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Collana: Tascabili Bompiani 28 страница



 

Dopo essermi fatto un'idea della chiave, salii senza fretta fino alla terrazza. C'era, qui, una porticina di legno grezzo, con una serratura del tipo vecchio. Introdussi il mio chiodo, acchiappai con la punta il ricciolo della molla, girai e la porta si apri. L'accostai e mi affacciai sulla terrazza. Era una di quelle terrazze moderne, che sembrano scatole scoperchiate: nude, pulite, vuote, senza mucchi di suppellettili dietro i quali nascondersi, senza abbaini nй comunicazioni con altre terrazze o tetti nel caso che si debba scappare. Il chiaro di luna l'illuminava a giorno, come una sala da ballo. Trovai, perт, un angolo in ombra, dietro un comignolo; mi accovacciai, tirai fuori la lima e presi a fare la chiave. Sapevo, cosм, col sentimento, fin dove dovevo limare; del resto si trattava soprattutto di sgrossare: il colpo di lima decisivo l'avrei dato piщ tardi. Quando mi parve di aver fatto la chiave che ci voleva, mi distesi, mangiai il mio mezzo sfilatino e poi fumai una sigaretta. Avevo ancora almeno quattro ore da aspettare. Gettai la cicca, mi rannicchiai e presto mi addormentai.

Mi svegliai esattamente quattro ore dopo e mi accorsi che quel sonno mi aveva fatto bene. Sentii di avviarmi verso la scala con la tranquillitа dell'impiegato che va all'ufficio: calmo, senza nervi, fresco, la testa chiara. Discesi pian piano fino all'interno numero tre e qui provai la mia chiave. Non mi ero sbagliato: andava quasi bene; e mi bastт darle appena una ripassatina con la lima che girт, e la porta si aprм, dolce come il miele.

L'appartamento era proprio modesto, lo vidi fin dal primo sguardo, uno di quegli appartamenti di quattro camere e cucina, mobiliato alla buona, che per un ladro non offrono interesse. Eppure era stato un gran personaggio: il giornale parlava chiaro. Dall'ingresso, passai nel corridoio, una porta era aperta, ne veniva un chiarore che non pareva di lampada. Era il chiaro di luna, come scoprii, che penetrava con breve raggio nella stanza, attraverso la finestra aperta sul giardino. Salvo che presso il davanzale, la stanza era al buio: tirai fuori una lampadina tascabile e cominciai a perlustrare. Dapprima vidi scaffali e scaffali pieni di libri, poi un tavolo massiccio tutto intagliato, con le zampe di leone, poi i fiori. Ce n'erano in quantitа, d'oggi specie, soprattutto rose, garofani, gladioli. Tutto ad un tratto, tra i fiori, mi apparve la faccia del morto: aveva barba, baffi e capelli bianchi e lustri come la seta; la faccia nutrita e rosea; le palpebre, trasparenti, abbassate; un uomo di settant'anni, corpulento, imponente, prospero, aristocratico. Un morto di riguardo, un morto signore. Pian piano abbassai il raggio della lampada: era in frac nero, con una fascia rossa e gialla attraverso lo sparato bianco e la cravatta bianca bene annodata sotto il pizzo d'argento. Ecco le mani: incrociate sul petto, rosee, pulite, un po' semolate, le unghie curate. L'anello era in evidenza: il verde dello smeraldo spiccava sul dito corto e un po' gonfio. Presi la lampada nella sinistra, mi sporsi, e stringendo l'anello tra due dita, cominciai a girarlo e a tirare. Non veniva, allora diedi uno strattone piщ forte e mi rimase in mano. Mi parve, perт, che lo strattone avesse scomposto il morto, alzai la lampada, e, infatti, adesso, stava a bocca aperta, e sotto quei suoi baffi di tricheco si vedevano chiaramente molti denti d'oro. In quel momento un sibilo leggero mi fece saltare. Mi voltai di botto e allora, alla finestra, sul davanzale, buffa a vedersi, scorsi la faccia di Silvano. Piщ pallido del morto, mi guardava con occhi sbarrati. Disse, poi, sottovoce: "Ah, sei venuto..."

Fu un attimo; e in quell'attimo decisi di ingannarlo. Risposi con calma: "Sм, sono venuto... ma l'anello non c'и." Fece una brutta smorfia e sussurrт con voce strangolata: "Non и possibile."

"Vieni tu" gli risposi "e guarda." A fatica, tirandosi su con le mani, salм a sedere sul davanzale, si girт, cadde in piedi, nella stanza. Senza dir parola, diressi il raggio della lampadina sulle mani sguarnite del morto. Lui disse subito, fremente: "L'anello ce l'hai tu... infatti le mani sono spostate."



"Ma non far lo scemo..."

"Sм, ce l'hai tu... ladro."

"Guarda come parli." Questa volta non disse nulla ma mi si avventт addosso, cercando di acchiapparmi alla tasca dei pantaloni, lа dove, appunto, tenevo l'anello. Feci un passo indietro, al buio, dicendo: "Sta' attento, che ci scoprono." Ma lui doveva aver perso la testa e si gettт di nuovo contro di me. Avevo notato, entrando, una porta che si trovava dietro il tavolo: doveva dar nell'ingresso. Cosм girai intorno al tavolo, mentre lui, in quella penombra, le mani tese, avanzava verso di me, aprii svelto la porta ed entrai. Non cosм presto, perт, che lui, al raggio della mia lampadina, non vedesse che era, invece, la porta di un ripostiglio, senz'altra uscita. Sentii girar la chiave dentro la toppa mentre mi rivoltavo tra i tanti cappotti e cappelli appesi agli attaccapanni e poi udii lui dire ad alta voce: "Dammi l'anello o se no ti lascio qui dentro." Adesso, anche per il caldo e la soffocazione di quel bugigattolo, ero fuori di me dalla rabbia e gli risposi che l'anello non glielo avrei dato. Lui allora si allontanт dalla porta, lo sentii accendere una lampada, muoversi per la stanza. Pensai che cercasse qualche altro oggetto, per consolarsi dell'anello, e non mi sbagliavo. Tutto ad un tratto ci fu uno strillo acuto e il grido: "Mi mozzica." Poi passi, voci nel giardino, voci nella casa, porte sbattute, intimazioni. Finalmente l'uscio del ripostiglio si aprм; la stanza era illuminata varie persone tenevano per le braccia Silvano e, davanti a me, c'erano i soliti carabinieri.

Ricostruii, poi, quanto era accaduto: Silvano, disgraziato e scemo, volendo ad ogni costo rifarsi, aveva messo le dita nella bocca del morto, con l'idea di strappargli i denti d'oro. Come se fossero fiori, da coglierli cosм, e non ci volessero le tenaglie, proprio da dentista. Il morto, per la scossa, aveva rinchiuso la bocca e lui, terrorizzato, aveva strillato. Tutto questo, perт, lo pensai piщ tardi, al Commissariato. Ma, sul momento, guardai Silvano e con rabbia concentrata, scossi il capo: con quel naso lм non c'era nulla da fare; la colpa era tutta mia che non l'avevo capito prima.

 

IL GODIPOCO

 

Vorrei sapere perchй quando una donna ci piace, anche le cose che in lei non ci piacciono, finiscono per piacerci. Vorrei sapere perchй, sebbene l'abbia capito da un pezzo che Pina non fa per me, io la sposerт lo stesso, tra un mese o poco piщ.

Le qualitа di Pina stanno tutte nel fisico. Piccoletta, bruna, tosta come un frutto acerbo, con una faccia da maschietto e i capelli tagliati da uomo, lei mi tiene sotto i piedi per due o tre cose, sempre le stesse che, perт, mi producono sempre lo stesso effetto: il modo col quale, dentro le gonne lunghe e straccione che si porta dietro dalla vita sottile, muove le gambe nervose, come se ballasse; il modo come mi guarda, di traverso, fissamente, senza battere ciglia, con gli occhi rotondi che sembrano quelli dei gufi; il modo con il quale, altre volte, mi si pianta davanti, di schiena, e mi dice: "Tirami su la chiusura lampo", e io tirandole su la chiusura lampo vedo il collo bruno che scende sulle spalle brune tutte ricoperte da una peluria trasparente come quella delle pesche. Poche cose; e se non ci fossero, presto finirebbe l'attrazione. Ma ci sono, e lei lo sa e cosм finirт per sposarla.

Parliamo adesso di difetti o meglio del difetto, perchй ne ha soprattutto uno ma grosso: le cattive maniere. Dire cattive maniere и troppo poco, bisognerebbe dire maniere da villana. C'и chi nella vita va piano, chi va al trotto, e chi va al galoppo: Pina galoppa. Va di fretta, insomma, con l'aria di dire: "Poche chiacchiere, veniamo al sodo, non ho tempo da perdere, io." E nei modi conferma la impressione: pare sempre che corra, che si faccia largo a forza di gomiti, impaziente. impulsiva, brusca, intollerante.

Io sono nato, invece, con le buone maniere. E sм che le cattive maniere potrei anche permettermele: sono grande, grosso, forte come un toro; peso novantacinque chili a ventott'anni; all'officina meccanica dove lavoro sono capace di sollevare da solo una macchina utilitaria. Ma appunto perchй sono cosм forte, sto attento ai miei gesti, alle mie parole. E si capisce: piщ uno и forte e piщ uno deve essere gentile e non abusare della propria forza. Invece Pina che mi arriva con la testa al petto e di forte non ha che la voce grossa e rauca (altra cosa che mi piace in lei: lo dimenticavo), Pina, forse per questo, sente il bisogno di imporsi con la prepotenza.

La sposerт, non c'и nulla da fare. Ma ogni tanto penso di mandarla al diavolo, lei e le sue cattive maniere. Per esempio, non piщ tardi di avant'ieri, durante una gita che facemmo ad Ostia.

Faceva caldo, come puт fare caldo a Roma, intorno il Ferragosto, dopo che ha giа fatto caldo per due mesi. Pina, forse per il caldo, quella mattina era una furia. Me lo fece sapere, appena ci incontrammo in strada, davanti casa sua: "Oggi non и giornata... te lo avverto."

"Ma che и successo?"

"Un gatto ha fatto processo... che vuoi che sia successo? nulla."

"Ma allora perchй non и giornata?"

"Perchй due non fa tre."

Andammo a prendere il treno a San Paolo, tra la solita folla scalmanata verso le undici e mezzo. Entrammo nel treno, il vagone era giа completo, salvo un posto in fondo, Pina si slanciт come una freccia, e sedette proprio nel momento in cui una ragazza non tanto giovane, bianca ed esile, timida e composta, proprio il contrario di lei, faceva anche lei per sedersi. Piuttosto che sedersi, bisognerebbe dire che Pina scivolт sotto il sedere della ragazza nel momento preciso in cui questa, da persona ben educata, lo calava pian piano sul sedile. Cosм che, per poco, quella poveretta non si trovт seduta sulle ginocchia di Pina. Subito si alzт sconcertata e disse: "Questo posto и mio."

"No, и mio... ci sto seduta io."

"Ma lei me l'ha preso nel momento in cui stavo per sedermi... tutti sono testimoni... che maniere sono queste?"

"Le maniere che ci vogliono."

"Signorina" la ragazza era dolce ma ferma, "si alzi o chiamo il controllore."

Chiamare il controllore in quella folla era una minaccia da ridere. E infatti Pina si fece una bella risata. La ragazza, allora, fece per prenderla per un braccio dicendo: "Si alzi, signorina!", ma Pina le diede uno schiaffo forte sulla mano: "Giщ le mani."

A questo punto intervenne il padre: un vecchio coi baffi bianchi, e la camicia alla robespierre aperta sul collo tutto grinze: "Signorina, lei ha fatto malissimo a dare quello schiaffo a mia figlia... tanto piщ che mia figlia ha ragione... dunque si alzi."

"Ma tu chi sei?"

"Uno che potrebbe essere suo padre."

"Mio padre?, vuoi dire mio nonno. Ma che vuole questo boccio da me?" questo rivolto ai tanti che stavano a guardare e che, come mi accorsi, non risero.

"Signorina, lei deve cedere il posto;" il vecchio, adesso, aveva alzato la voce, con autoritа. Subito Pina strillт: "Maurizio."

Sono io, Maurizio. Malvolentieri, perchй mi rendevo conto che Pina aveva torto e che, d'altronde, anche se avesse avuto ragione, io mettendomi contro un vecchio, avrei fatto la figura del prepotente, mi avvicinai e dissi moscio: "Senta, la consiglio di non insistere."

Lui mi guardт, scosse la testa, mortificato, e poi disse: "E va bene... Non c'и piщ educazione, perт", tornando verso la figlia. Tutt'intorno ci fu un mormorio di disapprovazione; qualcuno disse: "Bella roba... mettersi contro un vecchio... non fosse altro, l'etа;" e un giovanotto si alzт e disse alla ragazza: "Signorina, prego, si segga", guardandomi con sfida. Io non dissi nulla; ma bollivo di rabbia, non tanto contro il giovanotto che, dopo tutto, si era mostrato gentile, quanto contro il procedere di Pina. Cosм in silenzio, con tutta la gente intorno che ci guardava storto, come Dio volle, giungemmo a Ostia.

Dissi a Pina, sul lungomare: "Guarda che queste parti di prepotente non mi piacciono... tutti ci guardavano male e avevano ragione."

"E a me che me ne frega? Volevo sedermi e sono stata seduta."

Arrivammo allo stabilimento. Gesщ che folla: a malapena, tra tutti quei corpi nudi distesi al sole, si potevano mettere i piedi per camminare. Il bagnino ci avvertм che avremmo dovuto adattarci in una cabina con altra gente e Pina fece un viso scuro ma non disse nulla. Giungemmo alla cabina: era occupata da una famiglia: padre e madre tutti e due grassi e anziani, e due figli, una ragazza carina, sottile come un giunco, un giovanottello bruno, sui vent'anni. Buona gente; e, infatti subito, si fecero in quattro: prego, si accomodino, entrino pure. Pina a cui il fatto della cabina in partecipazione non andava giщ, rispose rudemente: "Tanto anche se non ce lo dite, ci accomodiamo egualmente." Vidi quei quattro restare a bocca aperta, dalla sorpresa. La ragazza osservт, acida: "И arrivata la principessa."

Pina restт un pezzo nella cabina e poi, come riapparve, la ragazza diede un grido: "Il mio vestito." Guardai: Pina, per appendere la sua roba, aveva gettato il vestito della ragazza, in mucchio, sopra una seggiola. La ragazza entrт nella cabina, prese il vestito e l'appese di nuovo, sopra i vestiti di Pina. A sua volta, Pina prese il vestito e lo gettт in terra: "Questi stracci non ce li voglio sui miei vestiti."

"Lei il mio vestito lo raccoglie" disse la ragazza con voce tremante.

"Ma tu, figlia mia, sei scema... non raccolgo un corno."

"Lei lo raccoglie."

Ora stavano una di fronte all'altra, come due galletti, belline tutte e due. I genitori si erano alzati; la madre diceva: "Da quando и arrivata, non ha fatto che scenate", il padre brontolava: "Ma che maniere.. dove siamo?" Questa volta capii che il torto era troppo dalla parte di Pina, entrai nella cabina, raccolsi il vestito e dissi: "Signorina, dove vuole che gliel'appenda?" La ragazza, rabbonita, disse che lo mettessi pure su quello di sua madre e cosм feci. Poi mi chiusi nella cabina e mi spogliai. Quando riuscii, vidi che Pina. si avviava verso la spiaggia insieme con quel giovanottino, fratello della ragazza. Parlavano, si sorridevano. Capii che Pina ce l'aveva con me perchй avevo raccolto il vestito e voleva punirmi. Perт mi avvicinai e dissi: "Pina andiamo a fare il bagno?"

"Vacci tu... io vado con... a proposito, come si chiama lei?"

"Luciano."

"Io vado con Luciano."

Non dissi nulla e andai a fare il bagno tutto solo. Loro si incamminarono sulla spiaggia, lungo la riva, e ben presto scomparvero. Dopo il bagno, mi asciugai sulla rena e poi tornai alla cabina. La famiglia giа stava mangiando seduta intorno la tavola piena di cartocci. Pina guardava in disparte una rivista. Disse con voce normale: "Mangiamo anche noi, no?" e io presi il pacco della colazione e sedetti accanto a lei, sugli scalini della cabina.

Aprii il pacco, le diedi lo sfilatino, lei lo aprм e poi disse con voce indignata: "Ma che roba и questa? Lo sai che il prosciutto non mi piace?"

"Ma Pina..."

"Niente, non mangio."

"Signorina. Vuol favorire?" Era il giovanotto che, sotto gli sguardi di disapprovazione della famiglia, le offriva un panino con la vitella fredda. Avete mai notato che le persone sgarbate quando si sforzano di essere gentili, sembrano perfino ridicole? Cosм Pina con quel giovanotto entrante: prese il panino con un sorriso che pareva una smorfia, l'addentт con un altro sorriso. Poi disse che stava scomoda e andт a mangiare dietro la cabina, all'ombra. Ad un tratto mi giunse la sua voce, mentre mangiavo tutto solo: "Dammi da bere, che vuoi che mi strozzi?" Mi alzai e andai a porgerle la bottiglia del vino. Lei bevve e poi, giщ, sputт a ventaglio tutto il vino sulla sabbia: "Ma che porcheria и questa? Sembra aceto!"

"Ma Pina..."

"Auffa, con questa Pina."

"Signorina, vuole un po' del nostro?"

Era ancora una volta il giovanottino, con un fiaschetto. Lei subito accettт con quel suo bel sorriso tutto falso e io mi allontanai, e lui ne approfittт per sedersi accanto a Pina. Allora mi alzai e andai sulla spiaggia. Sedetti sulla rena e guardai al mare. Ero fuori di me e, d'improvviso, pensai: "Basta, и finita, oggi torno a Roma solo... e non la vedo piщ." Questa decisione mi rinfrancт. Adesso potevo vedere, se volevo, dietro la cabina, i quattro piedi appaiati, di Pina e del giovanotto, distesi l'uno accanto all'altro; ma mi sembrт che non me ne importasse piщ nulla. Mi allungai sulla sabbia e ben presto mi addormentai.

Dormii parecchio; poi mi svegliai e per una combinazione, li vidi tutti e due davanti a me, che si avviavano verso il mare per un bagno. Parlavano, parevano affiatati: provai un senso di gelosia. Il mare era grosso, nel momento in cui entravano nell'acqua, un'ondata li investм. Pina cacciт un grido e tornт indietro; il giovanotto con naturalezza, la prese per un braccio, come per sorreggerla, ma molto in su, sotto l'ascella. Allora udii la voce di Pina che diceva: "Lei se ne approfitta dell'onda per strofinarsi, eh... mi rincresce, ma con me ha trovato il godipoco... gliel'ho giа detto prima: tenga le mani a posto."

"Ma io..."

"Io, niente... Tenga le mani a posto... che parlo cinese?... e anzi... mi lasci sola... torni pure da sua sorella: tanto con me и tempo perso."

Il giovanotto ci rimase male; tanto piщ che non doveva essere la prima rispostaccia del genere. Disse, mortificato: "Allora, come vuole lei... la lascio sola."

"Sм, bravo... mi lasci... arrivederci e grazie della compagnia."

Cosм lui si allontanт voltandosi ogni tanto, come sperando che lei lo richiamasse; e Pina, sola sola, entrт nel mare e andт ad attaccarsi alla corda salvagente. La guardai a lungo, adesso pensavo di raggiungerla e far la pace. Ma mi dissi: "Maurizio: questa и la volta buona o mai piщ;" e cosм, dopo un poco, tornai alla cabina, mi rivestii, dissi alla famiglia che avvertisse Pina, pagai e me ne andai.

Gironzolai per Ostia ancora un poco, non sapevo perchй, forse speravo di incontrare Pina. Poi andai alla stazione e tra la solita folla, salii sul treno. Era al completo, mi misi in un angolo, rassegnato a fare il viaggio in piedi. Ad un tratto, tra la folla, sentii la voce di Pina: "...e a me che me ne frega?"

"Signorina, quel posto l'avevo occupato io, tutti sono testimoni... c'era la mia borsa."

"E adesso c'и il mio sedere."

"Maleducata."

"Il piщ conosce il meno."

"Insomma, si alzi... suvvia."

"Maurizio."

E cosм, nonostante la folla, lei mi aveva visto e adesso mi chiamava, per sostenere le sue solite prepotenze. Avrei voluto non muovermi, ma una calamita mi attirava. Uscii dal mio angolo, mi avvicinai. Questa volta era una signora anziana, molto civile, podagrosa, con una sfuriata di capelli bianchi sulla testa. Dissi, piщ moscio che mai: "Signora, la consiglio di non insistere."

"Ma lei chi и?"

"Sono il fidanzato della signorina."

E cosм tutto andт come il solito: qualcuno offrм il posto alla signora, tutti mi guardarono di traverso e Pina restт seduta. Ma sapete che disse quella signora sedendosi: "Lei и il fidanzato?... povero lei... la compiango di cuore."

E aveva ragione.


Дата добавления: 2015-10-21; просмотров: 22 | Нарушение авторских прав







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