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Il pendolo di Foucault 34 страница

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Ne tacevo a Lia, per non indisporla, ma stavo persino trascurando Giulio. Mi svegliavo di notte, e mi accorgevo che Renato Cartesio faceva R.C., e che con troppa energia aveva cercato e poi negato di aver trovato i Rosa-Croce. Perché tanta ossessione del Metodo? Il metodo serviva per cercare la soluzione del mistero che stava affascinando ormai tutti gli iniziati d'Europa... E chi aveva celebrato la magia del gotico? René de Chateaubriand. E chi aveva scritto, ai tempi di Bacone, Steps to the Tempie? Richard Crashaw. E allora Ranieri de' Calzabigi, René Char, Raymond Chandler? E Rick di Casablanca?

 


Questa scienza, che non si è perduta, almeno per la sua parte materiale, è stata insegnata ai costruttori religiosi dai monaci di Citeaux... Li si conosceva, nel secolo scorso, come Compagnona de la Tour de France. E ad essi che Eiffel si rivolse per costruire la sua torre.

(R. Charpentier, Les mystères de la cathédrale de Chartres, Paris, Laffont, 1966, pp. 55-56)

 

È una curiosa coincidenza che l'edizione in-folio del 1623, che va sotto il nome di Shakespeare, contenga esattamente trentasei opere.

(W.F.C. Wigston, Francis Bacon versus Phantom Captain Shakespeare: The Rosicrucian Mask, London, Kegan Paul, 1891, p. 353)

 

Ora avevamo l'intera modernità percorsa da talpe laboriose che traforavano il sottosuolo spiando il pianeta dal di sotto. Ma ci doveva essere qualche cosa d'altro, un'altra impresa che i baconiani avevano iniziato, i cui risultati, le cui tappe erano sotto gli occhi di tutti, e nessuno se ne era reso conto... Perché perforando il suolo si saggiavano le falde profonde, ma i celti ed i Templari non si erano limitati a perforare pozzi, avevano piantato i loro spinotti dritti verso il cielo, per comunicare da megalite a megalite, e cogliere gli influssi delle stelle...

L'idea si presentò a Belbo in una notte d'insonnia. Si era affacciato alla finestra e aveva visto lontano, sopra i tetti di Milano, le luci della torre metallica della RAI, la grande antenna cittadina. Una moderata e prudente torre di Babele. E a quel punto aveva capito.

"La Tour Eiffel," ci aveva detto il mattino dopo. "Come non averci ancora pensato? Il megalite di metallo, il menhir degli ultimi celti, la guglia cava più alta di tutte le guglie gotiche. Ma perché Parigi avrebbe avuto bisogno di questo monumento inutile? E la sonda celeste, l'antenna che raccoglie informazioni da tutti gli spinotti ermetici infissi sulla crosta del globo, dalle statue dell'Isola di Pasqua, dal Machu Picchu, dalla Libertà di Staten Island, voluta dall'iniziato Lafayette, dall'obelisco di Luxor, dalla torre più alta di Tomar, dal Colosso di Rodi che continua a trasmettere dal profondo del porto dove non lo trova più nessuno, dai templi della giungla brahmanica, dalle torrette della Grande Muraglia, dalla cima di Ayers Rock, dalle guglie di Strasburgo su cui si deliziava l'iniziato Goethe, dai volti di Mount Rushmore, quante cose aveva capito l'iniziato Hitchkock, dall'antenna dell'Empire State, dite voi a che impero alludesse questa creazione di iniziati americani se non all'impero di Rodolfo di Praga! La Tour capta informazioni dal sottosuolo e le confronta con quelle che le provengono dal cielo. E chi ci dà la prima terrificante immagine cinematografica della Tour? René Clair in Paris qui dort. René Clair, R.C."

Andava riletta l'intera storia della scienza: la stessa gara spaziale diventava comprensibile, con quei satelliti folli che altro non fanno che fotografare la crosta del globo per individuarvi tensioni invisibili, flussi sottomarini, correnti d'aria calda. E per parlarsi tra loro parlare alla Tour, parlare a Stonehenge....

Quando ci scambiavamo le risultanze del nostro fantasticare ci sembrava, e giustamente, di procedere per associazioni indebite, cortocircuiti straordinari, a cui ci saremmo vergognati di prestar fede – se ce lo avessero imputato. E che ci confortava l'intesa – ormai tacita, come impone l'etichetta dell'ironia – che stavamo parodiando la logica degli altri. Ma nelle lunghe pause in cui ciascuno accumulava prove per le riunioni collettive, e con la tranquilla coscienza di accumulare pezzi per una parodia di mosaico, il nostro cervello si abituava a collegare, collegare, collegare ogni cosa a qualsiasi altra cosa, e per farlo automaticamente doveva assumere delle abitudini. Credo non ci sia più differenza, a un certo punto, tra abituarsi a fingere di credere e abituarsi a credere.

è la storia delle spie: si infiltrano nei servizi segreti dell'avversario, si abituano a pensare come lui, se sopravvivono è perché ci riescono, ovvio che dopo un poco passino dall'altra parte, che è diventata la loro. O come quelli che vivono soli con un cane, gli parlano tutto il giorno, all'inizio si sforzano di comprendere la sua logica, poi pretendono che lui comprenda la loro, prima lo scoprono timido, poi geloso, poi permaloso, infine passano il tempo a fargli dispetti e scenate di gelosia, quando sono sicuri che lui sia diventato come loro, loro son diventati come lui, e quando sono fieri di averlo umanizzato, di fatto si sono rincagnati.

Forse perché ero in contatto quotidiano con Lia, e col bambino, io ero, dei tre, quello meno affetto dal gioco. Avevo la persuasione di condurlo, mi sentivo come suonassi ancora l'agogò durante il rito: stai dalla parte di chi produce e non di chi patisce le emozioni. Di Diotallevi non sapevo allora, ora so, Diotallevi stava abituando il suo corpo a pensare in diabolico. Quanto a Belbo si stava immedesimando anche a livello di coscienza. Io mi abituavo, Diotallevi si corrompeva, Belbo si convertiva. Ma tutti stavamo lentamente smarrendo quel lume intellettuale che ci fa sempre distinguere il simile dall'identico, la metafora dalle cose, quella qualità misteriosa e folgorante e bellissima per cui siamo sempre in grado di dire che un tale si è imbestialito ma non pensiamo affatto che gli siano cresciuti peli e zanne, e invece il malato pensa "imbestialito" e subito vede colui che abbaia o grufola o striscia o vola.

Di Diotallevi avremmo potuto accorgerci, se non fossimo stati così eccitati. Direi che tutto era cominciato alla fine dell'estate. Era riapparso più magro, ma non era la snellezza nervosa di chi avesse passato alcune settimane a marciare in montagna. La sua delicata carnagione di albino rivelava ora sfumature giallastre. Se lo notammo, pensammo che avesse passato le vacanze chino sui suoi rotoli rabbinici. Ma in verità pensavamo ad altro.

Infatti, nei giorni che seguirono fummo in grado di sistemare a poco a poco anche le ali estranee al filone baconiano.

Per esempio, la massonologia corrente vede gli Illuminati di Baviera, che perseguivano la distruzione delle nazioni e la destabilizzazione dello stato, non solo come gli ispiratori dell'anarchismo di Bakunin ma anche dello stesso marxismo. Puerile. Gli Illuminati erano provocatori che i baconiani avevano infiltrato fra i teutonici, ma a ben altro pensavano Marx ed Engels quando iniziavano il Manifesto del '48 con la frase eloquente "uno spettro si aggira per l'Europa". Perché mai quella metafora così gotica? Il Manifesto comunista allude sarcasticamente alla fantomatica caccia al Piano che agita la storia del continente da alcuni secoli. E propone un'alternativa sia ai baconiani che ai neotemplari. Marx era un ebreo, forse inizialmente era il portavoce dei rabbini di Gerona, o di Safed, e cercava di inserire nella ricerca l'intero popolo di Dio. Poi l'iniziativa gli prende la mano, identifica la Shekinah, il popolo in esilio nel Regno con il proletariato, tradisce le aspettative dei suoi ispiratori, rovescia le linee di tendenza del messianismo giudaico. Templari di tutto il mondo, unitevi. La mappa agli operai. Splendido! Quale migliore giustificazione storica per il comunismo?

"Sì," diceva Belbo, "ma anche i baconiani hanno i loro incidenti di percorso, non credete? Alcuni dei loro partono per la tangente con un sogno scientista e finiscono in un vicolo cieco. Dico, alla fine della dinastia, gli Einstein, i Fermi, che cercando il segreto nel cuore del microcosmo fanno l'invenzione sbagliata. Invece dell'energia tellurica, pulita, naturale, sapienziale, scoprono l'energia atomica, tecnologica, sporca, inquinata...."

"Spazio-tempo, l'errore dell'Occidente," diceva Diotalleví.

"è la perdita del Centro. Il vaccino e la penicillina come caricatura dell'Elisir di lunga vita," interloquivo.

"Come l'altro Templare, Freud," diceva Belbo, "che invece di scavare nei labirinti del sottosuolo fisico scava in quelli del sottosuolo psichico, come se su quello non avessero già detto tutto e meglio gli alchimisti."

"Ma sei tu," insinuava Diotallevi, "che cerchi di pubblicare i libri del dottor Wagner. Per me la psicoanalisi è roba per nevrotici."

"Sì, e il pene è soltanto un simbolo fallico," concludevo io. "Suvvia signori, non andiamo a ruota libera. E non perdiamo tempo. Non sappiamo ancora dove collocare i pauliciani e i gerosolimitani."

 

Ma prima di aver potuto rispondere al nuovo quesito ci eravamo incontrati con un altro gruppo che non faceva parte dei trentasei invisibili, ma si era inserito nel gioco assai presto e ne aveva sconvolto in parte i progetti, agendo come elemento di confusione. I gesuiti.

 


Il Barone von Hund, il Cavalier Ramsay... e molti altri che fondarono i gradi in questi riti, lavorarono sotto le istruzioni del Generale dei Gesuiti... Il Templarismo è Gesuitismo.

 

(Lettera a Mme Blawatsky di Charles Sotheran, 32.. A e P.R. 94.. Memphis, K.R *, K. Kadosch, M.M. 104, Eng. etc., Iniziato della Fratellanza Inglese dei Rosa-Croce e altre società segrete, 11.1.1877; da Isis Unveiled, 1877, p. 390)

 

Li avevamo incontrati troppe volte, sin dal tempo dei primi manifesti Rosa-Croce. Già nel 1620 appare in Germania una Rosa Jesuitica, dove si ricorda che il simbolismo della rosa è cattolico e mariano, prima che rosa-crociano, e si insinua che i due ordini siano solidali, e i Rosa-Croce soltanto una delle riformulazioni della mistica gesuitica a uso delle popolazioni della Germania riformata.

Mi ricordavo le parole di Salon sull'astio con cui padre Kircher aveva messo alla gogna i Rosa-Croce e proprio mentre parlava delle profondità del globo terraqueo.

"Padre Kircher," dicevo, "è un personaggio centrale in questa storia. Perché quest'uomo, che tante volte ha dimostrato di aver senso dell'osservazione e gusto dell'esperimento, ha poi annegato queste poche idee buone in migliaia di pagine che traboccano di ipotesi incredibili? Era in corrispondenza coi migliori scienziati inglesi, e poi ciascuno dei suoi libri riprende i tipici temi rosacrociani, apparentemente per contestarli, di fatto per farli suoi, per offrirne la sua versione controriformistica. Nella prima edizione della Fama, quel signor Haselmayer, condannato alle galere dai gesuiti a causa delle sue idee riformatrici, si affanna a dire che i veri e buoni gesuiti sono loro, i Rosa-Croce. Bene, Kircher scrive i suoi trenta e passa volumi per suggerire che i veri e buoni Rosa-Croce sono loro, i gesuiti. I gesuiti stanno cercando di metter le mani sul Piano. I pendoli se li vuole studiare lui, padre Kircher, e lo fa, anche se a modo suo, inventando un orologio planetario per sapere l'ora esatta in tutte le sedi della Compagnia disperse per il mondo."

"Ma come facevano i gesuiti a sapere che c'era il Piano, quando i Templari si erano fatti ammazzare pur di non confessare?" chiedeva Diotallevi. Non valeva rispondere che i gesuiti ne sanno sempre una più del diavolo. Volevamo una spiegazione più seducente.

 

La scoprimmo ben presto. Guglielmo Postel, di nuovo. Sfogliando la storia dei gesuiti di Cretíneau Joly (e quanto avevamo cachinnato su questo nome infelice) scoprimmo che Postel, preso dai suoi furori mistici, dalla sua sete di rigenerazione spirituale, nel 1544 aveva raggiunto sant'I-guazio di Loyola a Roma. Ignazio lo aveva accolto con entusiasmo, ma Postel non era riuscito a rinunciare alle sue idee fisse, ai suoi cabalismi, al suo ecumenismo, e queste cose ai gesuiti non potevano andare a genio, e men che meno l'idea più fissa di tutte, su cui Postel proprio non transigeva, che il Re del Mondo dovesse essere il re di Francia. Ignazio era santo, ma spagnolo.

Così a un certo punto si era arrivati alla rottura, Postel aveva lasciato i gesuiti — o i gesuiti lo avevano messo alla porta. Ma se Postel era stato gesuita, sia pure per un breve periodo, a sant'Ignazio — a cui aveva giurato obbedienza perinde ac cadaver — doveva pure aver confidato la sua missione. Caro Ignazio, doveva avergli detto, sappi che prendendo me prendi anche il segreto del Piano templare di cui indegnamente sono il rappresentante francese, ed anzi, stiamo tutti aspettando il terzo incontro secolare del 1584, e tanto vale attenderlo ad majorem Dei gloriam.

Dunque i gesuiti, attraverso Postel, e in forza di un suo momento di debolezza, vengono a sapere del segreto dei Templari. Un segreto di tal fatta va sfruttato. Sant'Ignazio passa all'eterna beatitudine, ma i suoi successori vegliano, e continuano a tenere d'occhio Postel. Vogliono sapere chi incontrerà in quel fatidico 1584. Ma ahimè, Postel muore prima, né vale che — come asseriva una delle nostre fonti — un gesuita sconosciuto fosse presente al suo letto di morte. I gesuiti non sanno chi sia il suo successore.

"Scusi Casaubon," aveva detto Belbo, "c'è qualcosa che non mi torna. Se le cose stanno così, i gesuiti non hanno potuto sapere che nel 1584 l'incontro è fallito."

"Però non bisogna dimenticare," aveva osservato Diotallevi, "che, a quanto mi dicono i gentili, questi gesuiti erano uomini di ferro che non si lasciavano mettere nel sacco così facilmente."

"Ah, se è per questo," aveva detto Belbo, "un gesuita si pappa due Templari a colazione e due a cena. Anche loro sono stati disciolti, e più di una volta, e ci si son messi i governi di tutta Europa, eppure sono ancora lì."

Occorreva mettersi nei panni di un gesuita. Che cosa fa un gesuita se Postel gli sfugge di mano? Io un'idea l'avevo avuta subito, ma era così diabolica che neppure i nostri diabolici, pensavo, l'avrebbero digerita: i Rosa-Croce erano un'invenzione dei gesuiti!

"Morto Postel," proponevo, "i gesuiti — astuti come sono — hanno previsto matematicamente la confusione dei calendari e hanno deciso di prendere l'iniziativa. Mettono in piedi la mistificazione rosacrociana, calcolando esattamente quello che sarebbe avvenuto. Fra tanti esaltati che abboccano, qualcuno dei nuclei autentici, preso di sorpresa, si fa avanti. In tal caso, immaginarsi l'ira di Bacone: Fludd, imbecille, non potevi stare zitto? Ma visconte, My Lord, quelli sembravano dei nostri... Cretino, non ti avevano insegnato a diffidare dei papisti? Te dovevano bruciare, non quel disgraziato di Noia!"

"Ma allora," diceva Belbo, "perché quando i Rosa-Croce si trasferiscono in Francia i gesuiti, o quei polemisti cattolici che lavorano per loro, li attaccano come eretici e indemoniati?"

"Ma non vorrà pretendere che i gesuiti lavorino linearmente, che gesuiti sarebbero?"

Avevamo litigato a lungo sulla mia proposta, e finalmente avevamo deciso, di comune accordo, che era meglio l'ipotesi originale: i Rosa-Croce erano l'esca lanciata ai francesi dai baconiani e dai tedeschi. Ma i gesuiti, non appena erano apparsi i manifesti, avevano mangiato la foglia. E si erano immediatamente buttati nel gioco, per confondere le carte. Lo scopo dei gesuiti era stato evidentemente quello di impedire la riunione dei gruppi inglese e tedesco con quello francese, e ogni colpo, per basso che fosse, era buono.

E intanto registravano notizie, accumulavano informazioni e le mettevano... dove? Su Abulafia, aveva scherzato Belbo. Ma Diotallevi, che nel frattempo si era documentato per conto proprio, aveva detto che non si trattava di uno scherzo. Certamente, i gesuiti stavano costruendo l'immenso, potentissimo calcolatore elettronico che avrebbe dovuto trarre una conclusione dal rimescolio paziente e centenario di tutti i brandelli di verità e di menzogna che essi stavano raccogliendo.

"I gesuiti," diceva Díotallevi, "avevano capito quello che né i poveri vecchi Templari di Provins né l'ala baconiana avevano ancora intuito, e cioè che la ricostruzione della mappa poteva essere raggiunta per via combinatoria e cioè con procedimenti che anticipano quelli dei moderni cervelli elettronici! I gesuiti sono i primi a inventare Abulafia! Padre Kircher rilegge tutti i trattati sull'arte combinatoria, da Lullo in avanti. E vedete cosa pubblica nella sua Ars Magna Sciendi..."

"Mi pare un modello per l'uncinetto," diceva Belbo.

"Nossignore, sono tutte le combinazioni possibili tra n elementi. Il calcolo fattoriale, quello del Sefer Jesirah. Il calcolo delle combinazioni e delle permutazioni, l'essenza stessa della Temurah!"

Era certamente così. Un conto era concepire il vago progetto di Fludd, per individuare la mappa partendo da una proiezione polare, un conto sapere quante prove ci volevano, e saperle tentare tutte, per arrivare alla soluzione ottimale. E soprattutto un conto era creare il modello astratto delle combinazioni possibili e un conto pensare a una macchina in grado di metterle in atto. Ed ecco che sia Kircher che il suo discepolo Schott progettano organetti meccanici, meccanismi a schede perforate, computer ante litteram. Fondati sul calcolo binario. Cabbala applicata alla meccanica moderna.

IBM: Iesus Babbage Mundi, Iesum Binarium Magnificamur. AMDG: Ad Maiorem Dei Gloriam? Macché: Ars Magna, Digitale Gaudium! IHS: Iesus Hardware & Software!

 


Si è formata in seno alle tenebre più dense una società di nuovi esseri che si conoscono senza essersi mai visti, s'intendono senza essersi spiegati, si servono senza amicizia... Questa società adotta del regime gesuitico l'obbedienza cieca, della massoneria le prove e le cerimonie esteriori, dei Templari le evocazioni sotterranee e l'incredibile audacia... Forse che il conte di San Germano ha fatto altro che imitare Guillaume Postel, che aveva la mania di farsi credere più vecchio di quanto non fosse?

 

(Marquis de Luchet, Essai sur la secte des illuminés, Paris, 1789, v e XII)

 

I gesuiti avevano capito che, se si vuole destabilizzare l'avversario, la tecnica migliore è creare delle sette segrete, attendere che gli entusiasti pericolosi vi si precipitino, e poi arrestarli tutti. Ovvero, se temi un complotto, organizzalo, così tutti quelli che potrebbero aderirvi cadono sotto il tuo controllo.

Ricordavo una riserva che Agliè aveva espresso su Ramsay, il primo a porre una diretta connessione tra massoneria e Templari, insinuando che avesse dei legami con ambienti cattolici. In effetti già Voltaire aveva denunciato Ramsay come uomo dei gesuiti. Di fronte alla nascita della massoneria inglese, i gesuiti rispondono dalla Francia con il neotemplarismo scozzese.

In tal modo si capiva perché, in risposta a questa trama, nel 1789 un certo marchese de Luchet avesse scritto, anonimo, un celebre Essai sur la secte des illuminés, dove se la prendeva con gli illuminati di tutte le razze, di Baviera o d'altro che fossero, anarchici mangiapreti o mistici neotemplari, e metteva nel mazzo (incredibile come tutti i pezzi del nostro mosaico stessero andando a posto, a poco a poco e mirabilmente!) persino i pauliciani, per non dire di Postel e di San Germano. E il suo lamento era che queste forme di misticismo templare avessero tolto attendibilità alla massoneria, la quale per contro era proprio una società di brave e oneste persone.

I baconiani avevano inventato la massoneria come il Rick's Bar di Casablanca, il neotemplarismo gesuita vanificava la loro invenzione, e Luchet era inviato come killer per far fuori tutti i gruppi che baconiani non erano.

A questo punto però dovevamo tener conto di un altro fatto, di cui il povero Agliè non riusciva a capacitarsi. Perché de Maistre, che era uomo dei gesuiti, e ben sette anni prima che si facesse vivo il marchese de Luchet, era andato a Wilhelmsbad a seminar zizzania fra i neotemplari?

"Il neotemplarismo andava bene nella prima metà del Settecento," diceva Belbo, "e andava malissimo a fine secolo, prima perché se ne erano impadroniti i rivoluzionari, per i quali tra Dea Ragione e Ente Supremo tutto faceva brodo pur di tagliar la testa al re, vedi Cagliostro, e poi perché in Germania vi avevano messo lo zampino i principi tedeschi, massime Federico di Prussia, i cui fini non coincidevano certo con quelli dei gesuiti. Quando il neotemplarismo mistico, chiunque lo abbia inventato, produce il Flauto Magico, è naturale che gli uomini di Loyola decidano di sbarazzarsene. E come in finanza, tu comperi una società, la rivendi, la liquidi, la metti in fallimento, ne rivaluti il capitale, dipende dal piano generale, non ti preoccupi certo dove finirà il portinaio. O come una macchina usata: quando non funziona più la mandi dallo sfasciacarrozze."

 


Non si troverà nel vero codice massonico altro Dio che quello di Mani. E quello del massone cabalista, degli antichi Rosa-Croce: è quello del massone martinista... D'altra parte tutte le infamie attribuite ai Templari sono esattamente quelle che si attribuivano ai Manichei.

 

(Abbé Barruel, Mémoires pour servir à l'histoire du jacobinisme, Amburgo, 1798, 2, xui)

 

La strategia dei gesuiti ci fu chiara quando scoprimmo padre Barruel. Costui, tra il '97 e il '98, per reagire alla rivoluzione francese, scrive i suoi Mémoires pour servir à l'histoire du jacobinisme, un vero e proprio romanzo d'appendice che inizia guarda caso coi Templari. Essi, dopo il rogo di Molay, si trasformano in società segreta per distruggere monarchia e papato e per creare una repubblica mondiale. Nel Settecento si impadroniscono della frammassoneria che diventa il loro strumento. Nel 1763 creano un'accademia letteraria composta da Voltaire, Turgot, Condorcet, Diderot e d'Alembert che si riunisce nella casa del barone d'Holbach e, complotta complotta, nel 1776 fan nascere i giacobini. I quali peraltro sono marionette in mano ai veri capi, gli Illuminati di Baviera — regicidi per vocazione.

Altro che sfasciacarrozze. Dopo aver spezzato la massoneria in due con l'aiuto di Ramsay, i gesuiti la riunivano di nuovo per batterla frontalmente.

Il libro di Barruel aveva fatto un certo effetto, tanto che dalle Archives Nationales francesi risultavano almeno due rapporti di polizia richiesti da Napoleone sulle sette clandestine. Questi rapporti li stende un certo Charles de Berkheim, il quale – come fanno tutti i servizi segreti, che vanno a prendere le notizie riservate là dove sono già state pubblicate – non trova di meglio che scopiazzare prima il libro del marchese de Luchet, e poi quello di Barruel.

Di fronte a quelle agghiaccianti descrizioni degli Illuminati e a quella lucida denuncia di un direttorio di Superiori Sconosciuti capaci di dominare il mondo, Napoleone non ha esitazioni: decide di diventare dei loro. Fa nominare suo fratello Giuseppe gran maestro del Grande Oriente e lui stesso, a detta di molte fonti, prende contatti con la massoneria, e a detta di altre ne diventa addirittura un altissimo dignitario. Non è chiaro però di quale rito. Forse, per prudenza, di tutti.

Che cosa Napoleone sapesse non sapevamo, ma non dimenticavamo che aveva trascorso alquanto tempo in Egitto e chissà con quali saggi aveva parlato all'ombra delle piramidi (a questo punto anche un bambino capiva che i famosi quaranta secoli che lo guardavano erano una chiara allusione alla Tradizione Ermetica).

Ma di cose doveva saperne molte, perché nel 1806 aveva convocato un'assemblea di ebrei francesi. Le ragioni ufficiali erano banali, tentativo di ridurre l'usura, di assicurarsi la fedeltà della minoranza israelita, di trovare nuovi finanziatori... Ma questo non spiega perché avesse deciso di chiamare quell'assemblea Gran Sinedrio, evocando l'idea di un direttorio di Superiori, più o meno Sconosciuti. In verità l'astuto corso aveva individuato i rappresentanti dell'ala gerosolimitana, e cercava di ricongiungere i vari gruppi dispersi.

"Non a caso nel 1808 le truppe del maresciallo Ney sono a Tornar. Cogliete il nesso?"

"Siamo qui solo per cogliere nessi."

"Ora Napoleone, in procinto di battere l'Inghilterra, ha in mano quasi tutti i centri europei, e attraverso gli ebrei francesi anche i gerosolimitani. Chi gli manca ancora?"

"I pauliciani."

"Appunto. E noi non abbiamo ancora deciso dove siano andati a finire. Ma ce lo suggerisce Napoleone, che va a cercarli dove sono, in Russia."

 

Bloccati da secoli nell'area slava, era naturale che í pauliciani si fossero riorganizzati sotto le varie etichette dei gruppi mistici russi. Uno dei consiglieri influenti di Alessandro I era il principe Galitzin, legato ad alcune sette di ispirazione martinista. E chi trovavamo in Russia, con ben dodici anni di anticipo su Napoleone, plenipotenziario dei Savoia, ad annodar legami coi cenacoli mistici di San Pietroburgo? De Maistre.

A quel punto egli ormai diffidava di ogni organizzazione d'illuminati, — che per lui faceva tutt'uno con gli illuministi, responsabili del bagno di sangue della rivoluzione. In quel periodo infatti parlava, ripetendo quasi alla lettera Barruel, di una setta satanica che voleva conquistare il mondo, e probabilmente pensava a Napoleone. Se quindi il nostro grande reazionario si proponeva di sedurre i gruppi martinisti era perché aveva lucidamente intuito che essi, pur ispirandosi alle stesse fonti del neotemplarismo francese e tedesco, erano però l'espressione dell'unico gruppo non ancora corrotto dal pensiero occidentale: í pauliciani.

Però il piano di de Maistre, a quanto pare, non era riuscito. Nel 1816 i gesuiti sono espulsi da Pietroburgo e de Maistre se ne torna a Torino.

"Va bene," diceva Diotallevi, "abbiamo ritrovato i pauliciani. Facciamo uscire di scena Napoleone che evidentemente non è riuscito nel suo intento, altrimenti da Sant'Elena schioccando un dito avrebbe fatto tremare i suoi avversari. Che cosa accade ora fra tutta questa gente? Io sto perdendo la testa."

"Metà di loro l'avevano già persa," diceva Belbo.

 


Oh come avete voi bene smascherato quelle sette infernali che preparano la via dell'Anticristo... Ve n'è_tuttavia una di queste sette che voi non avete toccata che leggermente.

 

(Lettera del capitano Simonini a Barruel, da La civiltà cattolica, 21.10.1882)

 

La mossa di Napoleone con gli ebrei aveva provocato una correzione di rotta presso i gesuiti. I Mémoires del Barruel non contenevano nessuna allusione agli ebrei. Ma nel 1806 Barruel riceve la lettera di un certo capitano Simonini il quale gli ricorda che anche Mani e il Veglio della Montagna erano ebrei, che i massoni erano stati fondati dagli ebrei e che gli ebrei avevano infiltrato tutte le società segrete esistenti.

La lettera di Simonini, fatta abilmente circolare a Parigi, aveva messo in difficoltà Napoleone che aveva appena contattato il Gran Sinedrio. Quel contatto aveva evidentemente preocccupato anche i Pauliciani, perché in quegli anni il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Moscovita dichiarava: "Napoleone si propone di riunire oggi tutti gli ebrei che la collera di Dio ha disperso sulla faccia della terra per far loro rovesciare la chiesa di Cristo e proclamare Lui come il vero Messia."

Il buon Barruel accetta l'idea che il complotto non sia solo massonico ma giudaico-massonico. Tra l'altro, l'idea di questo complotto satanico faceva comodo per attaccare un nuovo nemico, e cioè l'Alta Vendita Carbonara, e quindi i padri anticlericali del Risorgimento, da Mazzini a Garibaldi.


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 32 | Нарушение авторских прав



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