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Il pendolo di Foucault 5 страница

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"E lei cosa fa?" mi aveva chiesto, ora lo so, con simpatia.

"Nella vita o nel teatro?" dissi, accennando al palcoscenico Pilade. "Nella vita."

"Studio."

"Fa l'università o studia?"

"Non le parrà vero ma le due cose non si contraddicono. Sto finendo una tesi sui Templari.»

"Oh che brutta cosa," disse. "Non è una faccenda per matti?"

"Io studio quelli veri. I documenti del processo. Ma che cosa sa lei sui Templari?"

"Io lavoro in una casa editrice e in una casa editrice vengono savi e matti. Il mestiere del redattore è riconoscere a colpo d'occhio i matti. Quando uno tira in ballo i Templari è quasi sempre un matto."

"Non me lo dica. II loro nome è legione. Ma non tutti i matti parleranno dei Templari. Gli altri come li riconosce?"

"Mestiere. Adesso le spiego, lei che è giovane. A proposito, come si chiama?"

"Casaubon."

"Non era un personaggio di Middlemarch?"

"Non so. In ogni caso era anche un filologo del Rinascimento, credo. Ma non siamo parenti."

"Sarà per un'altra volta. Beve ancora una cosa? Altri due, Pilade, grazie. Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti."

"Avanza qualcosa?"

"Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io. Ma in-somma, chiunque, a ben vedere, partecipa di una di queste categorie. Ciascuno di noi ogni tanto è cretino, imbecille, stupido o matto. Diciamo che la persona normale è quella che mescola in misura ragionevole tutte queste componenti, questi tipi ideali."

"Idealtypen."

"Bravo. Sa anche il tedesco?"

"Lo mastico per le bibliografie."

"Ai miei tempi chi sapeva il tedesco non si laureava più. Passava la vita a sapere il tedesco. Credo che oggi succeda col cinese."

"Io non lo so abbastanza, così mi laureo. Ma torni alla sua tipologia. Cos'è il genio, Einstein, per dire?"

"Il genio è quello che fa giocare una componente in modo vertiginoso, nutrendola con le altre." Bevve. Disse: "Buonasera bellissima. Hai ancora tentato il suicidio?"

"No," rispose la passante, "ora sono in un collettivo."

"Brava," le disse Belbo. Ritornò a me: "Si possono fare anche suicidi collettivi, non crede?"

"Ma i matti?"

"Spero non abbia preso la mia teoria per oro colato. Non sto mettendo a posto l'universo. Sto dicendo cosa è un matto per una casa editrice. La teoria è ad hoc, va bene?"

"Va bene. Adesso offro io."

"Va bene. Pilade, per favore meno ghiaccio. Se no entra subito in circolo. Allora. Il cretino non parla neppure, sbava, è spastico. Si pianta il gelato sulla fronte, per mancanza di coordinamento. Entra nella porta girevole per il verso opposto."

"Come fa?"

"Lui ci riesce. Per questo è cretino. Non ci interessa, lo riconosci subito, e non viene nelle case editrici. Lasciamolo lì."

"Lasciamolo."

"Essere imbecille è più complesso. È un comportamento sociale. L'imbecille è quello che parla sempre fuori del bicchiere."

"In che senso?"

"Così." Puntò l'indice a picco fuori del suo bicchiere, indicando il banco. "Lui vuole parlare di quello che c'è nel bicchiere, ma com'è come non è, parla fuori. Se vuole, in termini comuni, è quello che fa la gaffe, che domanda come sta la sua bella signora al tipo che è stato appena abbandonato dalla moglie. Rendo l'idea?""Rende. Ne conosco."

"L'imbecille è molto richiesto, specie nelle occasioni mondane. Mette tutti in imbarazzo, ma poi offre occasioni di commento. Nella sua forma positiva, diventa diplomatico. Parla fuori del bicchiere quando la gaffe l'hanno fatta gli altri, fa deviare i discorsi. Ma non ci interessa, non è mai creativo, lavora di riporto, quindi non viene a offrire manoscritti nelle case editrici. L'imbecille non dice che il gatto abbaia, parla del gatto quando gli altri parlano del cane. Sbaglia le regole di conversazione e quando sbaglia bene è sublime. Credo che sia una razza in via di estinzione, è un portatore di virtù eminentemente borghesi. Ci vuole un sa-lotto Verdurin, o addirittura casa Guermantes. Leggete ancora queste cose voi studenti?"

"Io sì."

"L'imbecille è Gioacchino Murat che passa in rassegna i suoi ufficiali e ne vede uno, decoratissimo, della Martinica. `Vous étes nègre?' gli do-manda. E quello: `Otri mon général!' E Murat: `Bravò, bravò, continuez!' E via. Mi segue? Scusi ma questa sera sto festeggiando una decisione storica della mia vita. Ho smesso di bere. Un altro? Non risponda, mi fa sentir colpevole. Pilade!"

"E lo stupido?"

"Ah. Lo stupido non sbaglia nel comportamento. Sbaglia nel ragionamento. È quello che dice che tutti i cani sono animali domestici e tutti i cani abbaiano, ma anche i gatti sono animali domestici e quindi abbaiano. Oppure che tutti gli ateniesi sono mortali, tutti gli abitanti del Pireo sono mortali, quindi tutti gli abitanti del Pireo sono ateniesi."

"Che è vero."

"Sì, ma per caso. Lo stupido può anche dire una cosa giusta, ma per ragioni sbagliate."

"Si possono dire cose sbagliate, basta che le ragioni siano giuste."

"Perdio. Altrimenti perché faticare tanto ad essere animali razionali?"

"Tutte le grandi scimmie antropomorfe discendono da forme di vita inferiori, gli uomini discendono da forme di vita inferiori, quindi tutti gli uomini sono grandi scimmie antropomorfe."

"Abbastanza buona. Siamo già sulla soglia in cui lei sospetta che qualche cosa non quadri, ma ci vuole un certo lavoro per dimostrare cosa e perché. Lo stupido è insidiosissimo. L'imbecille lo riconosci subito (per non parlare del cretino), mentre lo stupido ragiona quasi come te, salvo uno scarto infinitesimale. E un maestro di paralogismi. Non c'è salvezza per il redattore editoriale, dovrebbe spendere un'eternità. Si pubblicano molti libri di stupidi perché di primo acchito ci convincono. Il redattore editoriale non è tenuto a riconoscere lo stupido. Non lo fa l'accademia delle scienze, perché dovrebbe farlo l'editoria?"

"Non lo fa la filosofia. L'argomento ontologico di sant'Anselmo è stupido. Dio deve esistere perché posso pensarlo come l'essere che ha tutte le perfezioni, compresa l'esistenza. Confonde l'esistenza nel pensiero con l'esistenza iella realtà."

"Sì, ma è stupida anche la confutazione di Gaunilone. Io posso pensare a un'isola nel mare anche se quell'isola non c'è. Confonde il pensiero del contingente col pensiero del necessario."

"Una lotta tra stupidi."

"Certo, e Dio si diverte come un pazzo. Si è voluto impensabile solo per dimostrare che Anselmo e Gaunilone erano stupidi. Che scopo sublime per la creazione, che dico, per l'atto stesso in virtù del quale Dio si vuole. Tutto finalizzato alla denunzia della stupidità cosmica."

"Siamo circondati da stupidi."

"Non si scappa. Tutti sono stupidi, tranne lei e me. Anzi, non per offendere, tranne lei."

"Mi sa che c'entra la prova di Gddel."

"Non lo so, sono cretino. Pilade!"

"Ma il giro è mio."

"Poi dividiamo. Epimenide cretese dice che tutti i cretesi sono bugiardi. Se lo dice lui che è cretese, e i cretesi li conosce bene, è vero." "Questo è stupido."

"San Paolo. Lettera a Títo. Ora questa: tutti coloro che pensano che Epimenide sia bugiardo non possono che fidarsi dei cretesi, ma i cretesi non si fidano dei cretesi, pertanto nessun cretese pensa che Epimenide sia bugiardo."

"Questo è stupido o no?"

"Veda lei. Le ho detto che è difficile individuare lo stupido. Uno stupido può prendere anche il premio Nobel."

"Mi lasci pensare.... Alcuni di coloro che non credono che Dio abbia creato il mondo in sette giorni non sono fondamentalisti, ma alcuni fondamentalisti credono che Dio abbia creato il mondo in sette giorni, per-tanto nessuno che non creda che Dio abbia creato il mondo in sette giorni è fondamentalista. È stupido o no?"

"Dio mio – è il caso di dirlo... Non saprei. Lei che dice?"

"Lo è in ogni caso, anche se fosse vero. Viola una delle leggi del sillogi smo. Non si possono trarre conclusioni universali da due particolari." "E se lo stupido fosse lei?"

"Sarei in buona e secolare compagnia."

"Eh sì, la stupidità ci circonda. E forse per un sistema logico diverso dal nostro, la nostra stupidità è la loro saggezza. Tutta la storia della logica consiste nel definire una nozione accettabile di stupidità. Troppo immenso. Ogni grande pensatore è lo stupido di un altro."

"Il pensiero come forma coerente di stupidità."

"No. La stupidità di un pensiero è l'incoerenza di un altro pensiero." "Profondo. Sono le due, tra poco Pilade chiude e non siamo arrivati ai matti."

"Ci arrivo. Il matto lo riconosci subito. È uno stupido che non conosce i trucchi. Lo stupido la sua tesi cerca di dimostrarla, ha una logica sbilenca ma ce l'ha. II matto invece non si preoccupa di avere una logica, procede per cortocircuiti. Tutto per lui dimostra tutto. Il matto ha una idea fissa, e tutto quel che trova gli va bene per confermarla. Il matto lo riconosci dalla libertà che si prende nei confronti del dovere di prova, dalla disponibilità a trovare illuminazioni. E le parrà strano, ma íl matto prima o poi tira fuori i Templari."

"Sempre?"

"Ci sono anche i matti senza Templari, ma quelli coi Templari sono i più insidiosi. All'inizio non li riconosci, sembra che parlino in modo normale, poi, di colpo..." Accennò a chiedere un altro whisky, ci ripensò e domandò il conto. "Ma a proposito dei Templari. L'altro giorno un tizio mi ha lasciato un dattiloscritto sull'argomento. Credo proprio che sia un matto, ma dal volto umano. Il dattiloscritto incomincia in modo pacato. Vuole darci un'occhiata?"

"Volentieri. Potrei trovarci qualcosa che mi serve."

"Non credo proprio. Ma se ha mezz'ora libera faccia un salto da noi. Via Sincero Renato numero uno. Servirà più a me che a lei. Mi dice subito se le sembra un lavoro attendibile."

"Perché si fida di me?"

"Chi le ha detto che mi fido? Ma se viene mi fido. Mi fido della curiosità."

Entrò uno studente, col volto alterato: "Compagni, ci sono i fascisti lungo il Naviglio, con le catene!"

"Io li sprango," disse quello coi baffi alla tartara che mi aveva minacciato sproposito di Lenin. "Andiamo compagni!" Tutti uscirono. "Che si fa? Andiamo?" chiesi, colpevolizzato.

"No," disse Belbo. "Sono allarmi che fa mettere in giro Pilade per sgombrare il locale. Per essere la prima sera che smetto di bere, mi sento alterato. Dev'essere la crisi di astinenza. Tutto quello che le ho detto, sino a quest'istante compreso, è falso. Buonanotte, Casaubon."
11

La sua sterilità era infinita. Partecipava dell'estasi.

(E.M. Cioran, Le mauvais demiurge, Paris, Gallimard, 1969, "Pensées étranglées")

 

La conversazione da Pilade mi aveva offerto, di Belbo, il volto esterno. Un buon osservatore avrebbe potuto intuire la natura melanconica del suo sarcasmo. Non posso dire che fosse una maschera. Forse maschera erano le confidenze a cui si abbandonava in segreto. Il suo sarcasmo rappresentato in pubblico in fondo rivelava la sua melanconia più vera, che in segreto egli cercava di celare a se stesso, mascherandola con una melanconia di maniera.

Vedo ora questo file, dove in fondo tentava di romanzare quello che del suo mestiere mi avrebbe detto il giorno dopo alla Garamond. Vi ritrovo la sua acribia, la sua passione, la sua delusione di redattore che scrive per interposta persona, la sua nostalgia di una creatività mai realizzata, il suo rigore morale che lo obbligava a punirsi perché desiderava ciò a cui non sentiva di avere diritto, dando del suo desiderio una immagine patetica e oleografica. Non ho mai trovato qualcuno che sapesse compiangersi con tanto disprezzo.

 

 

filename: Jim della Canapa

Vedere domani il giovane Cinti.

1. Bella monografia, rigorosa, forse un po' troppo accademica.

2. Nella conclusione, il paragone tra Catullo, i poetae novi e le avanguardie contemporanee è la cosa più geniale.

3. Perché no come introduzione?

4. Convincerlo. Dirà che questi colpi di testa in una collana filologica non si fanno. E condizionato dal maestro, rischia di perdersi la prefazione e di giocarsi la carriera. Un'idea brillante nelle ultime due pagine passa inosservata, ma all'inizio non sfugge, e può irritare i baroni.

5. Ma basta metterla in corsivo, sotto forma di discorso disteso, fuori dalla ricerca vera e propria, così l'ipotesi rimane solo un'ipotesi e non compro-mette la serietà del lavoro. Però i lettori saranno subito conquistati, affronteranno il libro in una prospettiva diversa.

Ma sto spingendolo dawero a un gesto di libertà, oppure sto usandolo per scrivere il mio libro?

Trasformare i libri con due parole. Demiurgo sull'opera altrui. Invece di prendere della creta molle e di plasmarla, piccoli colpi alla creta indurita in cui qualcun altro ha già scolpito la statua. Mosè, dargli la martellata giusta, e quello parla.

Ricevere Guglielmo S.

- Ho visto il suo lavoro, non c'è male. C'è tensione, fantasia, drammaticità. E la prima volta che scrive?

- No, ho già scritto un'altra tragedia, è la storia di due amanti veronesi che...

- Ma parliamo di questo lavoro, signor S. Mi stavo chiedendo perché lo si-tua in Francia. Perché non in Danimarca? Dico per dire, e non ci vuoi molto, basta cambiare due o tre nomi, il castello di Chàlons-sur-Marne che diventa, diciamo, il castello di Elsinore... È che in un ambiente nordico, protestante, dove aleggia l'ombra di Kierkegaard, tutte queste tensioni esistenziali...

- Forse ha ragione.

- Credo proprio. E poi il suo lavoro avrebbe bisogno di qualche scorcio stilistico, non più di una ripassatina, come quando il barbiere dà gli ultimi tocchi prima di piazzarle lo specchio dietro la nuca... Per esempio lo spettro paterno. Perché alla fine? lo lo sposterei all'inizio. In modo che il monito del padre domini subito il comportamento del giovane principe e lo metta in conflitto con la madre.

- Mi pare una buona idea, si tratta solo di spostare una scena.

- Appunto. E infine lo stile. Prendiamo un brano a caso, ecco, qui dove il ragazzo viene al proscenio e inizia questa sua meditazione sull'azione e sul-l'inazione. Il brano è bello, dawero, ma non lo sento abbastanza nervoso. "Agire o non agire? Tale la mia angosciata domanda! Debbo sopportare le offese di una sorte nemica oppure..." Perché la mia angosciata domanda? Io gli farei dire questa è la questione, questo è il problema, capisce, non il suo problema individuale ma la questione fondamentale dell'esistenza. L'alternativa fra l'essere e il non essere, per dire...

 

Popolare il mondo di figli che andranno sotto un altro nome, e nessuno saprà che sono tuoi. Come essere Dio in borghese. Tu sei Dio, giri per la città, senti la gente che parla di te, e Dio qua e Dio là, e che mirabile uni-verso è questo, e che eleganza la gravitazione universale, e tu sorridi sotto i baffi (bisogna girare con una barba finta, oppure no, senza barba, perché dalla barba Dio lo riconosci subito), e dici fra te e te (il solipsismo di Dio è drammatico): "Ecco, questo sono io e loro non lo sanno." E qualcuno ti urta per strada, magari ti insulta, e tu umile dici scusi, e via, tanto sei Dio e se tu volessi, uno schiocco di dita, e il mondo sarebbe cenere. Ma tu sei così infinitamente potente da permetterti di esser buono.

Un romanzo su Dio in incognito. Inutile, se l'idea è venuta a me dev'essere già venuta a qualcun altro.

Variante. Tu sei un autore, non sai ancora quanto grande, colei che amavi ti ha tradito, la vita per te non ha più senso e un giorno, per dimenticare, fai un viaggio sul Titanic e naufraghi nei mari del sud, ti raccoglie (unico superstite) una piroga di indigeni e passi lunghi anni ignorato da tutti, su di un'isola abitata solo da papuasi, con le ragazze che ti cantano canzoni di intenso languore, agitando i seni appena coperti dalla collana di fiori di pua. Cominci ad abituarti, ti chiamano Jim, come fanno coi bianchi, una ragazza dalla pelle ambrata ti si introduce una sera nella capanna e ti dice: "lo tua, io con te." In fondo è bello, la sera, stare sdraiato sulla veranda a guardare la Croce del Sud mentre lei ti accarezza la fronte.

Vivi secondo il ciclo delle albe e dei tramonti, e non sai d'altro. Un giorno arriva una barca a motore con degli olandesi, apprendi che sono passati dieci anni, potresti andare via con loro, ma esiti, preferisci scambiare noci di cocco con derrate, prometti che potresti occuparti della raccolta della canapa, gli indigeni lavorano per te, tu cominci a navigare da isolotto a isolotto, sei diventato per tutti Jim della Canapa. Un avventuriero portoghese rovinato dall'alcool viene a lavorare con te e si redime, tutti parlano ormai di te in quei mari della Sonda, dai consigli al marajà di Brunei per una campagna contro i dajaki del fiume, riesci a riattivare un vecchio cannone dei tempi di Tappo Sahib, caricato a chiodaglia, alleni una squadra di malesi devoti, coi denti anneriti dal betel. In uno scontro presso la Barriera Corallina il vecchio Sampan, i denti anneriti dal betel, ti fa scudo col proprio corpo -Sono contento di morire per te, Jim della Canapa. - Vecchio, vecchio Sampan, amico mio.

Ormai sei famoso in tutto l'arcipelago tra Sumatra e Port-au-Prince, tratti con gli inglesi, alla capitaneria del porto di Darwin sei registrato come Kurtz, e ormai sei Kurtz per tutti - Jim della Canapa per gli indigeni. Ma una sera, mentre la ragazza ti accarezza sulla veranda e la Croce del Sud sfavilla come non mai, ahi quanto diversa dall'Orsa, tu capisci: vorresti tornare. Solo per poco, per vedere che cosa sia rimasto di te, laggiù.

Prendi la barca a motore, raggiungi Manila, di là un aereo a elica ti porta a Bali. Poi Samoa, Isole dell'Ammiragliato, Singapore, Tananarive, Timbuctu, Aleppo, Samarcanda, Bassora, Malta e sei a casa.

Sono passati diciott'anni, la vita ti ha segnato, il viso è abbronzato dagli alisei, sei più vecchio, forse più bello. Ed ecco che appena arrivato scopri che le librerie ostentano tutti i tuoi libri, in riedizioni critiche, c'è il tuo nome sul frontone della vecchia scuola dove hai imparato a leggere e a scrivere. Sei il Grande Poeta Scomparso, la coscienza della generazione. Fanciulle romantiche si uccidono sulla tua tomba vuota.

E poi incontro te, amore, con tante rughe intorno agli occhi, e il volto ancora bello che si strugge di ricordo, e tenero rimorso. Quasi ti ho sfiorata sul marciapiede, sono là a due passi, e tu mi hai guardato come guardi tutti, cercando un altro oltre la loro ombra. Potrei parlare, cancellare il tempo. Ma a che scopo? Non ho già avuto quello che volevo? lo sono Dio, la stessa solitudine, la stessa vanagloria, la stessa disperazione per non essere una delle mie creature come tutti. Tutti che vivono nella mia luce e io che vivo nello scintillio insopportabile della mia tenebra.

Vai, vai per il mondo, Guglielmo Si Sei famoso, mi passi accanto e non mi riconosci. Io mormoro tra me essere o non essere e mi dico bravo Belbo, buon lavoro. Vai vecchio Guglielmo S., a prenderti la tua parte di gloria: tu hai solo creato, io ti ho rifatto.

Noi, che facciamo partorire i parti altrui, come gli attori non dovremmo essere seppelliti in terra consacrata. Ma gli attori fingono che il mondo, cosa com'è, vada in modo diverso, mentre noi fingiamo de l'infinito universo e mondi, la pluralità dei compossibili...

Come può essere così generosa la vita, che provvede un compenso tanto sublime alla mediocrità?
12

Sub umbra alarum tuarum, Jehova.

(Fama Fraternrtatis in Algemeine und general Reformation, Cassel, Wessel 1614, fine)

 

Il giorno dopo andai alla Garamond. Il numero 1 di via Sincero Renato immetteva in un androne polveroso, da cui si intravedeva un cortile col laboratorio di un cordaio. Entrando a destra c'era un ascensore che avrebbe potuto figurare in un padiglione di archeologia industriale, e come tentai di prenderlo diede alcuni scossoni sospetti, senza determinarsi a partire. Per prudenza discesi e feci due rampe di una scala quasi a chiocciola, in legno, assai polverosa. Come seppi dopo, il signor Garamond amava quella sede perché ricordava una casa editrice parigina. Sul pianerottolo una targa diceva "Garamond Editori, s.p.a.", e una porta aperta immetteva in un ingresso senza centralinista o custode di sorta. Ma non si poteva entrare senza essere scorti da un piccolo ufficio antistante, e subito fui abbordato da una persona di sesso probabilmente femminile, di età imprecisata, e di statura che un eufemista avrebbe definito inferiore alla media.

Costei mi aggredì in una lingua che mi pareva di avere già udito da qualche parte, sino a che non capii che era un italiano privo quasi del tutto di vocali. Le chiesi di Belbo. Dopo avermi fatto attendere qualche secondo, mi condusse lungo il corridoio in un ufficio sul fondo dell'appartamento.

Belbo mi accolse con gentilezza: "Allora lei è una persona seria. Entri." Mi fece accomodare di fronte alla sua scrivania, vecchia come il resto, sovraccarica di manoscritti, come gli scaffali alle pareti.

"Non si sarà spaventato di Gudrun," mi disse.

"Gudrun? Quella... signora?"

"Signorina. Non si chiama Gudrun. La chiamiamo così per il suo aspetto nibelungico e perché parla in un modo vagamente teutonico. Vuole dire tutto subito, e risparmia sulle vocali. Ma ha il senso della justitia aequatrix: quando batte a macchina risparmia sulle consonanti."

"Che ci fa qui?"

"Tutto, purtroppo. Vede, in ogni casa editrice c'è un tipo che è indispensabile perché è l'unica persona in grado di ritrovare le cose nel disordine che crea. Ma almeno, quando si perde un manoscritto, si sa di chi è la colpa."

"Perde anche i manoscritti?"

"Non più di altri. In una casa editrice tutti perdono i manoscritti. Credo sia l'attività principale. Ma bisogna pure avere un capro espiatorio, non le pare? Le rimprovero solo di non perdere quelli che io vorrei. Incidenti sgradevoli per quello che il buon Bacone chiamava The advancement of learning."

"Ma dove si perdono?"

Allargò le braccia: "Mi scusi, ma si rende conto di quanto sia sciocca la domanda? Se si sapesse dove, non sarebbero persi."

"Logico," dissi. "Ma senta. Quando vedo in giro i libri della Garamond, mi sembrano edizioni molto curate e avete un catalogo abbastanza ricco. Fate tutto qui dentro? In quanti?"

"Di fronte c'è uno stanzone con i tecnici, qui a fianco il mio collega Diotallevi. Ma lui cura i manuali, le opere di lunga durata, lunghe da fare e lunghe da vendere, nel senso che vendono a lungo. Le edizioni universitarie le faccio io. Ma non deve credere, non è un lavoro immenso. Oh dio, su certi libri mi ci appassiono, i manoscritti debbo leggerli, ma in genere è tutto lavoro già garantito, economicamente e scientificamente. Pubblicazioni dell'Istituto Tal dei Tali, oppure atti di convegni, curati e finanziati da un ente universitario. Se l'autore è un esordiente, il maestro fa la prefazione e la responsabilità è sua. L'autore corregge almeno due mandate di bozze, controlla citazioni e note, e non prende diritti. Poi il libro viene adottato, se ne vendono mille o duemila copie in qualche anno, le spese sono coperte... Nessuna sorpresa, ogni libro è in attivo."

"E allora lei cosa fa?"

"Molte cose. Anzitutto bisogna scegliere. E poi ci sono alcuni libri che pubblichiamo a nostre spese, quasi sempre traduzioni di autori di prestigio, per tener su il catalogo. E infine ci sono i manoscritti che arrivano così, portati da un isolato. Di rado è roba attendibile, ma bisogna vederli, non si sa mai."

"Si diverte?"

"Mi diverto? È l'unica cosa che so fare bene."

Fummo interrotti da un tipo di una quarantina d'anni, che portava una giacca di alcune misure più ampia, pochi capelli biondo chiari che gli ricadevano su due sopracciglia folte, altrettanto gialle. Parlava in modo soffice, come se educasse un bambino.

"Mi sono proprio stancato di quel Vademecum del Contribuente. Dovrei riscriverlo tutto e non ne ho voglia. Disturbo?"

"E Diotallevi," disse Belbo, e ci presentò.

"Ah, è venuto a vedere i Templari? Poverino. Senti, me ne è venuta in mente una buona: Urbanistica Tzigana."

"Bella," disse Belbo ammirato. "Io stavo pensando a Ippica Azteca."

"Sublime. Ma questa la metti nella Poziosezione o negli Adynata?"

"Adesso dobbiamo vedere," disse Belbo. Frugò nel cassetto e ne trasse dei fogli. "La Poziosezione..." Mi guardò, notando la mia curiosità. "La Poziosezione, lei m'insegna, è l'arte di tagliare il brodo. Ma no," disse a Diotallevi, "la Poziosezione non è un dipartimento, è una materia, come l'Avunculogratulazione Meccanica e la Pilocatabasi, tutti nel diparti-mento di Tetrapiloctomia."

"Cos'è la tetralo..." azzardai.

"E l'arte di tagliare un capello in quattro. Questo dipartimento comprende l'insegnamento delle tecniche inutili, per esempio l'Avunculogratulazione Meccanica insegna a costruire macchine per salutare la zia. Siamo incerti se lasciare in questo dipartimento la Pilocatabasi, che è l'arte di scamparsela per un pelo, e non pare del tutto inutile. No?"

"La prego, adesso mi dica che cos'è questa storia..." implorai.

"È che Diotallevi, e io stesso, stiamo progettando una riforma del sa-pere. Una Facoltà di Irrilevanza Comparata, dove si studino materie inutili o impossibili. La facoltà tende a riprodurre studiosi in grado di aumentare all'infinito il numero delle materie irrilevanti."

"E quanti dipartimenti ci sono?"

"Per ora quattro, ma potrebbero già contenere tutto lo scibile. Il dipartimento di Tetrapiloctomia ha funzione preparatoria, tende ad educare al senso dell'irrilevanza. Un dipartimento importante è quello di Adynata o Impossibilia. Per esempio Urbanistica Tzigana e Ippica Azteca... L'essenza della, disciplina è la comprensione delle ragioni profonde della sua irrilevanza, e nel dipartimento di Adynata anche della sua impossibilità. Ecco pertanto Morfematica del Morse, Storia dell'Agricoltura Antartica, Storia della Pittura nell'Isola di Pasqua, Letteratura Sumera Contemporanea, Istituzioni di Docimologia Montessoriana, Filatelia Assiro-Babilonese, Tecnologia della Ruota negli Imperi Precolombiani, Iconologia Braille, Fonetica del Film Muto..."


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 41 | Нарушение авторских прав



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