di cavallo. Ma un co-templare si accorge del marchingegno e alla sera (si sa, in quelle comunità l'invidia è di casa), quando tra la soddisfazione generale arriva la carne, fa pesanti allusioni. Il capitano s'insospettisce, il sospetto s'ingarbuglia, arrossisce, trae il pugnale e si butta sul compare..."

"Sul sicofante," precisò Belbo.

"Sul sicofante, ben detto, si butta sul miserabile sfregiandogli il volto. Quello mette mano alla spada, s'azzuffano indecorosamente, il capitano cerca di calmarli a piattonate, i fratelli sghignazzano..."

"Bevendo e bestemmiando come Templari..." disse Belbo.

"Giuraddio, nomedidio, poffardio, affedidio, sanguedidio!" drammatizzai.

"Senza dubbio, il nostro si altera, si... come diavolo fa un Templare quando si altera?"

"Si fa pavonazzo in volto," suggerì Belbo.

"Ecco, così come dici tu, si fa pavonazzo, si toglie l'abito e lo sbatte per terra...."

"Tenetevi 'sta tunica di merda voi e il vostro tempio della malora!" proposi. "Anzi, dà un colpo di spada al sigillo, lo spezza e grida che lui se ne va coi saraceni."

"Ha violato almeno otto precetti in un colpo solo."

Conclusi, ad illustrare meglio la mia tesi: "Ve li vedete dei tipi così, che dicono io me ne vo coi saraceni, il giorno che il balivo del re li arresta e gli fa vedere i ferri roventi? Parla marrano, di' che ve lo mettevate nel sedere! Noi? Ma a me le vostre tenaglie mi fanno ridere, non sapete di cosa è capace un Templare, io lo metto nel sedere a voi, al papa, e se mi capita sottomano anche a re Filippo!"

"Ha confessato, ha confessato! E andata certo così," disse Belbo. "E via nelle segrete, ogni giorno una passata d'olio, così poi brucia meglio." "Come bambini," concluse Diotallevi.

Fummo interrotti da una ragazza, con una voglia di fragola s_1' naso, che aveva dei fogli in mano. Ci chiese se avevamo già firmato peri compagni argentini arrestati. Belbo firmò subito, senza guardare il foglio. "In ogni caso stanno peggio di me," disse a Diotallevi che lo guardava con aria smarrita. Poi si rivolse alla ragazza: "Lui non può firmare, appartiene a una minoranza indiana che proibisce di scrivere il proprio nome. Molti dí loro sono in galera perché il governo li perseguita." La ragazza fissò Diotallevi con comprensione e passò il foglio a me. Diotallevi si rilassò.

"Chi sono?" domandai.

"Come chi sono? Compagni argentini."

"Sì, ma di che gruppo?"

"Taquara, no?"

"Ma i Taquara sono fascisti," azzardai, per quel che ne sapevo. "Fascista," mi sibilò con astio la ragazza. E se ne andò.

 

"Ma insomma, questi Templari erano allora dei poveretti?" chiese Diotallevi.

"No," dissi, "è colpa mia, cercavo di vivacizzare la storia. Quello che abbiamo detto riguarda la truppa, ma l'ordine sin dall'inizio aveva ricevuto donazioni immense e a poco a poco aveva costituito capitanerie in tutta Europa. Pensate che Alfonso di Castiglia e di Aragona gli regala un intero paese, anzi, fa testamento e gli lascia il regno nel caso che dovesse morire senza eredi. I Templari non si fidano e fanno una transazione, come a dire pochi maledetti e subito, ma questi pochi maledetti sono una mezza dozzina di fortezze in Spagna. Il re del Portogallo gli dona una fo-

resta, visto che era ancora occupata dai saraceni i Templari si buttano all'assalto, scacciano i mori, e tanto per dire fondano Coimbra. E sono solo episodi. Insomma, una parte combatte in Palestina, ma il grosso dell'or-dine si sviluppa in patria. E cosa succede? Che se qualcuno deve andare in Palestina e ha bisogno di denaro, e non si fida a viaggiare con gioielli e oro, versa ai Templari in Francia, o in Spagna, o in Italia, riceve un buono, e riscuote in Oriente."

"E la lettera di credito," disse Belbo.

"Sicuro, hanno inventato l'assegno, e prima dei banchieri fiorentini. Quindi capite, tra donazioni, conquiste a mano armata e provvigioni sulle operazioni finanziarie i Templari diventano una multinazionale. Per dirigere un'impresa del genere ci voleva gente con la testa sulle spalle. Gente che riesce a convincere Innocenzo IIad accordargli privilegi eccezionali: l'ordine può conservare tutto il bottino di guerra, e dovunque abbia beni non risponde né al re, né ai vescovi, né al patriarca di Gerusalemme, ma solo al papa. Esentati in ogni luogo dalle decime, hanno diritto di imporle essi stessi sulle terre che controllano... Insomma, è un'impresa sempre in attivo in cui nessuno può mettere il naso. Si capisce perché sono mal visti da vescovi e regnanti, e tuttavia non si può fare a meno di loro. I crociati sono dei pasticcioni, gente che parte senza sapere dove va e cosa troverà, i Templari invece da quelle parti sono di casa, sanno come trattare col nemico, conoscono il terreno e l'arte militare. L'ordine del Tempio è una cosa seria, anche se si regge sulle rodomontate delle sue truppe d'assalto."

"Ma erano rodomontate?" chiese Diotallevi.

"Spesso sì, ancora una volta si è stupiti del divario tra la loro sapienza politica e amministrativa, e il loro stile da berretto verde, tutto fegato e niente cervello. Prendiamo la storia di Ascalona..."

"Prendiamola," disse Belbo, che si era distratto per salutare con ostentata lussuria una certa Dolores.

Costei si sedette accanto a noi dicendo: "Voglio sentire la storia di Ascalona, voglio sentire."

"Dunque, un giorno il re di Francia, l'imperatore tedesco, Baldovino IIIdi Gerusalemme e i due gran maestri dei Templari e degli Ospitalieri decidono di assediare Ascalona. Partono tutti per l'assedio, il re, la corte, il patriarca, i preti con le croci e gli stendardi, gli arcivescovi di Tiro, di Nazareth, di Cesarea, insomma, una gran festa, con le tende rizzate da-vanti alla città nemica, e le orifiamme, i gran palvesi, i tamburi... Ascalona era difesa da centocinquanta torri e gli abitanti si erano preparati da tempo all'assedio, ogni casa era traforata di feritole, tante fortezze nella fortezza. Dico, i Templari, che erano così bravi, queste cose avrebbero dovuto saperle. Ma niente, tutti si eccitano, si costruiscono testuggini e torri in legno, sapete quelle costruzioni a ruote che si spingono sotto le mura nemiche e lanciano fuoco, sassi, frecce, mentre da lontano le catapulte bombardano coi macigni... Gli ascaloniti cercano di incendiare le torri, il vento gli è sfavorevole, le fiamme si attaccano alle mura, che al-meno in un punto crollano. La breccia! A questo punto tutti gli assedianti si buttano come un sol uomo, e accade il fatto strano. Il gran maestro dei Templari fa fare sbarramento, in modo che in città entrino solo i suoi. I maligni dicono che fa così affinché il saccheggio arricchisca solo il Tempio, i benigni suggeriscono che temendo un agguato volesse mandare in avanscoperta i suoi ardimentosi. In ogni caso non darei a costui da dirigere una scuola di guerra, perché quaranta Templari fanno tutta la città a centottanta all'ora, sbattono contro la cinta dal lato opposto, frenano con un gran polverone, si guardano negli occhi, si chiedono che cosa fanno lì, invertono la marcia e sfilano a rotta di collo tra i mori, che li tempestano di sassi e verrettoni dalle finestre, li massacrano tutti gran maestro compreso, chiudono la breccia, appendono alle mura i cadaveri e squadrano le fiche ai cristiani tra sghignazzamenti immondi."


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 35 | Нарушение авторских прав



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