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Collana: Tascabili Bompiani 21 страница



Poi, al grido di "basta" il ronzio cessт, l'attrice si levт dal letto, le lampade si spensero e tutti si mossero e circolarono. Capii che era il momento buono, mi avvicinai ad un macchinista e gli domandai: "Per favore, il signor Zangarini."

"E chi и Zangarini?" domandт quello, da vero ignorante.

Rimasi smarrito. Per fortuna, un altro macchinista, piщ gentile, intervenne: "Zangarini... ma non и qui... и al teatro numero tre."

Uscimmo in fretta e, attraverso lo spiazzo, ci dirigemmo al teatro numero tre. Riaprimmo una di quelle porte cosм pesanti, entrammo in un capannone molto simile al primo. Ma qui non si girava: c'era molta luce e si vedevano parecchie persone che discutevano. Ci avvicinammo, ma non troppo, perchй eravamo intimiditi e quelli facevano degli urli da belve e parevano arrabbiati sul serio. Uno magro come un chiodo, con gli occhiali cerchiati di tartaruga e un paio di baffi neri che gli ballavano sui denti bianchi, urlava dimenandosi: "Non va, non va, non va. E Zangarini, proprio lui, domandava: "Ma perchй non va?"

L'uomo coi baffoni rispondeva, sempre urlando: "Ma perchй и troppo buono... perchй ci ha la faccia del buonuomo... e io invece voglio una faccia di delinquente, di teppista, di barabba."

"Prendi Proietti, allora."

"Ma no, ma no, anche lui и troppo buono... и una pasta, un pacioccone... non va, non va."

"Prendi Serafini."

"Ma non va, non va... Serafini non и buono, и un angelo, anzi un serafino... chi gli crede se fa il cattivo?... chi gli crede?" Capii che eravamo capitati male, ma tant'era: oramai eravamo nel ballo e dovevamo ballare. Colsi un momento che il regista, sempre smaniando e urlando, si era allontanato, mi avvicinai a Zangarini e gli dissi sottovoce: "Signor Zangarini, siamo venuti."

"Chi, siamo?" domandт lui con voce stizzita.

"La signorina Valentina", risposi facendomi da parte. Valentina si avanzт e fece un piccolo inchino. "La signorina dell'ufficio pacchi... lei le aveva detto di venire."

Zangarini doveva essersi dimenticato di ogni cosa. Poi guardт Valentina, parve ricordarsi e disse, sforzandosi di far la voce gentile: "Mi dispiace, signorina, ma non c'и nulla da fare per lei."

"Ma come, venerdм lei aveva detto che c'era bisogno di una ragazza proprio come questa."

"C'era... ma adesso non piщ: l'abbiamo trovata."

"Ma dica" feci scaldandomi "questa non и la maniera... farci venire qui e poi dirci che ne avete trovata un'altra."

"E che posso farci io?"

Stavo per rispondergli proprio male, quando ad un tratto, scoppiт un urlo: "И lui... и lui... eccolo quello che ci vuole."

Era il regista che mi stava addosso, puntandomi in petto l'indice, con occhi fiammeggianti. Domandai, imbarazzato: "Ma chi, lui?" E il regista: "Lei и un mascalzone, uno sfruttatore di donne, un teppista, un magnaccia, nevvero?... dica, lei и un mascalzone?"

"Guardi come parla" risposi offeso, "sono un funzionario statale... mi chiamo Renato Parigini."

"No, lei и il mascalzone di cui avevamo bisogno, lei, con quella faccia lм, и proprio il mascalzone che cercavo... lei и il mascalzone." Insomma per farla breve, Zangarini intervenne e mi spiegт che stavano appunto cercando una faccia di mascalzone per una particina di contorno; che la faccia mia faceva proprio al caso loro; e cosм, se volevo, potevo passare quel giorno stesso per il provino. E Valentina? "No, niente da fare, ne abbiamo quante ne vogliamo", urlт il regista al colmo dell'entusiasmo. Ma poi, vedendo che Valentina aveva gli occhi pieni di lagrime, si corresse e soggiunse con voce affettuosa: "Signorina, oggi avevamo bisogno di una faccia di mascalzone e l'abbiamo trovata... quando avremo bisogno di una faccia di angelo, penseremo a lei."

Cosм, ce ne andammo. Ma appena fuori degli studi, nel sentiero erboso, Valentina si staccт da me e non disse piщ nulla. Alla fermata del tram, sulla pedana, c'era la solita folla e lei si guardт intorno smarrita. Dovette sembrarle un'umiliazione di prendere il tram, da poveretta, dopo aver sognato la ricchezza, perchй, improvvisamente, disse: "Ciao, Renato... prendo un taxi perchй ho fretta... non ti dico di venire perchй abitiamo in due parti opposte." E senza lasciarmi il tempo di rifiatare, si allontanт, con tutti i suoi fiocchetti, attraverso la strada allagata, verso i taxi.



Non l'ho piщ rivista perchй il giorno dopo non andai all'ufficio e feci il provino e questo provino andт bene e cominciai a lavorare negli studi e da allora, piщ o meno, non ho mai smesso. Sono specializzato in particine di sfondo, anche mute, di teppista, sfruttatore di donne, baro, ladruncolo, e simili. Da ultimo ho saputo da un antico compagno dell'ufficio pacchi che ho incontrato per strada, che Valentina si и fidanzata con un impiegato del fermo posta, quattro sportelli piщ in lа del suo.

 

UN UOMO SFORTUNATO

 

La sfortuna mi perseguita e sicuramente, il giorno della mia nascita, c'era in cielo qualche cattiva stella o cometa o altro astro maligno. Ricordo di aver conosciuto, qualche tempo fa, un meccanico che era stato a lavorare in Francia e poi ne era tornato; e diceva anche lui di essere sfortunato. Quel meccanico si mise insieme con certi giovanotti: andavano in giro la notte con una macchina, attaccavano una catena alle saracinesche e poi mettevano in moto la macchina e la saracinesca saltava fuori e si arrotolava e loro entravano nei negozi e rubavano. Bene, quel meccanico aveva una ghigliottina tatuata sul petto e, sopra, la scritta: "Pas de chance", che in francese, appunto vuol dire: niente fortuna. Muovendo lui i muscoli del petto, sembrava che il coltello della ghigliottina cadesse giщ e lui diceva che quella sarebbe stata la sua fine. A dire il vero non finм sulla ghigliottina, ma si buscт cinque anni di prigione. Ora, anch'io dovrei avere una scritta simile sul petto o addirittura sulla fronte: niente fortuna. Tutti fanno quello che ho fatto ma agli altri va bene e a me no. Dunque sono sfortunato e certamente qualcuno mi vuole male o addirittura il mondo intero ce l'ha con me.

Ho sempre cercato di lavorare onestamente, non piщ onestamente degli altri, s'intende, perchй, dopo tutto veniamo al mondo imperfetti e soltanto Dio и perfetto. Cominciai, subito dopo essermi sposato, col metter su, coi soldi di mia moglie, una bottega di ciabattino. Mi ero scelto il quartiere degli impiegati e feci bene: gli impiegati, poveretti, le scarpe se le tengono da conto e, siccome sono impiegati e debbono far bella figura in ufficio, non possono andare in giro, come noialtri del popolo, con le scarpe rotte. La mia bottega si trovava proprio nel cuore del quartiere degli impiegati, tra quei casoni che ne contengono ciascuno almeno un migliaio; nella stessa strada, proprio di fronte a me, c'era un altro ciabattino. Era un vecchio, avrа avuto settant'anni, e mezzo cieco che quasi non ci vedeva. Il giorno stesso che aprii bottega, venne a farmi una scenata: era proprio cattivo, con certi occhi da gufo, tanto che mia moglie mi disse di stare attento al malocchio. Io non le diedi retta e feci male. In principio tutto andт bene: ero bravo, giovane, simpatico, lavorando cantavo, e per quelle serve che venivano a portarmi le scarpe dei padroni, avevo sempre qualche scherzo o qualche buona parola. La mia bottega era diventata il salotto del quartiere, e ben presto, a quel vecchiaccio, gli portai via tutta la clientela. Lui si arrovellava, ma non c'era niente da fare, anche perchй io, per abbattere la concorrenza, facevo pagare di meno. Naturalmente avevo il mio piano: appena mi sembrт di avere in mano la clientela, l'applicai. Cominciai ad alternare: a uno gli mettevo la suola di cuoio e ad un altro gli mettevo la suola di pasta, imitazione cuoio. Uno sм e uno no. Poi, vedendo che non se ne accorgevano, mi feci coraggio e misi le suole di cartone a tutti. Non era, veramente, proprio cartone, ma un prodotto sintetico fabbricato durante la guerra e giuro che era quasi meglio del cuoio. Cosм, lavorando con zelo, sempre allegro, sempre gentile, sempre di buon umore, cominciai a guadagnare discretamente. Tutti mi volevano bene, salvo quel vecchio ciabattino, s'intende; e in quel tempo mi nacque il primo figlio. Purtroppo, avvenne non so come, forse per la pioggia, che una di quelle scarpe che avevo risuolato si spaccasse. Il cliente venne a bottega a protestare; e per caso, proprio in quei giorni, tutte le mie scarpe cominciarono a scollarsi. Si sa come vanno queste cose: se lo dissero gli uni con gli altri, per tutto il quartiere, nessuno venne piщ da me, e tutti tornarono dal vecchio. Il quale adesso se la rideva, dietro il vetro della bottega, e non faceva che battere e tirare lo spago. Adesso io mi sgolavo a spiegare che il grossista mi aveva imbrogliato e che non era colpa mia, ma nessuno mi credeva. Finalmente trovai qualcuno che rilevт la bottega, presi quei pochi soldi e me ne andai.

Capii che non era il caso di insistere con le scarpe e decisi di cambiar mestiere. Da ragazzo avevo lavorato presso un idraulico e pensai di metter su una bottega di stagnaro. Anche questa volta feci le cose con giudizio: scelsi un quartiere del centro, dove tutte le case sono antiche e hanno le tubature marce e gli impianti vecchi. Trovai un locale in una straduccia umida e senza sole, proprio un buco, tra la bottega di un carbonaio e quella di una stiratrice. Comprai i ferri, qualche tubo di piombo, qualche lavandino, qualche rubinetto e mi feci stampare un biglietto in cui c'era scritto: "Officina idraulicomeccanica. Lavori a domicilio. Preventivi a richiesta." Cominciт subito ad andar bene: quell'inverno ci fu un gran freddo e perfino nevicт e non si contano i tubi che scoppiarono in tutte quelle case vecchie e marce. D'altronde, di stagnari buoni ce ne sono sempre pochi, e quando c'и un guasto ad uno scaldabagno o ad una macchina da caffи, la gente si raccomanda allo stagnaro come a un dio. Non si ha idea della disperazione in cui cadono persone anche ricche allorchй l'acqua non gli viene piщ o gli allaga il bagno: telefonano, supplicano, si raccomandano e, venuto il momento, pagano senza fiatare. Lo stagnaro и proprio indispensabile, e infatti tutti gli stagnari sono superbi, e guai a trattarli male. A me cominciт, come ho detto, ad andar subito bene. La bottega era buia e piccola e in vetrina non ci tenevo che una dozzina di rubinetti; ma molta gente mi chiamava e ben presto ebbi da fare tutto il giorno. E le cose sarebbero andate lisce, questa volta, se un altro stagnaro non fosse venuto ad aprir bottega proprio di fronte alla mia. Era un giovane biondo, piccolo, silenzioso, con una testa dura e incassata nel petto per via che quasi non aveva collo. Costui si mise in capo di portarmi via la clientela e siccome pareva deciso perfino a rimetterci, mi convinsi che se non provvedevo, ci sarebbe riuscito. Pensandoci, mi venne una buona idea per conservare i clienti e, magari, accrescere il lavoro. Mettiamo che avessi da applicare uno scaldabagno. Stringendo i dadi con la chiave inglese, davo una storta al tubo, ma appena, in modo che il tubo, vecchio e logoro com'era, si spaccasse dentro il muro. La notte la casa si allagava, il cliente mi chiamava, io rompevo il muro, cambiavo il tubo, ed era tutto un lavoro. Insomma provocavo qualche guasto, avendo cura di non farlo lа dove avevo eseguito prima la riparazione. Con questo sistema fronteggiai la concorrenza e persino migliorai la mia situazione. Intanto mi nacque il secondo figlio e respirai: questa volta ero davvero fuori dalla sfortuna. Ma non bisogna mai cantar vittoria. Uno di quei guasti provocati da me andт piщ in lа di quanto non avessi preveduto. Saltт uno scaldabagno, e appiccт il fuoco ad un armadio e poi all'appartamento. Disgrazia volle che qualcuno mi aveva osservato, un ragazzo, appassionato, a quando sembra, di meccanica. Non dico quello che passai, per poco non finivo in galera. Dovetti anche questa volta chiudere bottega e andarmene dal quartiere.

Ostinato, volli aprir bottega una terza volta. Ormai di soldi ne rimanevano pochi e con due figli e un terzo per via, non c'era da sperar molto. Andai in un quartiere proprio popolare, alla periferia, dalle parti del mattatoio, e aprii un negozietto di materassaio. Questa volta l'idea era di mia moglie, perchй mio suocero era, appunto, materassaio. Comperai una macchina da cucire, qualche rete metallica, qualche branda, qualche rotolo di stoffa da materassi, qualche po' di lana e di crine. Mia moglie, poveretta, con tutto che aspettasse un bambino, cuciva a macchina, e io facevo il lavoro piщ pesante, come, per esempio, cardare la lana. Il quartiere era poverissimo e le ordinazioni venivano raramente. Non si riusciva neppure a mangiare e, come dissi a mia moglie, questa volta la sfortuna sarebbe stato molto piщ difficile scarognarsela di dosso. Ma verso la primavera le cose cominciarono ad andar meglio. Anche i poveri vogliono essere puliti; e le famiglie povere fanno qualsiasi sacrificio pur di tenere in ordine la casa. A primavera, dunque, molte donne del quartiere vennero da me per farsi rifare i materassi. Si sa come vanno queste cose: un mese prima non veniva nessuno, un mese dopo non sapevo piщ dove metter le mani. Siccome da solo non ce la facevo, presi un garzone. Era un ragazzaccio di diciassette anni e lo chiamavano Negus per via che aveva la pelle scura e i capelli ricci, proprio come il Negus dell'Abissinia. Lui andava in giro a riportare o prendere i materassi, e io restavo a bottega a lavorare. Questo Negus era la disperazione di sua madre che faceva la lavandaia; e un giorno che l'avevo mandato a farsi pagare una fattura, non tornт a bottega. Andт alla partita di calcio e poi non so dove e, insomma, si mangiт i quattrini. Ma poi ebbe la fronte di venire a bottega e di dirmi che gli avevano rubato il portafogli. Io gli dissi che era un ladro, lui mi rispose male, e io gli diedi uno schiaffo e poi dovetti ricorrere alla forza per cacciarlo dalla bottega. Fu questa l'origine della mia nuova sfortuna. Quel mascalzone andт in giro per tutto il quartiere raccontando che io, tempo addietro, nel rifare cinque materassi, avevo trovato in uno le cimici, e allora non soltanto ce le avevo lasciate ma anche ne avevo aggiunto un paio per ciascuno degli altri quattro materassi. Questo per ottenere che, alla prossima buona stagione, me li mandassero a rifare. Era vero, ma, si sa, bisogna ingegnarsi e tutti si ingegnano. In breve: ci fu quasi una rivoluzione, le donne mi assediarono nella bottega, e volevano bastonarmi. Venne perfino la questura e fui diffidato. Questa volta fu l'ultima volta. Vendetti la macchina da cucire e quella poca roba, e me ne andai alla chetichella, di notte, come un ladro.

Ora dico: si puт essere piщ sfortunati di me? Volevo lavorare onestamente, tranquillamente, tutt'al piщ aiutando il lavoro con un po' di destrezza, ma non piщ di quanto facciano tanti altri. Volevo, insomma, diventare un buon lavoratore; e, invece, eccomi disoccupato. Almeno avessi un po' di soldi, aprirei un'osteria e cosм, siccome и inteso che nel vino ci va l'acqua, forse potrei sfangarla. Ma non ho piщ soldi, e mi toccherа andare garzone. E, come tutti sanno, chi vive di stipendio, muore di fame. Sono proprio sfortunato, anzi iettato. Mia moglie mi ha cucito un santino nel portafogli, e io porto addosso non so quanti tra corni e portafortuna. Sull'uscio di casa, poi, ho appeso un ferro da cavallo con tutti i chiodi. Ma tant'и, sono sfortunato, ho vissuto da sfortunato, e morirт da sfortunato. La chiromante da cui sono andato per sapere chi mi vuol male, come ha veduto la mia mano, ha levato le braccia al cielo, e ha gridato: "Uh! che vedo! che vedo!" Io mi sono messo paura e le ho domandato che cosa vedeva. E lei ha risposto: "Figlio mio, una stella nera nera, tutti ti vogliono male."

"E allora?", le ho domandato. "Allora fatti coraggio e fida in Dio."

"Ma io", ho protestato "ho sempre fatto il mio dovere." E lei: "Figlio mio, troppa gente ti vuol male... che serve fare il proprio dovere quando la gente vuol male? Serve soltanto ad avere la coscienza tranquilla." Allora io ho risposto: "A me basta d'avere la coscienza tranquilla come ce l'ho. Tutto il resto non m'importa."

 

TIRATO A SORTE

 

La domenica, spesso, ci davamo appuntamento Remo, Ettore, Luigi ed io, fuori porta San Paolo, davanti al cinema del quartiere che dа i film in terza visione; ma il piщ delle volte non entravamo perchй non ci avevamo i soldi per il biglietto. Eravamo tutti e quattro sui diciott'anni; tutti e quattro disoccupati; e tutti e quattro senza un soldo. Cioи, un po' di soldi li avevamo ma questi dovevano servirci per le sigarette che, dopo tutto, sono piщ importanti del cinema. Anche le sigarette, del resto, ci pensavamo due volte prima di sprecarle: ne fumavamo una per volta, passandocela e prendendo una boccata ciascuno. La domenica, si sa, tutti si mettono i vestiti migliori; ma per noialtri, i nostri vestiti migliori erano i peggiori dei nostri fratelli e padri, quelli che non si mettevano piщ e che ci passavano quando erano proprio sfiniti. Io, per esempio, portavo il vestito di mio fratello: le maniche e i pantaloni, a casa, me li avevano accorciati, ma le spalle scendevano, larghe il doppio delle mie. Per fortuna, sotto la giacca ci avevo una maglia rossa accollata che mi stava bene perchй sono biondo e ho gli occhi azzurri. Gli altri tre non se la passavano meglio di me: pantaloni sformati, giacche idem, maglie da ciclisti. Eravamo amici soprattutto per via della miseria che ci riuniva nelle voglie che non potevamo toglierci: insieme ci arrampicavamo sulle palizzate per goderci le partite di calcio senza pagare l'ingresso; insieme, da una finestra di Luigi, guardavamo al cinema all'aperto, d'estate; insieme giocavamo alle carte, in qualche luogo tranquillo, sotto le mura, ma senza soldi, con sassi e bottoni.

Una di quelle domeniche, ci riunimmo, al solito, davanti al cinema perchй Remo conosceva il padrone, un giovanotto grasso che si chiamava Alfredo, e questi, qualche volta, quando la sala non era piena, ci aveva fatto entrare gratis. Ma quel giorno Alfredo ce lo disse subito: "Ragazzi, niente ingresso gratis, oggi." E indicт, sopra la cassa, un cartello in cui appunto c'era scritto: sono aboliti gli ingressi di favore.

Remo insistette: "Senti... due per volta... due adesso e due al prossimo spettacolo." Ma Alfredo, senza levare gli occhi dal blocchetto dei biglietti, fece di no con la testa, irremovibile.

Perт, ci era rimasta la voglia e cosм indugiammo sotto la pensilina del cinema a guardare i cartelloni e la gente che entrava. Ecco che si accostano ai cartelloni due ragazze, timide timide, una bruna e l'altra bionda. La bruna aveva un corpetto di velluto nero, un po' spelacchiato e una gonna rossa, di tela leggera, che pareva una sottoveste tanto era ciancicata e macchiata. Perт mi piacque subito: scura di pelle come una zingara, con due occhi di carbone, vivi, la bocca larga e rossa, la persona snodata e sottile. La bionda, invece, non mi piacque: grossa, col petto e i fianchi traboccanti, un vestito marrone che pareva una ragnatela, le calze rammendate sulle gambe grasse e bianche, la faccia larga, rosa e pelosa come una pesca. La bionda non ci aveva nemmeno la borsetta; la bruna ce l'aveva, di velluto nero, ma cosм piatta e magra che ci avrei giurato che dentro non ci aveva nemmeno il fazzoletto. Diedi col gomito a Remo, indicandole con gli occhi, e lui mi incoraggiт con uno sguardo. Allora mi avvicinai e dissi: "Signorine, possiamo offrirvi il cinema?"

La bruna si voltт subito rispondendo: "No, grazie, aspettiamo qualcuno."

Domandai un po' ironico: "Chi aspettate? I fidanzati?" Lei rimbeccт: "E perchй? Non ci credete che ce li abbiamo i fidanzati?"

Dissi: "Chi ha detto niente... la prima gallina che canta ha fatto l'uovo."

E lei: "Allora noi saremmo le galline?"

"Eh, giа."

"E voialtri i galli?"

"Sicuro."

"Siete galletti spennacchiati", disse lei con la sua voce rauca, galletti senza penne."

"Insomma, che ci avete da ridire su di noi?"

"Niente", disse lei decidendosi ad un tratto, "anzi, se volete offrirci il cinema, accettiamo;" e fece una piccola riverenza, prendendosi con le due mani i lembi della gonna, come per dire "su, coraggio, fatevi avanti".

Restai male. Avevo parlato del cinema tanto per rompere il ghiaccio. Ma i soldi non ce li avevamo manco per noi, figuriamoci per loro. Risposi: "A dire la veritа, i soldi per il cinema non ce li abbiamo... avevo detto cosм per dire."

La bruna si mise a ridere, mostrando due file di denti bianchi e belli, da selvaggia: "L'avevamo capito da un pezzo." La bionda le disse qualche cosa, piano; ma lei che mi guardava, provocante, alzт le spalle. Quindi soggiunse: "Beh, non importa... ci siete simpatici lo stesso, anche se non avete soldi.., non ci teniamo al cinema... vogliamo fare quattro passi?"

"Facciamoli."

Ci allontanammo dal cinema avviandoci per una strada deserta che accompagna le mura, fuori porta San Paolo. La bruna camminava avanti e noi quattro le stavamo tutti e quattro intorno, perchй, come mi accorsi subito, piaceva a tutti e quattro. La bionda, immusonita, veniva dietro, sola sola. La bruna faceva le civetterie ridendo e scherzando e aveva un suo modo di muover le gambe dentro la gonna rossa per cui ad ogni passo questa gonna sventolava come una bandiera; e noi quattro facevamo a gara per ingraziarcela; ma alla bionda neppure una parola. Come ho detto, la bruna mi piaceva proprio tanto; ma la corte degli altri tre mi impacciava e mi dava fastidio. Se la prendevo sotto braccio, subito un altro le acchiappava l'altro braccio; se la guardavo, subito un altro si sporgeva a guardarla anche lui; se le dicevo una frase gentile, subito un altro ci metteva il becco. Finalmente spazientito, dissi a Luigi, che era il piщ scorfano dei quattro: "E piantala... perchй non tieni compagnia ad Elisa?"

Elisa era la bionda che camminava un po' in disparte, un filo d'erba tra i denti. La bruna confermт, ridendo: "Giа, nessuno tiene compagnia ad Elisa."

"Oh, per me, non ho bisogno di compagnia... sto bene sola", disse Elisa imbronciata.

"Perchй non le tieni tu compagnia ad Elisa?", disse Luigi. "Giа" disse la bruna ridendo, "perchй non tiene lei compagnia ad Elisa?"

Tutto ad un tratto mi venne la stizza e risposi: "Sapete che mi sembrate?... Tanti cani intorno un osso... Io terrт compagnia ad Elisa... sissignore.. divertitevi voialtri." E, senza esitare, mi avvicinai ad Elisa e la presi sotto braccio, dicendo: "Allora Elisa... facciamo pace?"

"Non ci siamo mai litigati", rispose lei un po' sostenuta.

Riprendemmo a camminare per quella strada polverosa, da una torre all'altra delle mura. Ben presto capii che la manovra era riuscita: adesso, infatti, la bruna non pareva piщ tanto contenta e, pur ridendo e civettando, ogni tanto si voltava a lanciarci, a me e ad Elisa che venivamo dietro, certi sguardi pieni di gelosia. Dissi ad Elisa: "Ma che ci ha la tua amica?... che vuole?" Lei rispose: "И civetta... gli uomini li vuole tutti lei."

Dissi: "E io invece sto con te... mi vuoi?"

Lei non rispose nulla, forse per timidezza; ma si fece rossa e mi premette il braccio.

Intanto eravamo arrivati in fondo alla strada e poi eravamo tornati indietro, sempre ridendo e scherzando; e adesso eravamo al punto di prima, davanti al cinema. La bruna, ad un tratto, si fermт e disse con decisione: "Sentite un po'... и un'ora che ci fate camminare nella polvere... insomma che ci offrite? Se non avete nulla da offrirci, tanto vale che ci separiamo."

Elisa, contenta che io la tenessi sotto braccio, arrischiт: "Ci offrono la loro compagnia." Ma la bruna non fece caso a queste parole e proseguм: "Sentite, ho un'idea... almeno i soldi per fare entrare al cinema due persone ce li avete fra tutti e quattro?"

Ci guardammo in viso. Dissi: "Credo di sм... no, Remo?"

"Sм", disse Remo.

"Bene... adesso io scrivo i vostri nomi su quattro bigliettini... poi li mettiamo in un berretto e tiriamo a sorte... chi vince si sceglie una di noi due e va al cinema con lei a spese degli altri tre... ci state?"

Ci guardammo di nuovo in faccia. Era tentante e non era tentante. Era tentante perchй lei ci piaceva a tutti e quattro e sapevamo che chi fosse stato scelto, avrebbe scelto a sua volta lei; non era tentante perchй a nessuno piaceva l'idea di pagare il cinema e la ragazza ad un altro. Alla fine dissi: "Io per me, ci sto;" e tutti gli altri, per non fare brutta figura, accettarono.

"Benissimo", disse lei "datemi prima di tutto i soldi e poi un berretto e un lapis." Un po' seccati rovesciammo le tasche: saltт fuori il denaro per i due biglietti e anche qualche cosa di piщ. Remo le diede il suo berretto e Luigi un pezzo di lapis. Lei prese il denaro, raccattт un vecchio giornale, ne strappт quattro striscioline e poi, appartandosi presso un mucchio di rovine, sotto le mura, ci gridт da lontano: "Ditemi un po' i vostri nomi."

Glieli dicemmo. Lei scrisse i nomi, mise i biglietti nel berretto e, agitandolo, venne incontro all'amica e le disse: "Prendine uno." Elisa ubbidм, lei svolse il biglietto e disse con voce trionfante: "Giulio."

Era il mio nome. Mi alzai dicendo: "Tocca a me;" e senza esitare indicai la bruna, soggiungendo: "Scelgo lei."

La bruna fece una risata, una piroletta, e venne ad appendersi al mio braccio. Tutto era avvenuto in un attimo: adesso la bruna mi stava accanto e il cinema era lа, sull'altro marciapiede, e la bionda era rimasta come attonita, il berretto in mano. Poi Remo gridт: "Non ci vedo chiaro... Lei voleva Giulio e Giulio и venuto."

Un altro disse: "Non vale."

Risposi: "Perchй non vale?... abbiamo tirato a sorte."

Ma Remo aveva ripreso il suo berretto ed esaminava gli altri tre biglietti. Poi diede un urlo: "Non vale, non vale... c'и scritto Giulio in tutti e quattro i biglietti."

"Ma chi l'ha detto?"

"Guarda."

Era vero. La bruna si mise a ridere, sfacciata, e disse: "Beh, ormai и fatta... noi andiamo al cinema, arrivederci."

Remo deciso ci sbarrт il passo: "Tu intanto ridacci i soldi." Risposi: "Ve li ridт domani."

"Niente domani... ce li ridai subito."

La bruna intervenne dicendomi sottovoce: "Non farti metter sotto;" e io, incoraggiato, affrontai Remo dicendo: "Ve li ridт domani... e adesso sciт, levatevi dai piedi."

Avevo appena detto queste parole che lui mi era saltato addosso e gli altri due con lui e tutti e quattro stavamo in terra, avvinghiati, lottando e menandoci. Sono forte; ma loro erano tre e io ero uno solo, e loro avrebbero certamente finito per mettermi sotto, se, per combinazione, una guardia che gironzolava lм accanto, non si fosse avvicinata, gridando con voce autoritaria: "Ehi, ragazzacci... ma dove credete di essere... dico a voialtri... ehi."

Ci levammo tutti e quattro, ansanti e coperti di polvere. Remo gridт inferocito: "Ridacci i soldi;" ma la bruna, franca e pronta, subito si avanzт e disse:. "Noi due, io e lui, siamo fidanzati... e andavamo a spasso per i fatti nostri... quei tre ci seguivano e ci davano fastidio... signora guardia, gli dica un po' di andarsene a quegli impuniti... Chi li conosce? che vogliono? chi sono?... noi vogliamo passeggiare in pace."

Dico la veritа, tanta faccia tosta non meravigliт soltanto loro ma anche me. La guardia disse, severa: "Andatevene, circolate... o se no...;" e loro, attoniti, cominciarono ad indietreggiare, pur guardandoci. Il cinema era lм, sul marciapiede di fronte: presi la bruna sotto braccio e attraversai la strada. Remo mi gridт: "Domani facciamo i conti;" ma tanto lui che gli altri non avevano il coraggio di muoversi perchй la guardia era rimasta ferma, lа dove si trovava. Entrai nel cinema e dissi ad Alfredo: "Due poltrone di platea;" e la bruna gettт i soldi sul banco della cassa. Come entrammo nella sala, lei mi disse: "Ce l'abbiamo fatta."

Domandai: "Come ti chiami?"

Lei rispose: "Mi chiamo Assunta."

 

PIGLIATI UN BRODO

 

Il tappezziere и un mestiere difficile. Non parlo dell'occhio che ci vuole per inchiodare e stendere senza grinze nй difetti le stoffe sui mobili; nй della pazienza per cucire a mano, mettiamo, quattro o cinque teli di chinz; nй della pulizia, trattandosi di roba delicata. Parlo dello spazio. Mettiamo che il tappezziere abbia da ricoprire un paio di divani e cinque o sei tra poltrone, seggiole e seggioloni che и un lavoro normale, ed ecco tutto il posto occupato, anche ad avere una bottega grande assai. Per questo le botteghe per tappezzieri si trovano difficilmente e io, con tutto che sono tappezziere da piщ di quarant'anni (cominciai a sedici anni a lavorare con mio padre ch'era tappezziere anche lui), io dico, ho sempre lavorato a casa. Abito alla Lungara, non tanto lontano da Regina Coeli, in uno stanzone lungo, largo e alto che guarda al Tevere con quattro finestre. In questo stanzone, finchй и vissuta la mia prima moglie, non soltanto ci ho lavorato ma anche ci ho dormito insieme con tutta la famiglia: in un angolo c'era un lettino per mio figlio Ferdinando; nell'angolo opposto, dietro un paravento, un lettone per mia moglie e per me. Sistemazione obbligatoria, visto che, oltre allo stanzone, nell'appartamento non c'erano che due ripostigli per la cucina e per il cesso. Poi mia moglie morм, a soli cinquant'anni e io, che ne avevo quasi sessanta, dopo aver provato a star senza moglie, mi accorsi che non ce la facevo e mi risposai, e tutto cambiт. Giuditta, la mia seconda moglie, aveva trent'anni meno di me e poteva anche dirsi bella sebbene molti uomini affermassero che c'era in lei qualche cosa che respingeva: pallida come una morta, con gli occhi neri sporgenti come quelli degli agnelli sgozzati che si vedono dai beccai, i capelli neri, le carni bianche e toste ma fredde. Prima di sposarsi, Giuditta era stata una povera operaia, dopo sposata volle fare la signora.


Дата добавления: 2015-10-21; просмотров: 27 | Нарушение авторских прав







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