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Collana: Tascabili Bompiani 11 страница



"Tabщ" risposi dopo un momento di incertezza "vuol dire quando una cosa o una persona и sacra."

Lei non disse nulla perchй in quel momento Ugo si avvicinava portando in braccio una pezza di cotone e la spiegava con il solito schiocco, dicendo: "Questo и quello che ci vuole per lei, signora." Ma dagli sguardi di Grazia capii che era proprio innamorata: diamine, un uomo bello, forte, giovane e per giunta, anche tabщ.

 

IO NON DICO DI NO

 

Per capire il carattere di Adele, voglio soltanto raccontare quel che avvenne la prima notte di nozze: come si dice, dal mattino si giudica il buon giorno. Dunque, dopo la cena in una trattoria di Trastevere, dopo i brindisi, le poesie, gli auguri, gli abbracci e le lagrime della suocera, andammo, a casa mia, sopra il mio negozio di ferramenta, in via dell'Anima. Eravamo sposi, ci vergognavamo un poco tutti e due; come fummo in camera da letto, cominciai col togliermi la giacca e, appendendola ad una seggiola, dissi tanto per rompere il ghiaccio: "Dice che porta fortuna... hai visto?... eravamo tredici a tavola." Adele si era tolta le scarpe nuove che le facevano male e stava ritta in piedi di fronte allo specchio dell'armadio, guardandosi. Rispose subito, contenta, come se quella mia frase le avesse fatto passare la soggezione: "Veramente, Gino, eravamo in dodici... dieci gli invitati e noialtri due, dodici." Ora io, al ristorante, anche per regolarmi per le ordinazioni, avevo contato i presenti; e contandoli avevo veduto appunto che eravamo in tredici, tanto che avevo detto a Lodovico, uno dei testimoni: "Siamo in tredici... non vorrei che ci portasse male." E lui aveva risposto: "No, anzi porta bene." Sedetti sul bordo del letto e cominciai a sfilarmi i pantaloni rispondendo con calma: "Ti sbagli.. eravamo in tredici... ci feci caso e lo dissi anche a Lodovico." Adele, lм per lм, non mi rispose, perchй aveva il capo e mezzo il corpo imbacuccati nel vestito che stava tirandosi via dall'alto. Ma come ne spuntт fuori, ancor prima di rifiatare, disse, con vivacitа: "Non hai contato bene... eravamo in tredici per strada... ma poi Meo se ne andт e rimanemmo in dodici." Adesso ero rimasto in mutande e, non so perchй, tutto ad un tratto mi stizzii: "Ma che dodici d'Egitto... e poi che c'entra Meo?... se ti dico che ho fatto il conto dentro il ristorante."

"Beh, allora" disse lei andando a riporre il vestito nell'armadio, "vuol dire che quando hai contato avevi giа bevuto un po' troppo... ecco tutto."

"Ma chi ha bevuto?... se avrт bevuto sм e no un paio di bicchieri compreso lo spumante..."

"Insomma" disse lei "eravamo in dodici... e tu non te lo ricordi perchй adesso sei ubriaco e la memoria t'inganna."

"Ma chi и ubriaco?... eravamo in tredici."

"E io ti dico che eravamo in dodici."

"In tredici."

"In dodici." Ora ci parlavamo sul naso nel mezzo della stanza, io in mutande e lei in sottana. L'acchiappai per le braccia e le urlai in faccia: "In tredici", ma poi cambiai ad un tratto idea e cercai di abbracciarla mormorando: "Tredici o dodici non importa... dammi un bacio." Ma lei pur cascando sul letto e non rifiutando il bacio, sussurrт, quasi, si puт dire, sotto le mie labbra, nel momento che incontravano le sue: "Sм, ma eravamo in dodici." Questa volta saltai in mezzo alla stanza e gridai: "Comincia male... tu sei mia moglie e devi obbedirmi... se ti dico che eravamo in tredici, tredici ha da essere e non devi contraddire." Lei allora si alzт dal letto e gridт con forza: "Io tua moglie lo sono, o meglio lo sarт... ma noi eravamo in dodici."

"Piglia su... eravamo in tredici." Cosм era volato il primo schiaffo, asciutto e sonoro. Adele rimase per un poco come intontita, poi corse alla porta del salotto, l'aprм, gridт dalla soglia: "Eravamo in dodici... e lasciami in pace... mi fai schifo", e scomparve. Dopo un momento di stupore, mi riscossi, andai alla porta, chiamai, bussai, pregai: niente. Insomma andт a finire che passai la notte di nozze tutto solo, sonnecchiando, mezzo svestito, sul letto; e lei credo che facesse lo stesso sul divano del salotto. Il giorno dopo, di comune accordo, andammo dalla madre di lei e le domandammo in quanti eravamo. Venne fuori che, in realtа, eravamo in quattordici per via di due ragazzini cosм piccoli che erano scivolati giщ dalle seggiole e si erano messi a giocare sotto la tavola. Quando io avevo fatto il conto, uno di loro stava ancora seduto; quando aveva contato Adele, erano spariti tutti e due. Cosм avevamo ragione ambedue; ma Adele, come moglie, aveva torto.



Dopo quella prima volta, non si contano le occasioni in cui Adele mostrт questo suo carattere cosм tignoso. Aveva la smania di discutere su ogni inezia, se io dicevo bianco lei diceva nero, mai cedeva, mai ammetteva di aver torto. A volerle raccontare non si finirebbe piщ: come quella volta, per esempio, che sostenne per una giornata intera di non aver ricevuto il denaro della spesa e poi, dopo aver discusso per ventiquattro ore di seguito, eccolo il denaro, sul davanzale della finestrella del cesso, a prendere il fresco, come una rosa in un bicchiere. Naturalmente la discussione continuт, perchй lei sosteneva che il denaro sulla finestrella ce l'avevo messo io; e io, invece, le dimostravo coi fatti che non poteva essere e che lei era andata, appunto, in quel luogo oscuro dopo aver ricevuto il denaro e non prima. O quell'altra volta che, sempre tignosa, sostenne che Alessandro, il barista del caffи dirimpetto, aveva quattro figli mentre io sapevo benissimo che ne aveva tre, e cosм andammo avanti a discutere una settimana, perchй il barista era assente; e poi lui tornт e allora scoprimmo che aveva tre figli quando la discussione era cominciata e quattro adesso perchй uno intanto gli era nato. Sciocchezze; e, come succede, ora avevo ragione io e ora aveva ragione lei; ma quello che cercavo invano di farle capire, era che la ragione non contava, e che quel suo vizio di discutere per ogni nonnulla avrebbe finito per rovinare ogni cosa. Lei rispondeva: "Tu non vuoi una moglie, vuoi una schiava." Cosм, a forza di discutere, eravamo ormai, come si dice, ai ferri corti; e appena dicevo qualche cosa anche la piщ sicura, come per esempio: "Oggi c'и il sole", mi sentivo giа tutto stizzito dall'idea che lei potesse contraddirmi; e la guardavo, e infatti, ecco, subito, lei diceva: "Ma no, Gino, il sole oggi non c'и... и tutto nuvolo." Allora prendevo il cappello e scappavo di casa, chй, se fossi rimasto, sarei schiattato dalla rabbia.

Uno di quei giorni, passando per Ripetta, incontrai Giulia, una ragazza a cui avevo fatto la corte poco prima che conoscessi Adele. Allora mi ero stancato presto di lei perchй non mi sembrava abbastanza indipendente e qualsiasi cosa dicessi mi approvava e non mi dava mai torto, neppure quando l'avrebbe visto anche un cieco che il torto ce l'avevo. Ma adesso che la donna indipendente l'avevo sposata e me la godevo, rimpiangevo Giulia cosм dolce e arrendevole, e mi mordevo le mani di averle preferito Adele. Quel mattino mi fece piacere di incontrarla, se non altro per la differenza tra il suo carattere e quello di Adele; e cosм, mentre lei si schermiva dicendo che doveva andare al mercato a far la spesa, la trattenni, soltanto per il piacere di vederla darmi ragione, e rimanere dolce, e non contraddirmi neppure una volta. Le dissi, tanto per metterla alla prova: "Allora ti sei pentita del torto che mi hai fatto? Ti sei accorta che io ero meglio di tanti altri? Di', perchй non mi hai voluto?" Ora io sapevo benissimo che questo non era vero: ero stato io a lasciarla, adducendo, appunto, che non mi piacevano le donne come lei, troppo docili. Ma volevo vedere quel che rispondeva a questa mia accusa tanto falsa e ingiusta. Lei, poveretta, a sentirmi parlare in quel modo, sgranт gli occhi, sorpresa. Per un momento, certo ebbe la tentazione di rispondermi che il torto l'avevo fatto io a lei, come era vero, e che ero stato io a lasciarla. Ma poi, invece, il suo carattere si rivelт. Disse, con la sua voce dolce: "Gino... deve esserci stato un malinteso... io, mai e poi mai ti avrei lasciato... ti volevo tanto bene." Noterete che non mi accusava di dire una bugia, come certamente avrebbe fatto Adele; cercava invece di discolparsi e, per farmi piacere, ammetteva che un po' di colpa forse l'aveva avuta anche lei. Scoppiai allora in una risata allegra al pensiero della sciocchezza che avevo commesso preferendole Adele; ed esclamai, facendole una carezza alla guancia: "Lo so che la colpa fu tutta mia... eh, purtroppo, non ci fu alcun malinteso... tutta mia fu la colpa... ho detto cosм per dire... per vedere che cosa rispondevi." Poi le feci un'altra carezza alla guancia, facendola arrossire dal piacere, e scappai via. Ma prima di scantonare mi voltai: stava ancora lм, sul marciapiede, la sporta della spesa infilata al braccio che mi guardava, sbalordita.

Era la fine di maggio e il giorno dopo andammo, Adele ed io, a Fregene, in motoscooter, per fare il primo bagno. Trovammo la spiaggia deserta, con un cielo azzurro e accecante di sole, con un vento che soffiava forte, radente, pungente, pieno di sabbia. Il mare presso la riva era tutto onde verdi e bianche, che si accavallavano e si gettavano le une contro le altre; piщ lontano, era strisciato di blu quasi nero, con qualche orlo bianco qua e lа. Adele disse che voleva andare in barca e io, sebbene il mare non fosse buono, per non contraddirla e non sentirmi dire, magari, che il mare era un olio, noleggiai una barchetta e me la feci spingere in acqua. Ero in costume da bagno, Adele invece era tutta vestita e io, sempre per la paura delle discussioni, non avevo insistito affinchй si spogliasse. Il bagnino mi diede una spinta, io acchiappai i remi e cominciai a remare forte, incontro alle onde. Non erano onde alte, e, come uscii dalle secche, remai piщ piano; perт stavo attento a prendere le onde di prua perchй, a mettermi di fianco, c'era il caso che la barca, un guscio di noce, si rovesciasse. Adele stava seduta a prua, e andava su e giщ secondo le onde; tutto ad un tratto guardandola e vedendola vestita e ricordandomi che non avevo osato consigliarle di spogliarsi, mi stizzii e mi venne il desiderio di dirle che avevo incontrato Giulia. Cosм, pur remando, le raccontai come avessi voluto mettere alla prova il carattere di Giulia e come lei non mi avesse contraddetto. Adele mi ascoltт, mentre la barca andava su e giщ per le onde, finalmente disse con calma: "Ti sbagli... la colpa fu proprio sua... fu lei a lasciarti."

Diedi un colpo forte con i remi per evitare un'onda piщ alta delle altre e risposi con rabbia: "Ma chi te l'ha detto?... fui io, una sera, a farle capire che non la volevo piщ... ricordo perfino il luogo... sul Lungotevere."

Adele, con qualche cosa di maligno nella voce, i capelli tutti svolazzanti nel vento, rispose: "Al solito ricordi male... fu lei a lasciarti... disse che eri, come infatti sei, di carattere troppo litigioso... e che non se la sentiva di vivere con te."

"Ma chi te l'ha detto?"

"Me lo disse lei... qualche giorno dopo."

"Ma non era vero... lo disse per nascondere il suo disappunto: la volpe e l'uva."

"Fu lei, Gino, non insistere... me lo confermт anche la madre di lei."

"E io ti dico che non и vero... fui io."

"Fu lei."

Non so che diavolo mi prese in quel momento. Avrei sopportato di essere contraddetto in qualsiasi cosa, ma non in quella. Suppongo che ci entrasse anche il mio amor proprio di uomo. Lasciai i remi e alzandomi gridai: "Fui io... e poi basta... non voglio piщ discutere... se parli ancora, ti do un remo in testa."

"Provaci" disse lei, "ma ti arrabbi, dunque hai torto... lo sai che fu lei."

"Fui io."

Ora stavo in mezzo alla barca, in piedi, e urlavo, anche per farmi sentire in quel fracasso dalle onde. La barca andava su e giщ coi remi abbandonati e, senza che me ne accorgessi, si era messa di traverso. Adele, ricordo, tutto ad un tratto si alzт anche lei in piedi e mi gridт in faccia: "Fu lei", riunendo le mani alla bocca a far da portavoce. Nello stesso momento un'ondata massiccia si alzт, verde, come di vetro, con la cresta bianca, e ci investм rovesciandosi dentro la barca. Cascai in acqua pensando che per fortuna la barca non si era rovesciata e subito affondai tirato per i piedi da un mulinello. Andai sotto, bevvi un po' d'acqua e poi tornai a galla, lottando contro la corrente e chiamando Adele. Ma come mi guardai intorno, vidi che la barca era giа lontana, e che era vuota, e che Adele non c'era. Chiamai ancora Adele e presi a nuotare verso la barca, senza sapere quel che facessi. Ma, ad ogni ondata, la barca si allontanava un poco di piщ, e io mi riempivo d'acqua la bocca ogni volta che chiamavo Adele, e intanto pensavo che era inutile che rincorressi la barca, visto che Adele non c'era piщ. Finalmente ci rinunciai e presi a nuotare in cerchio, cercando Adele per il mare. Ma Adele non si vedeva, non si vedevano che le onde che si rincorrevano verso la riva e le forze intanto mi mancavano. Mi venne paura di affogare e presi a nuotare verso la spiaggia. Poi toccai il fondo coi piedi e, sebbene fossi ancora lontano dalla riva, mi fermai e cominciai a gridare, e un patino, difatti, si staccт dalla riva e mi venne incontro. Mentre veniva, io mi guardavo intorno, cercando Adele per il mare che era deserto a perdita d'occhio salvo la barchetta vuota che se ne andava alla deriva, coi remi abbandonati, ed incominciai a piangere ripetendo "Adele, Adele", a bassa voce, come tra me e me. Mi pareva che il mare con il suo fracasso rispondesse: "Fu lei", come se la voce di Adele scomparsa fosse rimasta per aria e ancora mi contraddicesse. Poi arrivarono i bagnini col patino e cercammo per piщ di tre ore, ma il corpo di Adele non si ritrovт nй quel mattino nй i giorni dopo.

Cosм rimasi vedovo. Passт un anno e poi mi feci coraggio e andai a trovare Giulia. La madre mi fece passare nella sala da pranzo e, come lei entrт, le dissi: "Giulia, sono venuto per chiederti se vuoi diventare mia moglie." Lei arrossм per il piacere e rispose con la sua voce dolce: "Io non dico di no... bisogna perт che ne parli a mamma." Questa sua prima frase mi colpм e poi me ne ricordai piщ tardi, come un augurio: "Io non dico di no."

Insomma, ci sposammo; e se volete conoscere una coppia che va d'accordo, venite pure a trovarci. Giulia и sempre rimasta tale quale come quel mattino quando mi rispose: "Io non dico di no."

 

L'INCOSCIENTE

 

Quando si agisce и segno che ci si aveva pensato prima: l'azione и come il verde di certe piante che spunta appena sopra la terra, ma provate a tirare e vedrete che radici profonde. Quanto ci avrт pensato a scrivere quella lettera? Sei mesi, poichй erano giusto sei mesi che quel signore si era costruita la villa al ventesimo chilometro sulla Cassia. E l'idea mi venne, appunto, vedendo la villa nuova in cima ad un poggio, nel mezzo della campagna deserta. In quel tempo mi ero montato la testa coi film e con i romanzi a fumetti e inoltre sentivo il bisogno di farmi ammirare da Santina, una ragazza della mia etа, figlia del custode del passaggio a livello, una sciocca, ma bella o almeno cosм allora mi sembrava. Una sera che passeggiavamo insieme, le dissi, mostrandole la villa: "Io me la sentirei uno di questi giorni di scrivere al padrone di quella villa una lettera minatoria."

"Che vuol dire minatoria?"

"Minacciosa... o dai tanto o se no ti facciamo fuori... minatoria insomma."

"Ma non и proibito?" domandт lei sorpresa. "Sм и proibito... ma che importa?... Una lettera con l'indicazione del luogo dove ha da portare il denaro... eh, che ne dici?" Speravo di impressionarla; ma invece, lei, come se le avessi proposto la cosa piщ naturale del mondo, disse dopo un momento di riflessione: "Io, per me ci sto... e quanto gli chiederesti?" Insomma, la prendeva con la massima naturalezza; tanto che io, per non esser da meno, risposi tranquillamente: "Non so... cento, duecentomila lire." E lei battendo le mani: "Uh che bello... e mi faresti un regalo?"

"Si capisce."

"E allora perchй non lo fai?... Che aspetti?"

Dissi allora: "Lasciami il tempo di pensarci."

Cosм, su uno scherzo, eccomi impegnato a scrivere quella lettera.

Il signore della villa passava spesso nella sua macchina per la Storta, davanti al negozio di frutta e di verdura della mamma. Era un omaccione alto, grande, grosso, con un nasone che pareva di quelli di cartone dipinto che si portano a carnevale, i baffi neri a spazzola, gli occhiacci loschi. Sempre involtato in un paltт di pelo di cammello: un vero orso. Fabbricava profumi nel sottosuolo della villa e, infatti, ad avvicinarsi alle finestre del seminterrato, si sentiva venirne non odori di cucina bensм quelli delle essenze che adoperava nel suo laboratorio. Concepii per quell'uomo un'antipatia profonda e questo era una spinta di piщ a scrivere la lettera. Ma non l'avrei mai scritta, per quanto l'odiassi e per quanto Santina adesso mi stuzzicasse per via delle centomila lire, se uno di quei giorni, a pochi chilometri dalla villa, tre uomini mascherati non avessero fatto una grassazione. I giornali davano tutti i particolari: il guidatore, un commerciante romano, freddato al volante mentre cercava di scappare, la macchina in un fosso, gli altri viaggiatori spogliati di quanto avevano. Dissi a Santina, la sera stessa: "Questo и il momento di scrivere quella lettera."

"Perchй?" domandт lei sorpresa.

"Perchй" risposi, "fingeremo che la lettera l'abbia scritta uno di quei tre che hanno fatto l'aggressione... con quei precedenti, quel signore avrа paura e scucirа i quattrini." E quindi vedendo che Santina mi guardava ammirata, continuai: "Vedi, non c'e coraggio e non c'и paura... ci sono soltanto coscienza e incoscienza... la coscienza и paura, l'incoscienza и coraggio... quel signore adesso и un incosciente... lui non sa di abitare in una villa solitaria, in mezzo alla campagna, a disposizione, per cosм dire, di chiunque lo voglia aggredire... o meglio lo sa con la testa ma non lo sa con le budella... и, insomma, incosciente ossia coraggioso... io, con la mia lettera lo renderт cosciente, ossia pauroso... tutto ad un tratto si accorgerа di essere in pericolo... e allora avrа paura e pagherа." Erano tutte cose a cui pensavo da mesi, anzi da anni; e cosм mi uscivano di bocca come se le avessi lette nelle pagine di un libro. Santina, ammirata, esclamт, infatti: "Ma di' un po', tu come le pensi tutte queste cose?... lo sai che sei intelligente." E io, gonfiato di vanitа: "Questo и niente... si vede che non mi conosci."

Ero cosм esaltato che non posi tempo in mezzo. Andammo Santina ed io nello spaccio alimentare della Scorta, e lм per lм, ad un tavolino scrivemmo la lettera. Questa diceva: "Beccamorto, da un pezzo ti seguiamo e sappiamo che i soldi non ti mancano. Se non vuoi fare la fine di Vaccarino, prendi centomila lire, mettile in una busta e nascondile sotto un sasso, dietro il cippo del trentesimo chilometro sulla Cassia, domani, lunedм, prima di mezzanotte. L'uomo mascherato."

Vaccarino era, appunto, quel commerciante che avevano ammazzato il giorno prima. Santina avrebbe voluto che ci mettessi un milione invece di centomila lire, ma io non accettai. Per un milione, le spiegai, un uomo rischia anche la pelle; per centomila lire, invece, ci pensa due volte prima di farlo; e dopo averci pensato, finisce per pagare.

Santina mi lasciт per andarsene a casa; e io, dopo aver gironzolato ancora un poco per lo spiazzo della Storta, come si fece sera, inforcai la bicicletta e mi diressi verso la villa di quel signore, giщ per la Cassia. Era d'inverno, con la tramontana, con un cielo rosso e intirizzito, e gli alberi neri come il carbone e, tra un albero e l'altro, la campagna giа tutta bruna ma limpida come il cristallo. Giunsi in volata al cancello della villa e, senza smontare dalla bicicletta, appoggiandomi con una mano a uno dei pilastri, con l'altra gettai la lettera nella buca. La strada in quel punto fa un rettifilo tra due curve. Proprio nel momento in cui mettevo la lettera nella buca, vidi spuntare alla curva, della parte di Roma, la macchina di quel signore.

Lм per lм non pensai nulla, mi chinai sul manubrio e pedalai. A metа del rettifilo incrociai la macchina: io non vidi il signore perchй il vetro del parabrise, specchiante, me l'impediva; ma lui, certo, potй guardarmi quanto volle. Feci di volata tutta la strada fino alla Storta, quasi quasi mi pareva che correndo a quel modo avrei potuto lasciarmi dietro la paura e invece la paura l'avevo dentro di me e, come entrai in casa, perfino la mamma se ne accorse e mi domandт se per caso non mi sentissi male. Le risposi che avevo preso freddo, che non avrei cenato e, senza dar retta a lei che giа si preoccupava, passai in camera mia. Mi gettai sul letto, al buio, e presi a riflettere. Ora capivo che il solo cosciente tra tanti incoscienti ero io e che, se non avessi ritrovato l'incoscienza, sarei morto dalla paura. Ero sicuro che quel signore mi aveva veduto gettare la lettera nella buca; e avendomi veduto non c'era speranza che non mi avesse riconosciuto: passava alla Storta almeno due volte al giorno e io ero sempre lа, tra le ceste di verdura e di frutta della mamma, oppure in piedi nello spiazzo, appoggiato alla bicicletta insieme con gli altri ragazzotti della localitа. Io, poi, sono riconoscibile perchй ho i capelli rossi, sono lentigginoso e porto gli occhiali e alla Storta non c'и nessuno come me. Forse quel signore ignorava il mio nome; ma sarebbe andato lo stesso dal maresciallo dei carabinieri e gli avrebbe detto: "Ho ricevuto questa lettera minatoria... l'ha impostata un ragazzo cosм e cosм." Il maresciallo avrebbe capito subito: "Emilio... ma bravo... adesso lo troviamo." Sarebbero venuti al negozio; e a me, giа tutto tremante, tra le ceste di scarola e di arance, avrebbe domandato: "Di' un po' Emilio, dove eri ieri, verso le sei?" Io avrei risposto che ero alla casa cantoniera, da Santina. Allora avrebbero chiamato Santina e lei, per non compromettersi, avrebbe detto: "Ma chi l'ha visto?... io non l'ho visto." Il maresciallo mi avrebbe detto: "Te lo dico io dove eri, Emilio... davanti la Villa Sorriso... e mettevi in buca questa lettera." Nonostante le mie proteste, il signore avrebbe confermato l'accusa e il maresciallo mi avrebbe messo le manette e mi avrebbe portato in prigione. Poi, siccome le disgrazie non vengono mai sole, mi avrebbero attribuito anche l'omicidio di Vaccarino. Mi avrebbero fatto un processo clamoroso: il bandito della Via Cassia, il mostro della Storta, l'assassino del trentesimo chilometro. Con questi bei nomignoli, venti o trent'anni me li sarei presi di certo...

La finestra della mia camera non ha persiane e guarda ai campi: c'era una luna feroce, forbita dalla tramontana come uno specchio d'argento, e in camera ci si vedeva meglio che di giorno. Erano ormai due o tre ore che mi rivoltavo sul letto, sveglio come un grillo, e quella luce della luna mi pareva adesso che facesse una sola cosa con la paura e come non riuscivo a liberarmi della paura cosм non riuscivo a chiudere gli occhi alla luce della luna. Ma quello che mi bruciava soprattutto era che tutta la situazione mi si fosse rivoltata in mano come una serpe: il pauroso adesso ero io e non quel signore; ero io che sarei stato accusato anche dell'omicidio di Vaccarino e non i veri assassini. Della mia lettera che era successo? Nulla o quasi nulla, avevo visto quel signore giungere in macchina mentre imbucavo la lettera. Ma tanto era bastato per capovolgere la situazione.

Finalmente, non potendone piщ, saltai giщ dal letto, presi in spalla la bicicletta che a notte ritiravo sempre nella camera, scavalcai il davanzale e raggiunsi la strada. Qui inforcai la bicicletta e mi diressi verso Villa Sorriso. Ormai volevo riavere la lettera, a tutti i costi; anche se avessi dovuto gettarmi ai piedi di quel signore e implorare il suo perdono a mani giunte. Ma non ci fu bisogno di tanto. Come mi affacciai dalla cima del muro di cinta, vidi la mia lettera in terra, sotto il muro, fuori del viale d'ingresso. C'era la buca ma non c'era ancora la cassetta della posta; e quel signore, entrando con la macchina, non aveva visto la lettera perchй nascosta da un cespuglio di mortella. Scavalcai facilmente il muro, presi la lettera e, pieno di gioia, pedalando piano questa volta, me ne tornai a casa.

Il giorno dopo, incontrai Santina sullo spiazzo e lei mi domandт se avessi impostato la lettera. Le risposi: "No, non l'ho impostata nй l'imposterт."

"Come, andava cosм bene", esclamт lei delusa. E io: "Non ti avevo detto che si и coraggiosi finchй si и incoscienti? Ora sai che mi и successo? Da incosciente sono diventato cosciente."

"Hai avuto paura, insomma" disse lei con disprezzo. "Giа, ma lo vedi che avevo ragione io: il coraggio и incoscienza."

"E adesso?"

"Adesso non se ne parla piщ finchй non mi sono rifatto una nuova incoscienza." Ma lei, delusa perchй aveva contato sulle centomila lire, se ne andт dicendo che ero un vigliacco e non mi facessi piщ vedere. E da allora, quando mi incontra, mi domanda; canzonatoria: "Beh, l'hai ritrovata l'incoscienza?"

 

IL PROVINO

 

Serafino ed io siamo amici sebbene il lavoro ci abbia portato lontani l'uno dall'altro: lui и autista di un industriale e io operatore e fotografo. Anche nel fisico siamo diversi: lui и un biondo ricciuto, con un viso rosa, da bambino, e gli occhi a fior di pelle, di un celeste sfacciato; io bruno, con un viso serio, da uomo, gli occhi infossati e scuri. Ma la vera differenza sta nel carattere: Serafino и un bugiardo e io invece le bugie non le so dire. Basta, una di queste domeniche Serafino mi fece sapere che aveva bisogno di me: dal tono indovinai qualche pasticcio, Serafino ne combina spesso per la sua mania di spararle grosse. Andai all'appuntamento, in un caffи di piazza Colonna; e di lм a poco, eccolo arrivare con la prima bugia: la macchina fuori serie, di gran lusso, del padrone che sapevo assente da Roma. Mi fece di lontano un gesto di saluto, un po' vanitoso, proprio come se la macchina fosse stata sua e poi andт a parcheggiare. Lo guardai mentre vi veniva incontro: era vestito da paino, con i pantaloni di velluto giallo, a coste, stretti e corti, la giubba con lo spacco sul didietro, un fazzoletto colorato intorno al collo. Mi venne un senso di antipatia, non so perchй, e, come lui sedette, osservai un po' acido: "Sembri proprio un signore."

Lui rispose con enfasi: "Oggi sono un signore;" e io lм per lм non capii. Insistetti: "E la macchina? Hai vinto al totocalcio?"

"И la macchina nuova del principale", rispose lui con indifferenza. Stette un momento soprappensiero, e poi soggiunse: "Senti, Mario, tra poco verranno due signorine... come vedi ho pensato anche a te... una per uno... sono ragazze di buona famiglia, figlie di un ingegnere delle ferrovie... tu sei un produttore cinematografico... siamo intesi... non mi tradire."

"E tu chi sei?"

"Te l'ho giа detto: un signore."

Non dissi nulla e mi levai in piedi, "Che fai... te ne vai?" disse lui allarmato.

"Sм, me ne vado", risposi, "lo sai che le bugie non mi piacciono... arrivederci e divertiti."

"Ma aspetta... tu mi rovini."

"Sta' tranquillo, non ti rovino."

"Aspetta, quelle ragazze vogliono conoscerti."

"Io, no, invece."

Insomma, disputammo un pezzo, io in piedi e lui seduto. Finalmente, siccome sono un buon amico, accettai di rimanere. Perт, lo avvertii: "Non ti garantisco di sostenere la tua bugia fino alla fine." Ma giа lui non mi dava piщ retta. Tutto contento, disse: "Eccole."

Dapprima non vidi che i capelli. Avevano tutte e due, in capo, come due palloni fatti di capelli crespi, gonfi, folti. Poi, a malapena, sotto queste due masse enormi, intravidi le facce, sottili e magre, simili a due uccellini che spuntino dal nido. Di persona, erano ambedue snelle e ondeggianti, tutte fianco e petto, con certe vitine di vespa da farle passare dentro un portatovagliolo. Pensai che fossero gemelle perchй erano vestite nello stesso modo: gonnella scozzese, maglietta nera e scarpette e borsetta rosse. Serafino, tutto cerimonioso, si alzт e fece le presentazioni: "Il mio amico Mario, produttore, la signorina, Iris, la signorina Mimosa."

Le guardai meglio, adesso che erano sedute. Dalla premura che le dimostrava, capii che Serafino si era riserbato Iris, lasciandomi Mimosa. Non erano gemelle: Mimosa, che mostrava piщ di trent'anni, aveva il viso piщ affamato, il naso piщ lungo, la bocca piщ grande e il mento piщ pronunziato di Iris, e, insomma, era quasi brutta. Iris, invece, poteva avere vent'anni ed era carina. Notai pure che avevano tutte e due le mani rosse e screpolate, piuttosto da operaie che da signorine. Intanto Serafino, che col loro arrivo sembrava diventato scemo, faceva la conversazione: che piacere vederle, com'erano brune, dove erano state quest'estate...


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