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Il pendolo di Foucault 35 страница

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"Ma tutto questo avviene agli inizi dell'Ottocento," diceva Diotallevi. "Invece la grande offensiva antisemita inizia a fine secolo, con la pubblicazione dei Protocolli dei Savi di Sion. E i Protocolli appaiono nell'area russa. Dunque sono una iniziativa pauliciana."

"Naturale," disse Belbo. "è chiaro che a questo punto il gruppo gerosolimitano si è diviso in tre tronconi. Il primo, attraverso i cabalisti spagnoli e provenzali, è andato a ispirare l'ala neotemplare, il secondo è stato assorbito dall'ala baconiana, e sono diventati scienziati e banchieri. E contro costoro che si scagliano i gesuiti. Ma c'è ancora un terzo troncone, e questo si è stabilito in Russia. Gli ebrei russi sono in buona parte piccoli commercianti e prestatori di denaro, e quindi sono malvisti dai contadini poveri; e in buona parte, siccome la cultura ebraica è una cultura del Libro e tutti gli ebrei sanno leggere e scrivere, vanno a ingrossare le fila dell'intellighenzia liberale e rivoluzionaria. I pauliciani sono mistici, reazionari, legati a filo doppio coi feudatari, e si sono infiltrati a corte. Ovvio che tra loro e i gerosolimitani non possano esservi fusioni. Quindi sono interessati a screditare gli ebrei e, attraverso gli ebrei – lo hanno imparato dai gesuiti – mettono in difficoltà i loro avversari all'esterno, sia i neotemplaristi che i baconiani."

 


Non vi può essere alcun dubbio. Con tutta la potenza ed il terrore di Satana, il regno del Re trionfatore di Israele si avvicina al nostro mondo non rigenerato; il Re nato dal sangue di Sionne, l'Anti-Cristo, si avvicina al trono della potenza universale.

 

(Sergiej Nilus, Epilogo ai Protocolli)

 

L'idea era accettabile. Bastava considerare chi aveva introdotto i Protocolli in Russia.

Uno dei più influenti martinisti di fine secolo, Papus, aveva sedotto Nicola II durante una sua visita a Parigi, poi era andato a Mosca e aveva condotto con sé un tale Philippe, ovvero Phílippe Nizier Anselme Vachod. Posseduto dal diavolo a sei anni, guaritore a tredici, magnetizzatore a Lione, aveva affascinato sia Nicola II che quell'isterica di sua moglie. Philippe era stato invitato a corte, nominato medico dell'accademia militare di Pietroburgo, generale e consigliere di stato.

I suoi avversari decidono allora di contrapporgli una figura altrettanto carismatica che ne minasse il prestigio. E si trova Nilus.

Nilus era un monaco peregrinante, che in abiti talari peregrinava (e che altro?) per i boschi ostentando una gran barba da profeta, due mogli, una figlioletta e un'assistente o amante che fosse, tutte che pendevano dalle sue labbra. Metà guru, di quelli che poi scappano con la cassa, e metà eremita, di quelli che gridano che la fine è vicina. E infatti la sua idea fissa erano le trame dell'Anticristo.

Il piano dei sostenitori di Nilus era di farlo ordinare pope in modo che poi sposando (moglie più moglie meno) Elena Alexandrovna Ozerova, damigella d'onore della zarina, diventasse il confessore dei sovrani.

"Io sono un uomo mite," diceva Belbo, "ma incomincio a sospettare che la strage di Tsarkoie Tselo forse è stata un'operazione di derattizzazione."

Insomma, a un certo punto i partigiani di Philippe avevano accusato Nilus di vita lasciva, e Dio sa se non avessero ragione anche loro. Nilus aveva dovuto lasciare la corte, ma a questo punto qualcuno gli era venuto in aiuto passandogli il testo dei Protocolli. Siccome tutti facevano una gran confusione tra martinisti (che si ispiravano a Saint Martin) e martinesisti (seguaci di quel Martínes de Pasqually che piaceva così poco ad Agliè), e siccome Pasqually secondo una voce corrente era ebreo, screditando gli ebrei si screditavano i martinisti e screditando i martinisti si liquidava Philippe.

In effetti una prima versione incompleta dei Protocolli era già apparsa nel 1903 sullo Znamia, un giornale di Pietroburgo diretto dall'antisemita militante Kruscevan. Nel 1905, col benestare della censura governativa, questa prima versione, completa, era ripresa anonimamente in un libro,

La fonte dei nostri mali, presumibilmente edito da certo Boutmi, che con Kruscevan aveva partecipato alla fondazione dell'Unione del Popolo Russo, poi nota come Centurie Nere, la quale arruolava criminali comuni per compiere pogrom e attentati di estrema destra. Boutmí avrebbe continuato a pubblicare, questa volta sotto il suo nome, altre edizioni dell'opera, col titolo I nemici della razza umana — Protocolli provenienti dagli archivi segreti della cancelleria centrale di Sion.

Ma si trattava di libretti a buon mercato. La versione estesa dei Protocolli, quella che sarebbe stata tradotta in tutto il mondo, esce nel 1905 nella terza edizione del libro di Nilus Il Grande nel Piccolo: l'Anticristo è una possibilità politica imminente, Tsarkoie Tselo, sotto l'egida di una sezione locale della Croce Rossa. La cornice era quella di più ampia riflessione mistica, e il libro finisce nelle mani dello zar. Il metropolita di Mosca ne prescrive la lettura in tutte le chiese moscovite.

"Ma qual è," avevo chiesto, "la connessione dei Protocolli col nostro Piano? Qui si parla sempre di questi Protocolli, vogliamo leggerli?"

"Nulla di più semplice," ci aveva detto Diotallevi, "c'è sempre un editore che li ripubblica — anzi una volta lo facevano mostrando indignazione, per dovere documentario, poi a poco a poco hanno ricominciato a farlo con soddisfazione."

"Come sono Gentili."

 


L'unica società da noi conosciuta che sarebbe capace di farci concorrenza in queste arti potrebbe essere quella dei gesuiti. Ma siamo riusciti a screditare i gesuiti agli occhi della plebe stupida per la ragione che questa società è un'organizzazione palese, mentre noi ci teniamo dietro le quinte, mantenendo il segreto.

 

(Protocolli, v)

 

I Protocolli sono una serie di ventiquattro dichiarazioni programmatiche attribuite ai Savi di Sion. I propositi di questi Savi ci erano apparsi abbastanza contraddittori, talora vogliono abolire la libertà di stampa, talora incoraggiare il libertinismo. Criticano il liberalismo, ma sembrano enunciare il programma che le sinistre radicali attribuiscono alle multinazionali capitalistiche, compreso l'uso dello sport e dell'educazione visiva per rimbecillire il popolo. Analizzano varie tecniche per impadronirsi del potere mondiale, elogiano la forza dell'oro. Decidono di favorire le rivoluzioni in ogni paese sfruttando il malcontento e confondendo il popolo proclamando idee liberali, però vogliono incoraggiare la disuguaglianza. Calcolano come instaurare ovunque regimi presidenziali controllati da uomini di paglia dei Savi. Decidono di far scoppiare guerre, aumentare la produzione degli armamenti e (lo aveva detto anche Salon) costruire metropolitane (sotterranee!) per aver modo di minare le grandi città.

Dicono che il fine giustifica i mezzi e si propongono di incoraggiare l'antisemitismo sia per controllare gli ebrei poveri che per intenerire il cuore dei gentili di fronte alle loro sventure (costoso, diceva Diotallevi, ma efficace). Affermano con candore "abbiamo un'ambizione senza li-miti, un'ingordigia divoratrice, un desiderio spietato di vendetta e un odio intenso" (esibendo uno squisito masochismo perché riproducono con gusto il cliché dell'ebreo malvagio che già stava circolando nella stampa antisemita e che adornerà le copertine di tutte le edizioni del loro libro), e decidono di abolire lo studio dei classici e della storia antica.

"Insomma," osservava Belbo, "i Savi di Sion erano una manica di coglioni."

"Non scherziamo," diceva Diotallevi. "Questo libro è stato preso molto sul serio. Piuttosto mi colpisce una cosa. Che volendo apparire come un piano ebraico antico di secoli, tutti i suoi riferimenti sono a piccole polemiche francesi fin de siècle. Pare che il cenno all'educazione visiva che serve a rimbecillire le masse alludesse al programma educativo di Léon Bourgeois che fa entrare nove massoni nel suo governo. Un altro brano consiglia di far eleggere persone compromesse con lo scandalo di Panama e tale era Emile Loubet che nel '99 diverrà presidente della re-pubblica. L'accenno al metró è dovuto al fatto che in quel tempo i giornali di destra protestavano perché la Compagnie du Métropolitain aveva troppi azionisti ebrei. Per questo si suppone che il testo sia stato messo insieme in Francia nell'ultimo decennio dell'Ottocento, al tempo dell'affare Dreyfus, per indebolire il fronte liberale."

"Non è questo che m'impressiona," aveva detto Belbo. "È il déjà vu. La sintesi della faccenda è che questi Savi raccontano un piano per la conquista del mondo, e noi questo discorso l'abbiamo già sentito. Provate a togliere alcuni riferimenti a fatti e problemi del secolo scorso, sostituite i sotterranei del metró coi sotterranei di Provins, e tutte le volte che c'è scritto ebrei scrivete Templari e tutte le volte che c'è scritto Savi di Sion scrivete Trentasei Invisibili divisi in sei bande... Amici miei, questa è l'Ordonation di Provins!"

 


Voltaire lui-méme est mort jésuite: en avoit-il le moindre soupgon?

 

(F.N. de Bonneville, Les Jésuites chassés de la Maqonnerie et leur poignard brisé par les Mgons, Orient de Londres, 1788, 2, p. 74)

 

Avevamo tutto sotto gli occhi da tempo, e non ce n'eravamo mai resi conto appieno. Lungo sei secoli sei gruppi si battono per realizzare il Piano di Provins, e ciascun gruppo prende il testo ideale di quel Piano, vi cambia semplicemente il soggetto, e lo attribuisce all'avversario.

Dopo che i Rosa-Croce si fan vivi in Francia, i gesuiti volgono il piano in negativo: screditando i Rosa-Croce, screditano i baconiani e la nascente massoneria inglese.

Quando i gesuiti inventano il neotemplarismo, il marchese de Luchet attribuisce il piano ai neotemplari. I gesuiti, che ormai stanno scaricando anche i neotemplari, attraverso Barruel copiano Luchet, ma attribuiscono il piano a tutti i frammassoni in genere.

Controffensiva baconiana. Andando a spulciare tutti i testi della polemica liberale e laicista avevamo scoperto che da Michelet e Quinet sino a Garibaldi e a Gioberti, si attribuiva l'Ordonation ai gesuiti (e forse l'idea veniva dal templare Pascal e dai suoi amici). Il tema diventava popolare con L'ebreo errante di Eugène Sue e col suo personaggio del malvagio monsieur Rodín, quintessenza del complotto gesuitico nel mondo. Ma cercando in Sue avevamo trovato ben di più: un testo che sembrava ricalcato — ma in anticipo di mezzo secolo — sui Protocolli, parola per parola. Si trattava dell'ultimo capitolo de I misteri del Popolo. Qui il diabolico piano gesuita era spiegato sino all'ultimo delittuoso dettaglio in un documento inviato dal generale della Compagnia, padre Roothaan (personaggio storico) a monsieur Rodin (già personaggio dell'Ebreo errante). R o dolfo di Gerolstein (già eroe dei Misteri di Parigi) ne veniva in possesso e lo rivelava ai democratici: "Vedete caro Lebrenn, come questa trama infernale è ben ordita, quali spaventevoli dolori, quale orrenda dominazione, quale dispotismo terribile riserva all'Europa e al mondo, se per sventura riesce..."

Sembrava la prefazione di Nilus ai Protocolli. E Sue attribuiva ai gesuiti il motto (che ritroveremo poi nei Protocolli, attribuito agli ebrei) "il fine giustifica i mezzi".

 


Non ci si chiederà di moltiplicar le prove per stabilire che questo grado di Rosa-Croce fu abilmente introdotto dai capi della massoneria... L'identità della sua dottrina, del suo odio e delle sue pratiche sacrileghe con quelle della Cabbala, degli Gnostici e dei Manichei, ci indica l'identità degli autori, e cioè gli Ebrei Cabalisti.

 

(Mons. Léon Meurin, S.J., La Franc-Magonnerie, Synagogue de Satan, Paris, Retaux, 1893, p. 182)

 

Quando escono i Misteri del popolo, i gesuiti vedono che 1'Ordonation è attribuita a loro, e si buttano sull'unica tattica offensiva che non era ancora stata sfruttata da nessuno e, recuperando la lettera di Simonini, attribuiscono 1'Ordonation agli ebrei.

Nel 1869 Gougenot de Mousseaux, celebre per due libri sulla magia nel diciannovesimo secolo, pubblica Les Juifs, le judatsme et la judaisation des peuples chrétiens, dove si dice che i giudei usano la Cabbala e sono adoratori di Satana, visto che una filiazione segreta lega direttamente Caino agli gnostici, ai Templari e ai massoni. De Mousseaux riceve una benedizione speciale da Pio IX.

Ma il Piano romanzato da Sue viene riciclato anche da altri, che gesuiti non sono. C'era una bella storia, quasi gialla, accaduta molto tempo dopo. Dopo l'apparizione dei Protocolli, che aveva preso molto sul serio, nel 1921 il Times aveva scoperto che un proprietario terriero russo monarchico rifugiatosi in Turchia aveva comperato da un ex ufficiale della polizia segreta russa rifugiato a Costantinopoli un gruppo di vecchi libri tra cui uno senza copertina, dove sulla costa si leggeva solo "Joli", con una prefazione datata 1864 e che sembrava la fonte letterale dei Proto-colli. Il Times aveva fatto ricerche al British Museum e aveva scoperto il libro originale di Maurice Joly, Dialogue aux en f ers entre Montesquieu et Machiavel, Bruxelles (ma con l'indicazione Genève, 1864). Maurice Joly non aveva nulla a che vedere con Cretineau-Joly, ma l'analogia andava comunque rilevata, qualche cosa doveva pur significare.

Il libro di Joly era un pamphlet liberale contro Napoleone III dove Machiavelli, che rappresentava il cinismo del dittatore, discuteva con Montesquieu. Joly era stato arrestato per questa iniziativa rivoluzionaria, aveva fatto quindici mesi di prigione e nel 1878 si era ucciso. Il programma degli ebrei dei Protocolli era ripreso quasi letteralmente da quello che Joly attribuiva a Machiavelli (il fine giustifica i mezzi), e attraverso Machiavelli a Napoleone. Il Times però non si era accorto (ma noi sì) che Joly aveva copiato a man salva dal documento di Sue, anteriore di almeno sette anni.

Un'autrice antisemita, un'appassionata della teoria del complotto e dei Superiori Sconosciuti, tale Nesta Webster, di fronte a questo fatto che riduceva i Protocolli a una banale scopiazzatura, ci aveva provvisto un'intuizione luminosissima, come solo il vero iniziato, o il cacciatore di iniziati, sa avere. Joly era un iniziato, conosceva il piano dei Superiori Sconosciuti, odiando Napoleone III lo aveva attribuito a lui, ma questo non significava che il piano non esistesse indipendentemente da Napoleone. Siccome íl piano raccontato dai Protocolli si attaglia esattamente a quello che gli ebrei di solito fanno, dunque era il piano degli ebrei. A noi non restava che correggere la signora Webster secondo la stessa logica: siccome il piano si attagliava perfettamente a quello che avrebbero dovuto pensare i Templari, era il piano dei Templari.

 

E poi la nostra era la logica dei fatti. Ci era piaciuta molto la faccenda del cimitero di Praga. Era la storia di un certo Hermann Goedsche, un piccolo funzionario postale prussiano. Costui aveva già pubblicato documenti falsi per screditare il democratico Waldeck, accusandolo di voler assassinare il re di Prussia. Smascherato, era diventato il redattore dell'organo dei grandi proprietari conservatori, Die Preussische Kreuzezeitung. Poi sotto il nome di sir John Retcliffe aveva iniziato a scrivere romanzi a sensazione, tra cui Biarritz, nel 1868. Quivi descriveva una scena occultistica che si svolgeva nel cimitero di Praga, molto simile alla riunione degli Illuminati che Dumas aveva descritto all'inizio del Giuseppe Balsamo, dove Cagliostro, capo dei Superiori Sconosciuti, tra cui Swedenborg, ordisce il complotto della collana della regina. Nel cimitero di Praga si riuniscono i rappresentanti delle dodici tribù di Israele che espongono i loro piani per la conquista del mondo.

Nel 1876 un pamphlet russo riporta la scena di Biarritz, ma come se fosse avvenuta realmente. E così fa nel 1881, in Francia, Le Contemporain. E si dice che la notizia viene da fonte sicura, il diplomatico inglese sir John Readcliff. Nel 1896 tale Bournand pubblica un libro, Les Juifs, nos contemporains, e riporta la scena del cimitero di Praga, e dice che il discorso eversore viene fatto dal gran rabbino John Readclif. Una tradizione posteriore dirà invece che il vero Readclif era stato condotto nel cimitero fatale da Ferdinand Lassalle, genero di Marx.

E questi piani sono più o meno quelli descritti nel 1880, pochi anni prima, dalla Revue des Etudes Juives (antisemita) che aveva pubblicato due lettere attribuite a ebrei del XV secolo. Gli ebrei di Arles chiedono aiuto agli ebrei di Costantinopoli perché sono perseguitati, e costoro rispondono: "Beneamati fratelli in Mosè, se il re di Francia vi obbliga a farvi cristiani, fatelo, perché non potete fare altrimenti, ma conservate la legge di Mosè nei vostri cuori. Se vi spogliano dei vostri beni fate che i vostri figli diventino mercanti, in modo che a poco a poco spoglino i cristiani dei loro. Se si attenta alle vostre vite fate diventare i vostri figli medici e farmacisti, così che essi tolgano ai cristiani le loro vite. Se distruggono le vostre sinagoghe, fate diventare i vostri figli canonici e chierici in modo che distruggano le loro chiese. Se vi fanno altre vessazioni, fate che i vostri figli diventino avvocati e notai e che si mescolino agli affari di tutti gli stati, in modo che mettendo i cristiani sotto il vostro giogo, voi dominiate il mondo e possiate vendicarvi di essi."

Si trattava sempre del piano dei gesuiti e, a monte, della Ordonation templare. Poche variazioni, permutazioni minime: i Protocolli si stavano facendo da soli. Un progetto astratto di complotto migrava da complotto a complotto.

E quando ci eravamo ingegnati di individuare l'anello mancante, che univa tutta questa bella storia a Nilus, avevamo incontrato Rackovskij, il capo della terribile Ochrana, la polizia segreta dello zar.
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Una copertura è sempre necessaria. Nel nascondimento sta gran parte della nostra forza. Perciò dobbiamo sempre nasconderci sotto il nome di un'altra società.

 

(Die neuesten Arbeiten des Spartacus und Philo in detti' Illuminaten-Orden, 1794, p. 143)

 

Proprio in quei giorni leggendo qualche pagina dei nostri diabolici avevamo trovato che il conte di San Germano, tra i suoi vari travestimenti, aveva assunto anche quello di Rackoczi, o almeno così lo aveva identificato l'ambasciatore di Federico II a Dresda. E il landgravio di Hesse, presso cui San Germano, apparentemente, era morto, aveva detto che era di origine transilvana e si chiamava Ragozki. Si aggiungesse che Comenio aveva dedicato la sua Pansofia (opera certamente in odore di rosicrucianesimo) a un landgravio (quanti landgraví in questa nostra storia) che si chiamava Ragovsky. Ultimo tocco al mosaico, frugando in una bancarella in piazza Castello, avevo trovato un'opera tedesca sulla massoneria, anonima, dove una mano ignota aveva aggiunto in antiporta una nota secondo la quale il testo era dovuto a tale Karl Aug. Ragotgky. Considerando che Rakosky si chiamava il misterioso individuo che aveva forse ucciso il colonnello Ardenti, ecco che trovavamo sempre modo di inserire, sulle tracce del Piano, il nostro conte di San Germano.

"Non diamo troppo potere a questo avventuriero?" chiedeva preoccupato Diotallevi.

"No, no," rispondeva Belbo, "ci vuole. Come la salsa di soia nei piatti cinesi. Se non c'è, non è cinese. Guarda Agliè che se ne intende: ha mica preso come modello Cagliostro o Willermoz. San Germano è la quintessenza dell'Homo Hermeticus."

 

Pierre Ivanovitch Rackovskij. Gioviale, insinuante, felino, intelligente e astuto, falsario geniale. Piccolo funzionario, poi in contatto coi gruppi rivoluzionari, nel 1879 viene arrestato dalla polizia segreta e accusato di aver dato asilo ad amici terroristi che avevano attentato al generale Drentel. Passa dalla parte della polizia e si iscrive (guarda guarda) alle Centurie Nere. Nel 1890 scopre a Parigi un'organizzazione che fabbricava bombe per attentati in Russia, e riesce a far arrestare in patria sessantatré terroristi. Dieci anni dopo si scoprirà che le bombe erano state fatte dai suoi uomini.

Nel 1887 diffonde la lettera di un certo Ivanov, rivoluzionario pentito, che assicura che la maggioranza dei terroristi sono ebrei; nel '90 una "confession par un víeillard ancien révolutionnaire" dove i rivoluzionari esiliati a Londra sono accusati di essere agenti britannici. Nel '92 un falso testo di Plechanov in cui si accusa la direzione del partito Narodnaia Vota di aver fatto pubblicare quella confessione.

Nel 1902 cerca di costituire una lega franco-russa antisemita. Per riuscirvi usa una tecnica affine a quella dei Rosa-Croce. Afferma che la lega esiste, in modo che qualcuno poi la crei. Ma usa anche un'altra tecnica: mescola accortamente il vero con il falso, e il vero apparentemente lo danneggia, così nessuno dubita del falso. Fa circolare a Parigi un misterioso appello ai francesi per sostenere una Lega Patriottica Russa con sede a Karkov. Nell'appello attacca se stesso come colui che vuole far fallire la lega e auspica che lui, Rackovskij, cambi idea. Si autoaccusa di servirsi di personaggi screditati come Nilus, il che è esatto.

Perché si possono attribuire a Rackovskij i Protocolli?

Il protettore di Rackovskij era il ministro Sergeij Witte, un progressista che voleva trasformare la Russia in un paese moderno. Perché il progressista Witte si servisse del reazionario Rackovskij, lo sapeva solo Iddio, ma noi eravamo ormai preparati a tutto. Witte aveva un avversario politico, tale Elle de Cyon, che già lo aveva attaccato pubblicamente con spunti polemici che ricordano certi brani dei Protocolli. Ma negli scritti di Cyon non vi erano accenni agli ebrei, perché lui stesso era di origine ebraica. Nel 1897, per ordine di Witte, Rackovskij fa perquisire la villa di Cyon a Territat, e trova un pamphlet di Cyon derivato dal libro di Joly (o da quello di Sue), dove si attribuivano a Witte le idee di Machiavelli-Napoleone III. Rackovskij, col suo genio per la falsificazione, sostituisce gli ebrei a Witte e fa circolare il testo. Il nome Cyon pare fatto apposta per ricordare Sion, e si può dimostrare che un autorevole esponente ebraico denuncia un complotto ebraico. Ecco che sono nati i Protocolli. A questo punto il testo cade anche nelle mani di Iuliana o Justine Glinka, che frequenta a Parigi l'ambiente di Madame Blawatsky, e nei ritagli di tempo spia e denuncia i rivoluzionari russi in esilio. La Glinka è certamente un agente dei pauliciani, i quali sono legati agli agrari e quindi vogliono convincere lo zar che i programmi di Witte sono gli stessi del complotto internazionale ebraico. La Glinka invia íl documento al generale Orgeievskij, e questo attraverso il comandante della guardia imperiale lo fa pervenire allo zar. Witte si trova nei guai.

Così Rackovskij, trascinato dal suo livore antisemita, contribuisce alla disgrazia del suo protettore. E probabilmente anche alla propria. Infatti da quel momento perdevamo le sue tracce. San Germano forse si era mosso verso nuovi travestimenti e nuove reincarnazioni. Ma la nostra storia aveva assunto un profilo plausibile, razionale, limpido, perché era suffragata da una serie di fatti, veri – diceva Belbo – come è vero Dio.

 

Tutto questo mi faceva tornare alla mente le storie di De Angelis sulla sinarchia. Il bello di tutta la storia – certo della nostra storia, ma forse della Storia, come insinuava Belbo, con sguardo febbricitante, mentre mi porgeva le sue schede – era che gruppi in lotta mortale si stavano sterminando a vicenda usando ciascuno le stesse armi dell'altro. "Il primo dovere di un bravo infiltrato," commentavo, "è denunciare come infiltrati coloro presso cui si è infiltrato."

Belbo aveva detto: "Ricordo una storia a ***. Incontravo sempre al tramonto, nel viale, su una Balilla nera, un certo Remo, o un nome del genere. Baffi neri, capelli ricci neri, camicia nera, e denti neri, orribilmente cariati. E baciava una ragazza. E io avevo schifo di quei denti neri che badavano quella cosa bella e bionda, non ricordo neppure che viso avesse, ma per me era vergine e prostituta, era l'eterno femminino. E molto ne fremevo." Aveva adottato d'istinto un tono aulico per dichiarare il suo intento ironico, conscio di essersi lasciato trasportare dai languori innocenti della memoria. "Mi chiedevo e avevo chiesto perché questo Remo, che apparteneva alle Brigate Nere, poteva farsi vedere in giro così, anche nei periodi in cui *** non era occupata dai fascisti. E mi avevano detto che si sussurrava che fosse un infiltrato dei partigiani. Come è come non è, una sera me lo vedo sulla stessa Balilla nera, con gli stessi denti neri, a baciare la stessa ragazza bionda, ma con un fazzoletto rosso al collo e una camicia cachi. Era passato alle Brigate Garibaldine. Tutti lo festeggiavano, e — aveva assunto un nome di battaglia, X9, come il personaggio di Alex Raymond, di cui aveva letto sull'Avventuroso. Bravo X9, gli dicevano... E io lo odiavo ancora di più, perché possedeva la ragazza col consenso del popolo. Ma alcuni dicevano che era un infiltrato fascista tra i partigiani, e credo fossero coloro che desideravano la ragazza, ma così era, X9 era sospetto..."

"E poi?"

"Scusi Casaubon, perché le interessano tanto i fatti miei?"

"Perché lei racconta, e i racconti sono fatti dell'immaginario collettivo."

"Good point. Allora una mattina X9 stava transitando fuori zona, forse aveva dato appuntamento alla ragazza nei campi, per andare al di là di quel petting miserabile e mostrare che la sua verga era meno cariata dei suoi denti — scusatemi, ma non riesco ancora ad amarlo — insomma, ecco che i fascisti gli tendono un agguato, lo portano in città e alle cinque di mattina, il giorno dopo, lo fucilano."

Pausa. Belbo si era guardato le mani, che stava tenendo giunte, come fosse in preghiera. Poi le aveva allargate e aveva detto: "Era la prova che non era un infiltrato."

"Significato della parabola?"

"Chi le ha detto che le parabole debbono avere un significato? Ma ripensandoci bene, forse vuoi dire che spesso per provare qualcosa bisogna morire."

 


Ego sum qui sum.

 

(Esodo 3,14)

 

 

Ego sum qui sum. An axiom of hermetic philosophy. (Mme Blawatsky, Isis Unveiled, p. 1)

- Chi sei tu? chiesero a un tempo trecento voci mentre venti spade sfavillavano tra le mani dei fantasmi più vicini...

- Ego sum qui sum, disse.

 

(Alexandre Dumas, Giuseppe Balsamo, II)

 

Avevo rivisto Belbo il mattino dopo. "Ieri abbiamo scritto una bella pagina di feuilleton," gli avevo detto. "Ma forse, se vogliamo fare un Piano attendibile, dovremmo rimanere più aderenti alla realtà."

"Quale realtà?" mi aveva chiesto. "Forse è solo il feuilleton che ci dà la vera misura della realtà. Ci hanno ingannato."

"Chi?"

"Ci hanno fatto credere che da una parte c'è la grande arte, quella che rappresenta personaggi tipici in circostanze tipiche, e dall'altra il romanzo d'appendice, che racconta di personaggi atipici in circostanze atipiche. Pensavo che un vero dandy non avrebbe mai fatto all'amore con Scarlett O'Hara e neppure con Costanza Bonacieux, o con la Perla di Labuan. Io col feuilleton giocavo, per passeggiare un poco fuori della vita. Mi rassicurava, perché proponeva l'irraggiungibile. Invece no."

"No?"

"No. Aveva ragione Proust: la vita è rappresentata meglio dalla cattiva musica che non da una Missa Solemnis. L'arte ci prende in giro e ci rassicura, ci fa vedere il mondo come gli artisti vorrebbero che fosse. Il feuilleton finge di scherzare, ma poi il mondo ce lo fa vedere così com'è, o almeno così come sarà. Le donne sono più simili a Milady che a Lucia Mondella, Fu Manchu è più vero di Nathan il Saggio, e la Storia è più simile a quella raccontata da Sue che a quella progettata da Hegel. Shakespeare, Melville, Balzac e Dostoevskij hanno fatto del feuilleton. Quello che è successo davvero è quello che avevano raccontato in anticipo i romanzi d'appendice."


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 32 | Нарушение авторских прав



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