Студопедия
Случайная страница | ТОМ-1 | ТОМ-2 | ТОМ-3
АрхитектураБиологияГеографияДругоеИностранные языки
ИнформатикаИсторияКультураЛитератураМатематика
МедицинаМеханикаОбразованиеОхрана трудаПедагогика
ПолитикаПравоПрограммированиеПсихологияРелигия
СоциологияСпортСтроительствоФизикаФилософия
ФинансыХимияЭкологияЭкономикаЭлектроника

Il pendolo di Foucault 26 страница

Читайте также:
  1. 1 страница
  2. 1 страница
  3. 1 страница
  4. 1 страница
  5. 1 страница
  6. 1 страница
  7. 1 страница

Povero stolto! Sarai così ingenuo da credere che ti insegniamo apertamente il più grande e il più importante dei se-greti? Ti assicuro che chi vorrà spiegare secondo il senso ordinario e letterale delle parole ciò che scrivono i Filosofi Ermetici, si troverà preso nei meandri di un labirinto dal quale non potrà fuggire, e non avrà filo di Arianna che lo guidi per uscirne.

 

(Artefio)

 

Finii in una sala sotto il livello del suolo, illuminata con parsimonia, dalle pareti in rocaille come le fontane del parco. In un angolo scorsi un'apertura, simile alla campana di una tromba murata, e già da lontano sentii che ne provenivano rumori. Mi avvicinai e i rumori si fecero più distinti, sino a che potei cogliere delle frasi, nitide e precise come se fossero pronunciate accanto a me. Un orecchio di Dioniso!

L'orecchio era evidentemente collegato a una delle sale superiori e coglieva i discorsi di quelli che passavano accanto alla sua imboccatura.

 

"Signora, le dirò quello che non ho mai detto a nessuno. Sono stanco... Ho lavorato sul cinabro, e sul mercurio, ho sublimato spiriti, fermenti, sali del ferro, dell'acciaio e loro schiume, e non ho trovato la Pietra. Poi ho preparato delle acque forti, delle acque corrosive, delle acque ardenti, ma il risultato era sempre lo stesso. Ho usato gusci d'uovo, zolfo, vetriolo, arsenico, sale ammoniaco, sale di vetro, sale alkali, sale comune, salgemma, salnitro, sale di soda, sale attincar, sale di tartaro, sale alembrot; ma mi creda, ne diffidi. Bisogna evitare í metalli imperfetti rubificati, altrimenti sarà ingannata come sono stato ingannato io. Ho provato tutto: il sangue, i capelli, l'anima di Saturno, le marcassiti, l'aes ustum, lo zafferano di Marte, le scaglie e la schiuma del ferro, il litargirio, l'antimonio; niente. Ho lavorato per ricavare l'olio e l'acqua dall'argento, ho calcinato l'argento sia con un sale preparato sia senza sale, e con l'acquavite, e ne ho ricavato degli oli corrosivi, ecco tutto. Ho adoperato il latte, il vino, il caglio, lo sperma delle stelle che cade sulla terra, la chelidonia, la placenta dei feti, ho mescolato il mercurio ai metalli riducendoli in cristalli, ho cercato nelle stesse ceneri... Finalmente..."

"Finalmente?"

"Non c'è cosa al mondo che richieda più cautela della verità. Dirla è come farsi un salasso al cuore..."

"Basta, basta, lei mi esalta..."

 

"Solo a voi oso confessare il mio segreto. Non sono di alcuna epoca né di alcun luogo. Al di fuori del tempo e dello spazio vivo la mia eterna esistenza. Vi sono esseri che non hanno più angeli custodi: io sono uno di costoro..."

"Ma perché mi avete condotto qui?"

Altra voce: "Caro Balsamo, stiamo giocando al mito dell'immortale?"

"Imbecille! L'immortalità non è un mito. È un fatto."

 

Stavo per andarmene, annoiato da quel cicaleccio, quando udii Salon. Parlava sottovoce, con tensione, come se stesse trattenendo qualcuno per il braccio. Riconobbi la voce di Pierre.

"Suvvia," diceva Salon, "non mi dirà che anche lei è qui per la buffonata alchemica. Non mi dirà che è venuto a prendere il fresco nei giardini. Lo sa che dopo Heidelberg de Caus ha accettato un invito del re di Francia per occuparsi della pulitura di Parigi?"

"Les fagades?"

"Non era Malraux. Sospetto che si trattasse delle fogne. Curioso, vero? Questo signore inventava aranceti e pomari simbolici per gli imperatori, ma quello che gli interessava erano i sotterranei di Parigi. A quei tempi a Parigi non esisteva una vera rete fognaria. Era un misto di canali a fior di terra e condotti interrati, di cui si sapeva pochissimo. I romani sin dai tempi della repubblica sapevano tutto sulla loro Cloaca Massima, e millecinquecento anni dopo a Parigi non si sa nulla di ciò che passa sottoterra. E de Caus accetta l'invito del re perché vuole saperne di più. Che cosa voleva sapere? Dopo de Caus, Colbert per pulire i condotti coperti – questo era il pretesto, e noti che siamo al tempo della Maschera di Ferro – vi invia dei galeotti, ma questi si mettono a navigare nello sterco, seguono la corrente sino alla Senna, e si allontanano su di un battello, senza che nessuno osi affrontare queste temibili creature avvolte di una puzza insopportabile e da nugoli di mosche... Allora Colbert piazza gendarmi alle varie uscite sul fiume, e i forzati moriranno nei cunicoli. In tre secoli a Parigi sono riusciti a coprire appena tre chilometri di fogne. Ma nel Settecento si coprono ventisei chilometri, e proprio alla vigilia della rivoluzione. Le dice nulla?"

"Oh, voi sapete, questo..."

" È che sta arrivando al potere gente nuova, che sa qualcosa che la gente di prima non sapeva. Napoleone manda squadre di uomini ad avanzare nel buio, fra i detriti umani della metropoli. Chi ha avuto il coraggio di lavorare laggiù in quel tempo ha trovato molte cose. Anelli, oro, collane, gioielli, cosa non era caduto da chissà dove in quei corridoi. Gente che aveva lo stomaco di mangiarsi quel che trovava, per poi uscire, prendere un lassativo, e diventare ricco. E si è scoperto che molte case avevano un passaggio sotterraneo che menava direttamente alla fogna."

"Ça, alors..."

"In un periodo in cui si gettava il vaso dalle finestre? E perché si trovarono sin d'allora fogne con una specie di marciapiede laterale, e anelli di ferro murati, perché ci si potesse afferrare? Questi passaggi corrispondono a quei tapis francs dove la malavita – la pègre, come si diceva allora – si riuniva, e se la polizia arrivava si poteva fuggire e riemergere da un'altra parte."

"Fogliettone..."

"Ah sì? Chi cerca di proteggere lei? Sotto Napoleone III il barone Haussmann obbliga per legge tutte le case di Parigi a costruire un serbatoio autonomo, e poi un corridoio sotterraneo che porti alle fogne generali... Una galleria di due metri e trenta di altezza e di un metro e trenta di larghezza. Si rende conto? Ogni casa di Parigi collegata per un corridoio sotterraneo alle fogne. E sa quanto sono lunghe oggi le fogne di Parigi? Duemila chilometri, e su vari strati o livelli. E tutto è iniziato con colui che ha progettato a Heidelberg questi giardini..."

"E allora?"

"Vedo che non vuole proprio parlare. Eppure lei sa qualcosa che non vuole dirmi."

"Ve ne prego, lasciatemi, egli è tardi, mi si attende per una riunione." Rumore di passi.

 

Non capivo a che cosa mirasse Salon. Mi guardai intorno, stretto com'ero tra la rocaille e l'apertura dell'orecchio, e mi sentii nel sottosuolo, anch'io sotto una volta, e mi parve che l'imbocco di quel canale fonurgico altro non fosse che l'inizio di una discesa in cunicoli oscuri che scendevano verso il centro della terra, brulicanti di Nibelunghi. Sentii freddo. Stavo per allontanarmi quando udii ancora una voce: "Venga. Stiamo per iniziare. Nella sala segreta. Chiami gli altri."
61

Questo Vello d'Oro è custodito da un Dragone tricipite, di cui il primo capo deriva dalle acque, il secondo dalla terra e il terzo dall'aria. È necessario che questi tre capi finiscano in un solo Dragone potentissimo, che divorerà tutti gli altri Dragoni.

 

(Jean d'Espagnet, Arcanum Hermeticae Philosophiae Opus, 1623, 138)

 

Ritrovai il mio gruppo. Dissi ad Agliè che avevo sentito qualcuno mormorare di una riunione.

"Ah," disse Agliè, "siamo curiosi! Ma la capisco. Se si inoltra nei misteri ermetici vorrà saperne tutto. Ebbene, questa sera dovrebbe avvenire, per quel che ne so, l'iniziazione di un nuovo membro dell'Ordine della Rosa-Croce Antico e Accettato."

"Si può vedere?" chiese Garamond.

"Non si può. Non si deve. Non si dovrebbe. Non si potrebbe. Ma faremo come quei personaggi del mito greco, che videro quello che non dovevano, e affronteremo l'ira degli dei. Vi consento di gettare uno sguardo." Ci fece salire per una scaletta sino a un corridoio buio, scostò un tendaggio, e da una vetrata chiusa potemmo gettare un'occhiata nella sala sottostante, illuminata da alcuni bracieri ardenti. Le pareti erano tappezzate in damasco, ricamato a fiori di giglio, e sul fondo si ergeva un trono ricoperto da un baldacchino dorato. Ai fianchi del trono, sagomati in cartone, o in materiale plastico, posati su due treppiedi, un sole e una luna, piuttosto rozzi come esecuzione, ma ricoperti di stagnola o lamine di metallo, naturalmente d'oro e d'argento, e di un certo effetto, perché ciascun luminare era direttamente animato dalle fiamme di un braciere. Al di sopra del baldacchino pendeva dal soffitto un'enorme stella, rilucente di pietre preziose, o di vetrini. Il soffitto era rivestito in damasco azzurro costellato di grandi stelle argentate.

Davanti al trono, un lungo tavolo decorato con palme su cui era posata una spada, e immediatamente davanti al tavolo un leone impagliato, dalle fauci spalancate. Qualcuno gli aveva evidentemente predisposto una lampadina rossa all'interno della testa, perché gli occhi brillavano incandescenti e la gola sembrava mandare fiamme. Pensai che doveva esserci la mano del signor Salon, e mi resi finalmente conto a quali clienti curiosi alludesse quel giorno nella miniera a Monaco.

Al tavolo stava Bramanti, addobbato con una tunica scarlatta e paramenti verdi ricamati, una cappa bianca dalla frangia d'oro, una croce scintillante sul petto, e un cappello di forma vagamente mitrale, ornato di un pennacchio bianco e rosso. Davanti a lui, ieraticamente composte, una ventina di persone, egualmente in tunica scarlatta, ma senza paramenti. Tutti portavano sul petto qualcosa di dorato che mi parve dí riconoscere.

Mi ricordai di un ritratto rinascimentale, di un gran naso asburgico, di quel curioso agnello dalle zampe pendule, impiccato alla vita. Coloro si adornavano di un'imitazione accettabile del Toson d'Oro.

Bramanti stava parlando, con le braccia alzate, come se pronunciasse una litania, e gli astanti rispondevano a tratti. Poi Bramanti alzò la spada e tutti trassero dalla tunica uno stiletto, o un tagliacarte, e lo levarono in alto. E fu allora che Agliè abbassò il tendaggio. Avevamo visto troppo.

Ci allontanammo (a passo di Pantera Rosa, come precisò Diotallevi, eccezionalmente informato sulle perversioni del mondo contemporaneo), e ci ritrovammo in giardino, un poco ansanti.

Garamond era sbalordito. "Ma sono... massoni?"

"Oh," disse Agliè, "che cosa vuoi dire massoni? Sono gli adepti di un ordine cavalleresco, che si richiama ai Rosa-Croce e indirettamente ai Templari."

"Ma tutto questo non c'entra con la massoneria?" chiese ancora Garamond.

"Se c'è qualcosa in comune con la massoneria, in quanto avete visto, è che anche il rito di Bramanti è un hobby per professionisti e politicanti di provincia. Ma fu così sin dagli inizi: la massoneria fu una scialba speculazione sulla leggenda templare. E questa è la caricatura di una caricatura. Salvo che quei signori la stanno prendendo terribilmente sul serio. Ahimè! Il mondo pullula di rosicruciani e templaristi come quelli che avete visto questa sera. Non è da costoro che ci si dovrà attendere una rivelazione, anche se è tra loro che si potrebbe incontrare un iniziato degno di fede."

"Ma infine," chiese Belbo, e senza ironia, senza diffidenza, come se la domanda lo riguardasse personalmente, "infine, lei li frequenta. A chi crede... a chi credeva lei — mi scusi — fra tutti costoro?"

"A nessuno, naturalmente. Ho l'aria di un individuo credulo? Li guardo con la freddezza, la comprensione, l'interesse con cui un teologo può guardare alle folle napoletane che urlano attendendo il miracolo di san Gennaro. Quelle folle testimoniano una fede, un bisogno profondo, e il teologo si aggira tra quella gente sudata e bavosa perché potrebbe incontrarvi il santo che si ignora, il portatore di una superiore verità, capace un giorno di gettare nuova luce sul mistero della santissima trinità. Ma la santissima trinità non è san Gennaro."

Era imprendibile. Non sapevo come definire il suo scetticismo ermetico, il suo cinismo liturgico, quella miscredenza superiore che lo portava a riconoscere la dignità di ogni superstizione che disprezzasse.

"È semplice," stava rispondendo a Belbo, "se i Templari, quelli veri, hanno lasciato un segreto e istituito una continuità, occorrerà pure andare alla loro ricerca, e negli ambienti in cui più facilmente potrebbero mimetizzarsi, dove forse essi stessi inventano riti e miti per muoversi inosservati come un pesce nell'acqua. Che fa la polizia quando cerca l'evaso sublime, il genio del male? Fruga nei bassifondi, nei bar malfamati dove si aggirano di solito i furfanti di piccola tacca, che non arriveranno mai a concepire i crimini grandiosi del ricercato. Che cosa fa lo stratega del terrore per reclutare i propri futuri accoliti, e incontrarsi coi suoi, e riconoscerli? Si muove in quei ritrovi di pseudoeversori dove tanti, che non saranno mai tali per difetto di tempra, mimano allo scoperto i presunti comportamenti dei loro idoli. Si cerca la luce perduta negli incendi, o in quei sottoboschi dove, dopo la vampata, le fiamme borbottano sotto gli sterpi, la morcia, il fogliame semicombusto. E dove meglio potrebbe mascherarsi il vero Templare se non tra la folla delle sue caricature?"
62

Consideriamo come società druidiche per definizione le società che si definiscono druidiche nel titolo o negli scopi, e che conferiscono iniziazioni che fanno appello al druidismo.

 

(M. Raoult, Les druides. Les sociétés initiatiques celtes contemporaines, Paris, Rocher, 1983, p. 18)

 

Si appressava la mezzanotte, e secondo il programma di Agliè ci attendeva la seconda sorpresa della serata. Lasciammo gli orti palatini e riprendemmo il viaggio attraverso le colline.

Dopo tre quarti d'ora di viaggio Agliè fece parcheggiare le due macchine ai bordi di una boscaglia. Occorreva attraversare una macchia, disse, per arrivare a una radura, e non c'erano né strade né sentieri.

Procedevamo, leggermente in salita, scalpicciando nel sottobosco: non era bagnato, ma le scarpe scivolavano su un deposito di foglie marce e di radici viscide. Agliè ogni tanto accendeva una pila per individuare passaggi praticabili, ma la spegneva subito perché — diceva — non bisognava segnalare la nostra presenza ai celebranti. Diotallevi tentò a un certo punto un commento, non ricordo bene, forse evocò Cappuccetto Rosso, ma Agliè, e con una certa tensione, lo pregò di astenersi.

Mentre stavamo per uscire dalla macchia, incominciammo a udire voci lontane. Finalmente arrivammo ai margini della radura, che ormai appariva illuminata da luci soffuse, come fiaccole, o meglio, lumi che ondeggiavano quasi raso terra, bagliori fievoli e argentati, come se una sostanza gassosa bruciasse con freddezza chimica in bolle di sapone che vagavano sull'erba. Agliè ci disse di arrestarci in quel luogo, ancora al riparo dei cespugli, e di attendere, senza farci scorgere.

"Tra poco arriveranno le sacerdotesse. Le druidesse, anzi. Si tratta di un'invocazione della grande vergine cosmica Mikil — san Michele ne rappresenta un adattamento popolare cristiano, non a caso san Michele è un angelo, dunque androgino, e ha potuto prendere il posto di una divinità femminile..."

"Da dove vengono?" sussurrò Díotallevi.

"Da vari posti, dalla Normandia, dalla Norvegia, dall'Irlanda... L'evento è piuttosto singolare e questa è un'area propizia per il rito."

"Perché?" chiese Garamond.

"Perché certi luoghi sono più magici di altri."

"Ma chi sono... nella vita?" chiese ancora Garamond.

"Gente. Dattilografe, assicuratrici, poetesse. Gente che potreste incontrare domani senza riconoscere."

Stavamo ora intravedendo una piccola folla che si apprestava a invadere il centro della radura. Compresi che le luci fredde che avevo visto erano piccole lampade che le sacerdotesse recavano in mano, e mi erano parse a filo d'erba perché la radura era al sommo di un colle, e da lontano avevo scorto nel buio le druidesse che, salendo da valle, ne emergevano sul ciglio, al margine estremo del pianoro. Erano vestite di tuniche bianche, che fluttuavano nel vento leggero. Si disposero a cerchio, e al centro si misero tre celebranti.

"Sono le tre hallouines di Lisieux, di Clonmacnois e di Pino Torinese," disse Agliè. Belbo domandò perché proprio loro e Aglíè si strinse nelle spalle: "Silenzio, aspettiamo. Non posso riassumervi in tre parole il rituale e la gerarchia della magia nordica. Accontentatevi di quel che vi dico. Se non dico di più è perché non lo so... o non lo posso dire. Debbo rispettare alcuni vincoli di riservatezza..."

Avevo notato al centro della radura un cumulo di pietre, che richiamava sia pure vagamente un dolmen. Probabilmente la radura era stata scelta proprio a causa della presenza di quei massi. Una celebrante salì sul dolmen e soffiò in una tromba. Pareva, più ancora di quella che avevamo visto qualche ora prima, una buccina da marcia trionfale dell'Aida. Ma ne usciva un suono feltrato e notturno che sembrava venire da molto lontano. Belbo mi toccò il braccio: "E il ramsinga, il ramsinga dei thugs presso il baniano sacro..."

Fui indelicato. Non mi resi conto che stava celiando proprio per rimuovere altre analogie, e affondai il coltello nella piaga. "Certo sarebbe meno suggestivo col genis," dissi.

Belbo annuì. "Sono qui proprio perché non vogliono il genis," disse. Mi chiedo se non fu quella sera che egli incominciò a intravedere un legame tra i suoi sogni e quanto gli stava avvenendo in quei mesi.

Agliè non aveva seguito il nostro discorso ma ci aveva sentiti sussurrare. "Non si tratta di un avviso, né di un richiamo," disse, "si tratta di una sorta di ultrasuono, per stabilire il contatto con le onde sotterranee. Vedete, ora le druidesse si tengono tutte per mano, in cerchio. Creano una sorta di accumulatore vivente, per raccogliere e concentrare le vibrazioni telluriche. Ora dovrebbe apparire la nube..."

"Che nube?" sussurrai.

"La tradizione la chiama nube verde. Aspettate..."

Non mi attendevo alcuna nube verde. Ma quasi repentinamente dalla terra si levò una foschia soffice — una nebbia, l'avrei detta, se fosse stata uniforme e massiccia. Era una formazione a fiocchi, che si raggrumava in un punto e poi, mossa dal vento, si levava a sbuffi come una matassa di zucchero filato, si spostava alitando nell'aria, andava a raggomitolarsi in un altro punto della radura. L'effetto era singolare, talora apparivano gli alberi sullo sfondo, talora tutto si confondeva in un vapore biancastro, talora il bioccolo sfumigava al centro della radura, sottraendoci la vista di quanto avveniva, e lasciando sgombri i margini e il cielo, dove continuava a risplendere la luna. I movimenti dei fiocchi erano repentini, inattesi, come se ubbidissero all'impulso di un soffio capriccioso.

Pensai a un artificio chimico, poi riflettei: eravamo a circa seicento metri d'altezza, ed era possibile che si trattasse di nubi vere e proprie. Previste dal rito, evocate? Forse no, ma le celebranti avevano calcolato che su quell'altura, in circostanze favorevoli, si potessero formare quei banchi erratici a fior di terra.

Era difficile sottrarsi al fascino della scena, anche perché le vesti delle celebranti si amalgamavano col biancore dei fumi, e le loro figure parevano uscire da quella oscurità lattea, e rientrarvi, come se ne fossero generate.

Ci fu un momento in cui la nube aveva invaso tutto il centro del prato e alcuni batuffoli, che salivano sfilacciandosi verso l'alto, stavano quasi nascondendo la luna, seppur non tanto da illividire la radura, sempre chiara ai margini. Allora vedemmo una druidessa uscire dalla nube, e correre verso il bosco, urlando, le braccia tese in avanti, così che pensai che ci avesse scoperti, e ci lanciasse maledizioni. Ma, arrivata a pochi metri da noi, mutò direzione e si mise a correre in circolo intorno alla nebulosa, scomparve verso sinistra nel biancore per riapparire da destra dopo alcuni minuti, di nuovo ci arrivò vicinissima, e potei vederne il volto. Era una sibilla dal grande naso dantesco sopra una bocca sottile come una ragade, che si apriva come un fiore sottomarino, priva di denti, salvo due soli incisivi e un canino asimmetrico. Gli occhi erano mobili, grifagni, pungenti. Udii, o mi parve di udire, o credo ora di ricordare d'aver udito — e sovrappongo a quel ricordo altre memorie — insieme a una serie di parole che allora giudicai gaeliche, alcune evocazioni in una sorta di latino, qualche cosa come "o pegnia (oh, e oh!, intus) et eee uluma!!!", e di colpo la nebbia quasi scomparve, la radura si rifece limpida, e vidi che era stata invasa da una torma di maiali, il collo tozzo circondato da una collana di mele acerbe. La druidessa che aveva suonato la tromba, ancora sul dolmen, stava brandendo un coltello.

"Andiamo," disse Agliè, secco. "È finito."

Mi accorsi, udendolo, che la nube era ora sopra di noi e attorno a noi, e quasi non scorgevo più i miei vicini.

"Come è finito?" disse Garamond. "Mi sembra che il meglio incominci ora!"

"È finito quello che loro potevano vedere. Non si può. Rispettiamo il rito. Andiamo."

Rientrò nel bosco, subito assorbito dall'umidità che ci avviluppava. Ci muovemmo rabbrividendo, scivolando sul fondo di foglie putride, ansanti e disordinati come un'armata in fuga. Ci ritrovammo sulla strada. Avremmo potuto essere a Milano in meno di due ore. Prima di risalire sulla sua auto con Garamond, Agliè ci salutò: "Mi perdonino se ho interrotto lo spettacolo. Volevo far loro conoscere qualcosa, qualcuno che vive intorno a noi, e per cui in fondo anche loro ormai lavorano. Ma non si poteva vedere di più. Quando sono stato informato di questo evento ho dovuto promettere che non avrei turbato la cerimonia. La nostra presenza avrebbe influenzato negativamente le fasi successive."

"Mai maiali? E cosa succede ora?" domandò Belbo.

"Quello che potevo dire l'ho detto."
63

"A che cosa ti fa pensare quel pesce?"

"Ad altri pesci."

"A che cosa ti fanno pensare gli altri pesci?"

"Ad altri pesci.»

 

(Joseph Heller, Catch 22, New York, Simon & Schuster, 1961,)xvii)

 

Tornai dal Piemonte con molti rimorsi. Ma, come rividi Lia, dimenticai tutti i desideri che mi avevano sfiorato.

Tuttavia quel viaggio mi aveva lasciato altre tracce, e trovo ora preoccupante che allora non me ne preoccupassi. Stavo mettendo definitivamente in ordine, capitolo per capitolo, le immagini per la storia dei metalli, e non riuscivo più a sottrarmi al demone della somiglianza, come già mi era accaduto a Rio. Che cosa c'era di diverso tra questa stufa cilindrica di Réaumur, 1750, questa camera calda per la cova delle uova, e questo atanòr secentesco, ventre materno, utero oscuro per la cova di chissà quali metalli mistici? Era come se avessero installato il Deutsches Museum nel castello piemontese che avevo visitato una settimana prima.

Mi riusciva sempre più difficile districare il mondo della magia da quello che oggi chiamiamo l'universo della precisione. Ritrovavo personaggi che avevo studiato a scuola come portatori della luce matematica e fisica in mezzo alle tenebre della superstizione, e scoprivo che avevano lavorato con un piede nella Cabbala e l'altro in laboratorio. Stavo forse rileggendo la storia intera attraverso gli occhi dei nostri diabolici? Ma poi trovavo testi insospettabili che mi raccontavano come i fisici positivisti appena usciti dall'università andassero a pasticciare per sedute mediani-che e cenacoli astrologici, e come Newton fosse arrivato alle leggi della gravitazione universale perché credeva che esistessero forze occulte (mi ricordavo delle sue esplorazioni nella cosmologia rosacrociana).

Mi ero fatto un dovere scientifico dell'incredulità, ma ora dovevo diffidare anche dei maestri che mi avevano insegnato a diventare incredulo.

Mi dissi: sono come Amparo, non ci credo ma ci casco. E mi sorprendevo a riflettere sul fatto che in fondo la grande piramide era davvero alta un miliardesimo della distanza terra-sole, o davvero si disegnavano analogie tra mitologia celtica e mitologia amerindia. E stavo incominciando a interrogare tutto quanto mi circondava, le case, le insegne dei negozi, le nubi nel cielo e le incisioni in biblioteca, perché mi raccontassero non la loro ma un'altra storia, che certo celavano ma che in definitiva svelavano a causa e in virtù delle loro misteriose somiglianze.

 

Mi salvò Lia, almeno per il momento.

Le avevo raccontato tutto (o quasi) della visita in Piemonte, e sera per sera tornavo a casa con nuove notizie curiose da aggiungere al mio schedario degli incroci. Lei commentava: "Mangia, che sei magro come un chiodo." Una sera si era seduta accanto alla scrivania, si era divisa il ciuffo in mezzo alla fronte per guardarmi dritto negli occhi, si era messa le mani in grembo come fa una massaia. Non si era mai seduta così, allargando le gambe, con la gonna tesa da un ginocchio all'altro. Pensai che era una posa sgraziata. Ma poi le osservai il volto, e mi pareva più luminoso, soffuso di un colorito tenue. L'ascoltai – ma non sapevo ancora perché – con rispetto.

"Pim," mi aveva detto, "non mi piace il modo con cui vivi la storia della Manuzio. Prima raccoglievi fatti come si raccolgono conchiglie. Ora sembra che ti segni i numeri del lotto."

"È solo perché mi diverto di più, con quelli."

"Non ti diverti, ti appassioni, ed è diverso. Sta' attento, quelli ti fanno diventare malato."

"Adesso non esageriamo. Al massimo son malati loro. Non diventi mica matto a fare l'infermiere del manicomio."

"Questo è ancora da dimostrare."

"Sai che ho sempre diffidato delle analogie. Adesso mi trovo in una festa di analogie, una Coney Island, un Primo maggio a Mosca, un Anno Santo di analogie, mi accorgo che alcune sono migliori delle altre e mi chiedo se per caso non ci sia davvero una ragione."

"Pim," mi aveva detto Lia, "ho visto le tue schede, perché le debbo riordinare io. Qualsiasi cosa i tuoi diabolici scoprano è già qui, guarda bene," e si batteva la pancia, i fianchi, le cosce e la fronte. Seduta così, le gambe larghe che tendevano la gonna, frontalmente, sembrava una balia solida e florida – lei così esile e flessuosa – perché una saggezza pacata la illuminava di autorità matriarcale.

"Pim, non ci sono gli archetipi, c'è íl corpo. Dentro la pancia è bello, perché ci cresce il bambino, si infila il tuo uccellino tutto allegro e scende il cibo buono saporito, e per questo sono belli e importanti la caverna, l'anfratto, il cunicolo, il sotterraneo, e persino il labirinto che è fatto come le nostre buone e sante trippe, e quando qualcuno deve inventare qualcosa di importante lo fa venire di lì, perché sei venuto di lì anche tu il giorno che sei nato, e la fertilità è sempre in un buco, dove qualcosa prima marcisce e poi ecco là, un cinesino, un dattero, un baobab. Ma alto è meglio che basso, perché se stai a testa in giù ti viene il sangue alla testa, perché i piedi puzzano e i capelli meno, perché è meglio salire su un albero a coglier frutti che finire sottoterra a ingrassare i vermi, perché raramente ti fai male toccando in alto (devi essere proprio in solaio) e di solito ti fai male cascando verso il basso, ed ecco perché l'alto è angelico e il basso diabolico. Ma siccome è anche vero quel che ho detto prima sulla mia pancina, sono vere tutte e due le cose, è bello il basso e il dentro, in un senso, e nell'altro è bello l'alto e il fuori, e non c'entra lo spirito di Mercurio e la contraddizione universale. Il fuoco tiene caldo e il freddo ti fa venire la broncopolmonite, specie se sei un sapiente di quattromila anni fa, e dunque il fuoco ha misteriose virtù, anche perché ti cuoce il pollo. Ma íl freddo conserva lo stesso pollo e il fuoco se lo tocchi ti fa venire una vescica grossa così, quindi se pensi a una cosa che si conserva da millenni, come la sapienza, devi pensarla su un monte, in alto (e abbiam visto che è bene), ma in una caverna (che è altrettanto bene) e al freddo eterno delle nevi tibetane (che è benissimo). E se poi vuoi sapere perché la sapienza viene dall'oriente e non dalle Alpi svizzere, è perché il corpo dei tuoi antenati alla mattina, quando si svegliava che era ancora buio, guardava a est sperando che sorgesse il sole e non piovesse, governo ladro."


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 31 | Нарушение авторских прав



mybiblioteka.su - 2015-2024 год. (0.027 сек.)