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Il pendolo di Foucault 10 страница

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"Certo, e non pensi che io pensi che i Templari... Suvvia, erano uomini d'arme, a noi uomini d'arme piacciono le belle donne, anche se avevano pronunciato i voti l'uomo è uomo. Ma ricordo questo perché non credo che sia un caso che in un ambiente templare abbiano trovato rifugio eretici catari, e in ogni caso i Templari avevano imparato da loro come si usavano i sotterranei."

"Ma insomma," disse Belbo, " le sue sono ancora solo ipotesi..."

"Ipotesi di partenza. Le ho detto le ragioni per cui mi sono messo a esplorare Provins. Adesso veniamo alla storia vera e propria. Al centro di Provins c'è un grande edificio gotico, la Grange-aux-Dîmes, il granaio delle decime, e loro sanno che uno dei punti di forza dei Templari era che essi raccoglievano direttamente le decime senza dover nulla allo stato. Sotto, come dappertutto, una rete di sotterranei, oggi in pessimo stato. Bene, mentre frugavo negli archivi di Provins, mi capita tra le mani un giornale locale del 1894. Vi si racconta che due dragoni, i cavalieri Camille Laforge di Tours e Edouard Ingolf di Pietroburgo (proprio così, di Pietroburgo), stavano visitando alcuni giorni prima la Grange con il guardiano, ed erano discesi in una delle sale sotterranee, al secondo piano sotto la superficie del suolo, quando il guardiano, per dimostrare che esistevano altri piani soggiacenti, picchiò col piede per terra e si sentirono echi e rimbombi. Il cronista loda gli ardimentosi dragoni che si muniscono di lanterne e corde, entrano in chissà quali gallerie come fanciulli in miniera, strisciando sui gomiti, e si insinuano per misteriosi condotti. E arrivano, dice il giornale, ad una grande sala, con un bel camino, e un pozzo al centro. Calano una corda con una pietra e scoprono che il pozzo è profondo undici metri... Tornano una settimana dopo con delle orde più robuste, e mentre gli altri due tengono la corda, Ingolf si cala nel pozzo e scorge una grande camera dalle pareti di pietra, dieci metri per dieci, e alta cinque. A turno scendono anche gli altri due, e si rendono conto di essere al terzo piano sotto la superficie del suolo, a trenta metri di profondità. Cosa vedano e facciano i tre in quella sala non si sa. Il cronista confessa che quando si è recato a controllare sul posto, non ha avuto la forza di calarsi nel pozzo. La storia mi eccitò, e mi venne voglia di visitare il posto. Ma dalla fine del secolo scorso a oggi molti sotterranei erano crollati, e se pure quel pozzo era mai esistito, chissà dove si trovava ora. Mi balenò per il capo che i dragoni avessero trovato laggiù qualche cosa. Avevo letto proprio in quei giorni un libro sul segreto di Rennesle-Chàteau, anche quella una vicenda in cui in qualche modo c'entrano i Templari. Un curato senza soldi e senza avvenire, mentre procede al restauro di una vecchia chiesa in un paesino di duecento anime, alza una pietra del pavimento del coro e trova un astuccio con manoscritti antichissimi, dice. Solo manoscritti? Non si sa bene che cosa succede, ma negli anni che seguono costui diventa immensamente ricco, spende e spande, conduce vita dissipata, va sotto processo ecclesiastico... E se a uno dei dragoni o a entrambi fosse accaduto qualche cosa di simile? Ingolf scende per primo, trova un oggetto prezioso di dimensioni ridotte, lo nasconde sotto la giubba, risale, non dice nulla agli altri due... Insomma, sono cocciuto, e se non fosse stato sempre così avrei avuto una vita diversa." Si era sfiorato la cicatrice con le dita. Poi si era portato le mani alle tempie, muovendole verso la nuca, per assicurarsi che i capelli aderissero a dovere.

"Vado a Parigi ai telefoni centrali e controllo sulle guide di tutta la Francia alla ricerca di una famiglia Ingolf. Ne trovo una sola, ad Auxerre, e scrivo presentandomi come uno studioso di cose archeologiche. Due settimane dopo ricevo la risposta da una vecchia levatrice: è la figlia di quell'Ingolf, ed è curiosa di sapere perché mi interessi a lui, anzi mi domanda se per amor di dio ne so qualcosa... Lo dicevo che c'era sotto un mistero. Mi precipito ad Auxerre, la signorina Ingolf vi in una casetta tutta coperta di edera, un cancellano di legno chiuso da una funicella e un chiodo. Una signorina attempata, linda, gentile, di scarsa cultura. Mi chiede subito che cosa so di suo padre e io le dico che so solo che un giorno è sceso in un sotterraneo a Provins, e che sto scrivendo un saggio storico su quella zona. Lei cade dalle nuvole, mai saputo che suo padre fosse stato a Provins. Era stato nei dragoni, certo, ma aveva lasciato il servizio nel '95, prima che lei nascesse. Aveva comperato quella casetta ad Auxerre, e nel '98 aveva sposato una ragazza del luogo, con qualche cosa di suo. La madre era morta nel 1915 quando lei aveva cinque anni. Quanto al padre era scomparso nel 1935. Scomparso, letteralmente. Era partito per Parigi, come faceva almeno due volte all'anno, e non aveva più dato notizie di sé. La gendarmeria locale aveva telegrafato a Parigi: volatilizzato. Dichiarazione di morte presunta. E così la nostra signorina era rimasta sola e si era messa a lavorare, perché l'eredità paterna non era gran che. Evidentemente non aveva trovato un marito, e dai sospiri che fece ci doveva essere stata una storia, la sola della sua vita, che era finita male. 'E sempre con questa angoscia, con questo rimorso continuo, monsieur Ardenti, di non sapere nulla del povero papà, neppure dove sia la sua tomba, se pur c'è da qualche parte.' Aveva voglia di parlare di lui: tenerissimo, tranquillo, metodico, così colto. Passava le giornate in un suo studiolo lassù in mansarda, a leggere e scrivere. Per il resto, una zappettata in giardino e due chiacchiere col farmacista - morto anche lui ormai. Ogni tanto, come aveva detto, un viaggio a Parigi, per affari, così si esprimeva. Ma tornava sempre con qualche pacco di libri. Lo studiolo ne era ancora pieno, volle farmeli vedere. Salimmo. Una cameretta ordinata e pulita, che la signorina Ingolf spolverava ancora una volta alla settimana, alla mamma poteva portare i fiori al cimitero, per il povero papà poteva fare solo questo. Tutto come l'aveva lasciato lui, le sarebbe piaciuto aver studiato per poter leggere quelle sue cose, ma era tutta roba in francese antico, in latino, in tedesco, persino in russo, perché il papà era nato e aveva passato l'infanzia laggiù, era figlio di un funzionario dell'ambasciata francese. La biblioteca conteneva un centinaio di volumi, la maggior parte (ed esultai) sul processo dei Templari, per esempio i Monumens historiques relatifs à la condamnation des chevaliers du Tempie, di Raynouard, del 1813, un pezzo d'antiquariato. Molti volumi su scritture segrete, una vera e propria collezione da crittologo, alcuni volumi di paleografia e diplomatica. C'era un registro con vecchi conti, e come lo sfogliai trovai una nota che mi fece sobbalzare: concerneva la vendita di un astuccio, senza altre precisazioni, e senza il nome dell'acquirente. Non si menzionavano cifre, ma la data era del 1895, e subito dopo seguivano conti precisi, il libro mastro di un signore prudente che amministra con oculatezza il suo gruzzolo. Alcune note sull'acquisto di libri da antiquari parigini. La meccanica della vicenda mi diventava chiara: Ingolf trova nella cripta un astuccio d'oro incrostato di pietre preziose, non ci pensa sopra un momento, se lo infila nella casacca, risale e non apre bocca coi compagni. A casa vi trova dentro una pergamena, mi pare evidente. Va a Parigi, contatta un antiquario, uno strozzino, un collezionista, e con la vendita dell'astuccio, sia pure sottocosto, diventa quantomeno agiato. Ma fa di più, lascia il servizio, si ritira in campagna e incomincia ad acquistare libri e a studiare la pergamena. Forse c'è già in lui il cercatore di tesori, altrimenti non sarebbe andato per sotterranei a Provins, probabilmente ha abbastanza cultura per decidere che può decifrare da sé quanto ha trovato. Lavora tranquillo, senza preoccupazioni, da buon monomane, per più di trent'anni. Racconta a qualcuno delle sue scoperte? Chissà. Fatto sta che nel 1935 deve sentirsi arrivato a buon punto oppure, al contrario, a un punto morto, perché decide di rivolgersi a qualcuno, o per dirgli ciò che sa o per farsi dire ciò che non sa. Ma ciò che egli sa deve essere così segreto, e terribile, che il qualcuno a cui si rivolge lo fa scomparire. Ma torniamo alla mansarda. Per intanto bisognava vedere se Ingolf aveva lasciato qualche traccia. Dissi alla buona signorina che forse, esaminando i libri del padre, avrei trovato qualche traccia di quella sua scoperta di Provins, e nel mio saggio avrei dato ampia testimonianza di lui. Lei ne fu entusiasta, povero papà suo, mi disse che potevo restare per tutto il pomeriggio, e tornare il giorno dopo se fosse stato necessario, mi portò un caffè, mi accese le luci, e se ne tornò in giardino lasciandomi padrone della piazza. La camera aveva pareti lisce e bianche, non presentava stipi, scrigni, anfratti dove potessi frugare, ma non trascurai nulla, guardai sopra, sotto e dentro ai pochi mobili, in un armadio quasi vuoto con qualche abito imbottito solo di naftalina, rivoltai quei tre o quattro quadri con stampe di paesaggio. Risparmio loro i particolari, dico solo che lavoraí bene, l'imbottitura dei divani non va solo tastata, occorre anche infilarvi degli aghi per sentire se non si incontrano corpi estranei...»

Capii che il colonnello non aveva frequentato solo campi di battaglia.

"Mi rimanevano i libri, in ogni caso era bene annotarmi i titoli, e con trollare se non ci fossero appunti a margine, sottolineature, qualche indizio... E finalmente presi malamente in mano un vecchio volume dalla rilegatura pesante, quello cadde, e ne fuoriuscì un foglio scritto a mano. Dal tipo di carta da quaderno e dall'inchiostro, non pareva molto antico, poteva essere stato scritto negli ultimi anni della vita di Ingolf. Lo scorsi appena, abbastanza per leggervi un'annotazione a margine: "Provins 1894." Immagineranno la mia emozione, l'onda di sentimenti che mi assalì... Capii che Ingolf era andato a Parigi con la pergamena originale, ma quel foglio ne costituiva la copia. Non esitai. La signorina Ingolf aveva spolverato quei libri per anni, ma non aveva mai individuato quel foglio, altrimenti me ne avrebbe parlato. Bene, avrebbe continuato a ignorrarlo. Il mondo si divide tra vinti e vincitori. Avevo avuto a suffidenza la mia parte di sconfitta, ora dovevo afferrare la vittoria per i capelli. Presi il foglio e me lo misi in tasca. Mi accomiatai dallasignorina dicendole che non avevo trovato nulla di interessante, ma che avrei citato suo padre, se avessi scritto qualcosa, e lei mi benedì. Signori, un uomod'azione, e bru ciato da una passione come quella che mi bruciava, non deve farsi troppi scrupoli di fronte al grigiore di un essere che il destino ha ormai consumato."

"Non si giustifichi," disse Belbo "Lo ha fatto. Ora dica."

"Ora mostro a lor signori quel testo. Mi consentiranno di esibire una fotocopia. Non per diffidenza. Per non sottoporre a usura l'originale.'

"Ma quello di Ingolf non era l'originale," dissi. "Era la sua copia di un presunto originale."

"Signor Casaubon, quando gli originali non ci sono più, l'ultima copia è l'originale. "

"Ma Ingolf potrebbe aver trascritto male."

"Lei non sa se è così. E io so che la trascrizione di Ingolf dice la verità, perché non vedo come la verità potrebbe essere altrimenti. Quindi la copia di Ingolf è l'originale. Siamo d'accordo su questo punto, o ci mettiamo a fare giochini da intellettuali?"

"Li odio, " disse Belbo. "Vediamo la sua copia originale."
19

Dopo Besujeu l'Ordine non ha mai cessato un istante di sussistere e noi conosciamo dopo Aumont una sequenzaininterrotta di Grandi Maestri dell'ordine sino ai giorni nostri e, se il nome e la sede del vero Gran Maestro e dei veri Superiori che reggono l'Ordine e dirigono oggi i suoi sublimi lavori è un mistero cheè conosciuto solo dai veri illuminati, tenuto in un segreto impenetrabile, è perché l'ora dell'Ordine non è ancora venuta e i tempi non si sono compiuti..

(Manoscritto del 1760, in G.A. Schiffmann, Die Entstehung der Rittergrade in der Freimauerei um die Mitre des XVIII Jahrhunderts, Lipsia, Zeche1,1882, pp. 178-190)

 

Fu il nostro primo, remoto contatto con il Piano. Quel giorno avrei potuto esseie altrove. Se quel giorno non fossi stato nell'ufficio di Belbo ora sarei... a Samarcanda a vendere semi di sesamo, a fare l'editor di una collana in Braille, a dirigere la First National Bank nella Terra di Francesco Giuseppe? I condizionali controfattuali sono sempre veri perché la premessa è falsa. Ma quel giorno ero là, e per questo ora sono dove sono.

Con gesto teatrale il colonnello ci aveva mostrato il foglio. Ce l’ho ancora qui, tra le mie carte, in una cartellina di plastica, più giallo e sbiadito di quanto non fosse allora, su guella, carta termica che si usava in quegli anni. Erano in realtà due testi, il primo fitto, che occupava la prima metà della pagaia, e secondo diviso nei suoi versicoli mutilati...

Il primo testo era una sorta di litania demoniaca, una parodia di lingua semitica:

 

Kuabris Defrabaac Rexulon Ukkazaal Ukzaab Urpaef el Taculbain.ilpbrak HacoruiM Maquaf el Tebrain Hmcatuin Rokasor Himesor Arpa/Al Kaquaan Docrabax Reisriz Reisabrax Decaiquan Oiquaquil Zaitabor Qaxaop Dugrwq Xaelobran Dúaeda Mag suon Raitak Huidal Uscolda Arabaom Zipreus Mea crim Cosmae Duquifiu Rocarbis

 

"Non è perspicuo," osservò Belbo.

"No, vero?" acconsentì con malizia il colonnello. "E ci avrei perso la vita sopra se un giorno, quasi per caso, non avessi trovato su una bancarella un libro su Trumio e non mi fossero caduti gli occhi su uno dei suoi messaggi in cifra: `Patnersiel Qshurmy Delmuson Thafloyn.,..' Avevo trovato una traccia, e la seguii sino in fondo. Tritemio per me era uno sconosciuto, ma a Parigi ritrovai un'edizione della sua Steganographia, hoc est ars per occultam scripturam animi sui voluntatem absentibus aperiendi certa, Francoforte 1606. L'arte di aprire attraverso occulta scrittura il proprio animo alle persone lontane. Personaggio affascinante, questo Tritemio. Abate benedettino di Spannheim, vissuto tra Quattro e Cinquecento, un dotto che sapeva di ebraico e di caldaico, di lingue orientali come il tartaro, in contatto con teologi, cabalisti, alchimisti, certamente col grande Cornaelio Agrippa di Nettesheim e forse con Paracelso... Tritemio maschera le sue rivelazioni sulle scritture segrete con fumisterie negromantiche, dice che bisogna inviare messaggi cifrati del tipo di quello che avete sotto gli occhi, e poi il destinatario dovrà evocare angeli come Pamersiel, Padiet, Dorothiel e così via, i quali lo aiuteranno a comprendere il messaggio vero. Ma gli esempi che fornisce sono sovente messaggi militari, e il libro è dedicato al conte palatino e duca di Baviera Filippo, e costituisce uno dei primi esempi di serio lavoro crittografico, cose da servizi segreti.»

"Mi scusi," domandai, "ma se ho ben capito Tritemio è vissuto almeno cent'anni dopo la stesura del manoscritto di cui ci stiamo occupando... "

"Ttiteirtio era affiliato a una Sodalitas Celtica, in cui ci si occupava di filosofia, astrologia, matematica pitagorica. Colgono il nesso? I Templari sono un ordine iniziatico che si rifà anche alla sapienza degli antichi celti, è ormai ampiamente provato. Per qualche via Tritemio apprende gli stessi sistemi crittografici usati dai Templari.»

"Impressionante, " disse Belbo. "E la trascrizione del messaggio se-greto, che cosa dice?"

"Calma, signori. Tritemio presenta quaranta criptosistemi maggiori e dieci minori. Sono stato fortunato, ovvero i Templari di Provins non si erano spremuti troppo le meningi, sicuri che nessuno avrebbe indovinato la loro chiave. Ho provato subito col Primo dei quaranta criptosistemi maggiori e ho fatto l'ipotesi che in questo testo continuo solo le iniziali.»

Belbo chiese il foglio e lo scorse: "Ma anche così ne esce una sequenza senza senso: kdruuuth..."

"Naturale, " disse con condiscendenza il colonnello. "I Templari non si erano spremuti troppo le meningi, ma non erano neppure troppo pigri. Questa prima sequenza è a sua volta un altro messaggio cifrato, e io ho subito pensato alla seconda serie dei dieci criptosistemi. Vedono, per questa seconda serie Tritemio usava delle rotule, e quella del primo criptosistona è questa...»

Trasse dalla sua cartella un'altra fotocopia, avvicinò la sedia al tavolo e ci fece seguire la sua dimostrazione toccando le lettere con la stilografica chiusa.

 

 

"È il sistema più semplice. Considerino solo il cerchio esterno. Per ogni lettera del messaggio in chiaro si sostituisce la lettera che precede. Per A si scrive Z, per B si scrive A e così via. Cose da fanciulli per un agente segreto, oggi, ma a quei tempi era considerata una stregoneria. Naturalmente per decifrare si segue la via inversa, e si sostituisce ogni lettera del cifrato con la lettera che segue. Ho provato, certo sono stato fori. tunato a riuscire al primo tentativo, ma ecco la soluzione.» Trascrisse: "Lea XXXVI invisibles separez en six bandes, i trentasei invisibili divisi in sei gruppi.

"E che cosa significa?"

"A prima vista nulla. Si, tratta di una sorta di intestazione, di costituzione di un gruppo, scritta in lingua segreta per ragioni rituali. Poi, per il resto nostri Templari, sicuri che stavano collocando il loro messaggio in un penetrale inviolabile, si sono limitati al francese del quattordicesimo secolo. Vediamo infatti il secondo testo."

 

a la… Saint Jean

36 p charrete de fein

6… entiers avec saiel

p… les bianca mantiax

r… s… chevaliers de Pruina pour la… j. Nc.

6 foiz 6 en 6 places

chascune foiz 20 a… 120 a…

iceste est l'ordonation

al donjon li premiers

it li secunz joste iceus qui… pans

it al refuge

it a Nostre Dame de l'altre part de l’iau

it a Fostel des popelicans

it a la pierre

3 foiz 6 avant la feste... la Grant Pute.

 

"E questo sarebbe il messaggio non cifrato?" chiese Belbo, deluso e divertlto.

"È evidente che nella trascrizione di Ingolf i puntini rappresentano delle parole illeggibili, degli spazi dove la pergamena era corrosa... Ma ecco qui la mia trascrizione finale dove, per congetture che mi permetteranno di definire lucide e inattaccabili, restituisco il testo al suo antico splendore - come si suol dire.»

Voltò con gesto da prestidigitatore la fotocopia e ci mostrò dei suoi appunti astampatello.

LA (NOTTE DI) SAN GIOVANNI

36 (ANNI) P(OST) LA CARRETTA DI FIENO

6 (MESSAGGI) INTATTI CON SIGILLO

P(ER I CAVALIERI DAI) BIANCHI MANTELLI [I TEMPLARI]

R(ELAP)S(I) DI PROVINS PERLA (VAIN)JANCE [VENDETTA]

6 VOLTE 6 IN SEI LOCALITà

OGNI VOLTA 20 A(NNIFA) 120 A(NNI)

QUESTO A PIANO:

VADANO AL CASTELLO I PRIMI

IT(ERUM) [DI NUOVO DOPO 120 ANNI] I SECONDI RAGGIUNGANO QUELLI (DEL) PANE

DI NUOVO AL RIFUGIO

DI NUOVO A NOSTRA SIGNORA AL DI LÀ DAL FIUME

DI NUOVO ALL'OSTELLO DEI POPELICANT

DI NUOVO ALLA PIETRA

3 VOLTE 6 [666] PRIMA DELLA FESTA (DELLA) GRANDE MERETRICE.

 

"Peggio che andar di notte," disse Belo.

"Certo è ancora tutto da interpretare. Ma Ingolf ci era certamente riuscito, come ci sono riuscito io. È meno oscuro di quanto sembri, per chi conosce la storia dell'ordine."

Pausa. Chiese un bicchiere d'acqua, e continuò a farci seguire il testo, parola per parola.

"Allora: nella notte di San Giovanni, trentasei anni dopo la carretta di fieno. I Templari destinati alla perpetuazione dell'ordine sfuggono alla cattura nel settembre 1307, su una carretta di fieno. A quei tempi l'anno si calcolava da una Pasqua all'altra. Dunque il 130 finisce verso quello che secondo il nostro computo sarebbe la Pasqua del 1308. Provino a calcolare trentasei anni dopo la fine del 1307 (che è la nostra Pasqua 1308) e arriviamo alla Pasqua del 1344. Dopo i trentasei anni fatidici, siamo nel nostro 1344. Il messaggio viene deposto nella cripta in un contenitore prezioso, come suggello, atto notatile di un qualche evento che si è compiuto in quel luogo, dopo la costituzione costituzione dell’ordine segreto, la notte di San Giovanni, e cioè i123 giugno 1344."

"Perché il 1344?"

"Ritengo che dal 1307 a11344 l'ordine segreto si riorganizzi e attenda al progetto di cui la pergamena sancisce l'avvio. Bisognava attendere che le acque si calmassero, che le fila si riannodassero fra i Templari di cinque o sei paesi. D'altra parte i Templari hanno atteso trentasei anni, non trentacinque o trentasette, perché evidentemente il numero 36 aveva per loro valenze mistiche, come ci conferma anche il messaggio cifrato. La somma interna di 36 dà noi, e non c'è bisogno che ricordi loro le significazioni profonde di questa numero."

"Posso?” Era la voce di Diotallevi, che si era introdotto alle nostre spalle, felpato come un Templare di Provins.

"Pane per i tuoi denti," disse Balbo. Lo presentò rapidamente, il il colonnello non ne parve eccessivamente disturbato, dava anzi l’impressione di desiderare un'udienza numerosa e attenta. Continuò a interpretare, e Diotallevi salivava su quelle ghiottonerie numerologiche. Pura Gematria.

"Arriviamo ai sigilli: sei cose intatte con un sigillo. Ingolf trova un astuccio evidentemente chiuso da un sigillo. Per chi è stato sigillato questo astuccio? Per i Mantelli Bianchi, e perciò per i Templari. Ora traviamo nel messaggio una r, alcune lettere cancellate, e una s. Io leggo ‘relapsi’. Perché? Perché sappiamo tutti che i relapsi erano i rei confessi che ritrattavano, e i relapsi hanno giocato un ruolo non indifferente nel processo dei Templari. I Templari di Provins assumono orgogliosamente la loro natura di relapsi. Sono coloro che si dissociano dall'infame commedia del processo. Dunque, si sta parlando di cavalieri di Provins, relapsi, pronti per che cosa? Le poche lettere a nostra disposizione suggeriscono `vainjance', per la vendetta."

"Quale vendetta?"

"Signori! Tutta la mistica templare, dal processo in poi, si incentra intorno al progetto di vendicare Jacques de Molay. Io non tengo in gran conto i riti massonici, ma essi, caricatura borghese della cavalleria templare, ne sono pur sempre un riflesso, per quanto degenerato. E uno dei gradi della massoneria di rito scozzese è quello di Cavaliere Kadosch, in ebraico cavaliere della vendetta."

"Va bene, i Templari si dispongono alla vendetta. E poi?"

"Quanto tempo dovrà prendere questo piano di vendetta? ll messaggio cifrato ci aiuta a capire il messaggio in lingua. Sono richiesti sei cavalieri per sei volte in sei luoghi, trentasei divisi in sei gruppi. Poi si dice ‘Ogni volta venti’, e qui c'è qualcosa che non è chiaro ma che nella trascrizione di Ingolf sembra essere una a. Ciascuna volta venti anni, ne ho dedotto, per sei volte, centoventi anni. Se seguiamo il resto del messaggio troviamo un elenco di sei luoghi, o di sei compiti da svolgere. Si parti di una ‘ordonation’, un piano, un progetto, un procedimento da seguire. E si dice che i primi debbono andare a un donjon o castello, i secondi in un altro posto, e così via sino al sesto. Quindi il documento ci dice che dovrebbero esserci altri sei documenti ancora sigillati, sparsi in luoghi diversi, e mi pare evidente che i sigilli si debbano aprire l'uno dopo l'altro, e a distanza di centoventi anni l'uno dall'altro..."

"Ma perché ogni volta venti anni?" chiese Diotallevi.

"Questi cavalieri della vendetta debbono compiere una missione in un determinato luogo ogni centoventi anni. Si tratta di una forma di staffetta. È chiaro che dopo la notte del 1344 sei cavalieri partono e ciascuno va in uno dei sei posti previsti dal piano. Ma il guardiano del primo sigillo non può certo rimanere in vita per centoventi anni. È da intendersi che ogni guardiano di ogni sigillo deve rimanere in carica venti anni, e poi passare il comando a un successore. Venti anni è un termine ragionevole, sei guardiani per sigillo, per venti anni ciascuno, garantiscono che al centoventesimo anno il custode del sigillo possa leggere un'istruzione, poniamo, e passarla al primo dei guardiani del secondo sigillo. Ecco perché il messaggio si esprime al plurale, vadano i primi colà, vadano secondi costà... Ogni luogo è per così dire controllato, nell'arco di centoventi anni, da sei cavalieri. Facciano il conto, dal primo al sesto luogo ci sono cinque passaggi, che prendono seicento anni. Aggiunga seicento a 1344 e viene fuori 1944. Il che è confermato anche dall'ultima riga. Chiaro come il sole."

"Cioè?»

"L'ultima riga dice ‘tre volte sei prima della festa (della) Grande Meretrice’. Anche qui un gioco numerologico, perché la somma interna di 1944 dà appunto 18. Diciotto è tre volte sei, e questa nuova mirabile coincidenza numerica suggerisce ai Templari un altro sottilissimo enigma. Il 1944 è l'anno in cui deve concludersi il piano: In vista di che cosa? Ma dell'anno duemila! I Templari pensano che il secondo millennio segnerà 1'avvento della loro Gerusalemme, una Gerusalemme terrestre, l'Antigerusalemme. Sono perseguitati come eretici? In odio alla chiesa si identificano con l'Anticristo. Loro sanno che il 666 in tutta la tradizione occulta è il numero della Bestia. Il seicentosessantasei, anno della Bestia, è il duemila in cui trionferà la vendetta templare, l'Antigerusalemme è la Nuova Babilonia, ed ecco perché il 1944 è l'anno del trionfo della Grande Pute, la grande meretrice di Babilonia di cui parla l’Apocalisse! Il riferimento al 666 è una provocazione, una bravata da uomini d'arme. Un'assunzione della diversità, come si direbbe oggi. Bella storia, vero?"

Ci guardava con gli occhi umidi, umide le labbra e i baffi, mentre con le mani accarezzava la sua cartella.

"Va bene," disse Belbo, "qui si tratteggiano le scadenze di un piano. Ma quale?"

"Chiede troppo. Se lo sapessi non avrei bisogno di gettare la mia esca. Ma so una cosa. Che in questo lasso di tempo è accaduto un incidente, e il piano non si è compiuto, altrimenti, mi permetta, lo sapremmo. E posso anche capire perché: il 1944 non è un anno facile, i Templari non potevano sapere che vi sarebbe stata una guerra mondiale che avrebbe reso ogni contatto più difficile.»

"Scusate se m'intrometto," disse Diotallevi, "ma se comprendo bene, una volta aperto il primo sigillo la dinastia dei suoi guardiani non si estingue. Continua sino all'apertura dell'ultimo sigillo, quando si richiederà la presenza di tutti i rappresentanti dell'ordine. E dunque ogni secolo, ovvero ogni centoventi anni, avremmo sempre sei guardiani per ogni luogo, quindi trentasei."

"Esatto," disse Ardenti.

"Trentasei cavalieri per ciascuno dei sei posti, fa 216, la cui somma interna fa 9. E siccome i secoli sono 6, moltiplichiamo 216 per 6 e abbiamo 1296, la cui somma interna fa 18, vale a dire tre per sei, 666." Diotallevi avrebbe forse proceduto alla rifondazione ariamologica della storia universale se Belbo non lo avesse arrestato con un'occhiata, come fanno le madri quando un bambino commette una gaffe. Ma il colonnello stava riconoscendoin Diotallevi un illuminato.

"È splendido quello che lei mi sta mostrando, dottore! Lei sa che nove è il numero dei primi cavalieri che costituirono il nucleo del Tempio a Gerusalemme. "

"Il Grande Nome di Dio, come espresso dal tetragrammaton,'' disse Diotallevi, "è di settantadue lettere, e sette e due fanno nove. Ma le dirò di più, se permette. Secondo la tradizione pitagorica, che la Gabbala riprende (o ispira), la somma dei numeri dispari da uno a sette dà sedici, e la somma dei numeri pari da due a otto dà venti, e venti più sedici fa trentasei."


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 41 | Нарушение авторских прав



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