Студопедия
Случайная страница | ТОМ-1 | ТОМ-2 | ТОМ-3
АрхитектураБиологияГеографияДругоеИностранные языки
ИнформатикаИсторияКультураЛитератураМатематика
МедицинаМеханикаОбразованиеОхрана трудаПедагогика
ПолитикаПравоПрограммированиеПсихологияРелигия
СоциологияСпортСтроительствоФизикаФилософия
ФинансыХимияЭкологияЭкономикаЭлектроника

Il pendolo di Foucault 7 страница

Читайте также:
  1. 1 страница
  2. 1 страница
  3. 1 страница
  4. 1 страница
  5. 1 страница
  6. 1 страница
  7. 1 страница

"Il moro è crudele," disse Belbo.

"Come bambini," ripeté Diotallevi.

"Ma erano katanga un casino questi tuoi Templari," disse la Dolores, eccitata.

"A me fa venire in mente Tom and Jerry," disse Belbo.

 

Mi pentii. In fondo vivevo da due anni coi Templari, e li amavo. Ricattato dallo snobismo dei miei interlocutori, li avevo presentati come personaggi da cartone animato. Forse era colpa di Guglielmo di Tiro, storiografo infido. Non erano così i cavalieri del Tempio, barbuti e fiammeggianti, con la bella croce rossa sul mantello candido, caracollanti all'ombra della loro bandiera bianca e nera, il Beauceant, intenti – e meravigliosamente – alla loro festa di morte e di ardimento, e il sudore di cui parlava san Bernardo era forse un lucore bronzeo che conferiva una nobiltà sarcastica al loro sorriso tremendo, mentre erano intenti a festeggiare così crudelmente l'addio alla vita... Leoni in guerra, come diceva Jacques de Vitry, agnelli pieni di dolcezza in pace, rudi nella battaglia, devoti nella preghiera, feroci coi nemici, benevoli ai fratelli, segnati dal bianco e dal nero del loro stendardo perché pieni di candore per gli amici dí Cristo, cupi e terribili per i suoi avversari...

Patetici campioni della fede, ultimo esempio di una cavalleria al tramonto, perché comportarmi con loro come un Ariosto qualsiasi, quando avrei potuto essere il loro Joinville? Mi vennero alla mente le pagine che dedicava loro l'autore della Storia di San Luigi, che con Luigi il Santo era andato in Terrasanta, scrivano e combattente al tempo stesso. Ormai i Templari esistevano da centocinquant'anni, di crociate se ne erano fatte abbastanza da sfiancare ogni ideale. Scomparse come fantasmi le figure eroiche della regina Melisenda e di Baldovino il re lebbroso, consumate le lotte intestine di quel Libano insanguinato sin d'allora, caduta già una volta Gerusalemme, Barbarossa affogato in Cilicia, Riccardo Cuor di Leone sconfitto e umiliato che rimpatria travestito, appunto, da Templare, la cristianità ha perso la sua battaglia, i mori hanno un senso ben diverso della confederazione tra potentati autonomi ma uniti nella difesa

di una civiltà — hanno letto Avicenna, non sono ignoranti come gli europei, come si può restare per due secoli esposti a una cultura tollerante, mistica e libertina, senza cederne alle lusinghe, potendola commisurare alla cultura occidentale, rozza, becera, barbara e germanica? Sinché nel 1244 si ha l'ultima e definitiva caduta di Gerusalemme, la guerra, iniziata centocinquant'anni prima, è perduta, i cristiani dovranno cessare di por-tare le armi in una landa destinata alla pace e al profumo dei cedri del Libano, poveri Templari, a che è servita la vostra epopea?

Tenerezza, melanconia, pallore di una gloria senescente, perché non darsi allora all'ascolto delle dottrine segrete dei mistici musulmani, all'accumulazione ieratica di tesori nascosti? Forse di lì nasce la leggenda dei cavalieri del Tempio, che ancora ossessiona le menti deluse e desideranti, il racconto di una potenza senza limiti che ormai non sa più su cosa esercitarsi...

Eppure, già al tramonto del mito, arriva Luigi, il re santo, il re che ha per commensale 1'Aquinate, lui alla crociata ancora ci crede, malgrado due secoli di sogni e tentativi falliti per la stupidità dei vincitori, vale la pena di tentare ancora una volta? Vale la pena, dice Luigi il Santo, i Templari ci stanno, lo seguono nella disfatta, perché è il loro mestiere, come giustificare il Tempio senza la crociata?

Luigi attacca dal mare Damietta, la riva nemica è tutto un rilucere di picche e alabarde e orifiamme, scudi e scimitarre, gran bella gente a vedersi, dice Joinville con cavalleria, che portano armi d'oro percosse dal sole. Luigi potrebbe attendere, decide invece di sbarcare a ogni costo. "Miei fedeli, saremo invincibili se inseparabili nella nostra carità. Se sa-remo vinti saremo dei martiri. Se trionferemo, la gloria di Dio ne sarà accresciuta.» I Templari non ci credono, ma sono stati educati ad essere dei cavalieri dell'ideale, e quella è l'immagine che debbono dare di sé. Segui-ranno il re nella sua follia mistica.

Lo sbarco incredibilmente riesce, i saraceni incredibilmente lasciano Damietta, tanto che il re esita ad entrarvi perché non crede a quella fuga. Ma è vero, la città è sua e suoi ne sono í tesori e le cento moschee che subito Luigi converte in chiese del Signore. Ora si tratta di prendere una decisione: marciare su Alessandria o sul Cairo? La decisione saggia sarebbe stata Alessandria, per sottrarre all'Egitto un porto vitale. Ma c'era il cattivo genio della spedizione, il fratello del re, Roberto d'Artois, megalomane, ambizioso, assetato di gloria e subito, come ogni cadetto. Consiglia di puntare sul Cairo, cuore dell'Egitto. Il Tempio, prima prudente, ora morde il freno. Il re aveva vietato gli scontri isolati, ma è il maresciallo del Tempio ad infrangere il divieto. Vede un drappello di mammalucchi del sultano e grida: "Ora a loro, in nome di Dio, perché non posso sopportare un'onta del genere!"

A Mansurah i saraceni si arroccano al di là di un fiume, i francesi cercano di costruire una diga per creare un guado, e la proteggono con le loro torri mobili, ma i saraceni conoscono dai bizantini l'arte del fuoco greco. Il fuoco greco aveva una punta grossa quanto una botte, la coda era come una grande lancia, arrivava come una folgore e sembrava un dragone che volasse per l'aria. E gettava una tale luce che nel campo ci si vedeva come di giorno.

Mentre il campo cristiano è tutto una fiamma, un beduino traditore in-dica al re un guado, per trecento bisanti. Il re decide di attaccare, la tra-versata non è facile, molti annegano e son trascinati dalle acque, sulla riva opposta attendono trecento saraceni a cavallo. Ma finalmente il grosso tocca terra, e secondo gli ordini i Templari cavalcano all'avanguardia, seguiti dal conte d'Artois. I cavalieri musulmani si danno alla fuga e i Templari attendono il resto dell'esercito cristiano. Ma il conte d'Artois balza coi suoi all'inseguimento dei nemici.

Allora i Templari, per non essere disonorati, si buttano anch'essi all'assalto, ma giungono solo a ridosso dell'Artois, il quale è già penetrato nel campo nemico e ha fatto strage. I musulmani si danno alla fuga verso Mansurah. Invito a nozze per l'Artois, che fa per inseguirli. I Templari cercano di fermarlo, fratello Gilles, gran comandante del Tempio, lo blandisce dicendogli che ha già compiuto un'impresa mirabile, delle più grandi mai realizzate in terra d'oltremare. Ma l'Artois, moscardino assetato di gloria, accusa di tradimento i Templari, anzi aggiunge che, se Templari e Ospitalieri avessero voluto, quella terra sarebbe già stata conquistata da molto tempo, e lui aveva dato una prova di cosa si potesse fare se si aveva sangue nelle vene. Troppo per l'onore del Tempio. Il Tempio non è secondo a nessuno, tutti si buttano verso la città, vi entrano, inseguono i nemici sino alle mura del lato opposto, e a quel punto i Templari si accorgono di aver ripetuto l'errore di Ascalona. I cristiani — Templari compresi — si sono attardati a saccheggiare il palazzo del sultano, gli infedeli si ricompattano, piombano su quella masnada ormai dispersa di avvoltoi. Ancora una volta i Templari si son fatti accecare dall'avidità? Ma altri riferiscono che prima di seguire l'Artois in città, fratello Gilles gli aveva detto con lucido stoicismo: "Signore, io e i miei fratelli non abbiamo paura e vi seguiremo. Ma sappiate che dubitiamo, e forte, che voi ed io possiamo tornare." In ogni caso l'Artois, la Dio mercé, viene ucciso, e con lui tanti altri bravi cavalieri, e duecentottanta Templari.

Peggio che una disfatta, un'onta. Eppure non viene registrata come tale, neppure da Joinville: accade, è la bellezza della guerra.

Sotto la penna del signor di Joinville molte di queste battaglie, o scaramucce che fossero, diventano balletti gentili, con qualche testa che rotola, e molte implorazioni al buon Signore, e qualche pianto del re per un suo fedele che spira, ma tutto come girato a colori, tra gualdrappe rosse, finimenti dorati, lampeggiare d'elmi e di spade sotto il sole giallo del de-serto, e di fronte al mare turchino, e chissà che i Templari non vivessero così la loro macelleria quotidiana.

Lo sguardo di Joinville si muove dall'alto in basso o dal basso in alto, a seconda che lui cada da cavallo o vi risalga, e mette a fuoco scene isolate, il piano della battaglia gli sfugge, tutto si risolve in duello individuale, e non di rado dall'esito casuale. Joinville si lancia in aiuto del signor di Wanon, un turco lo colpisce di lancia, il cavallo cade sui ginocchi, Joinville vola in avanti oltre la testa dell'animale, si rialza con la spada in mano e messer Erardo di Siverey ("Dio l'assolva") gli fa cenno di rifugiarsi in una casa diroccata, sono letteralmente calpestati da un drappello di turchi, si rialzano indenni, raggiungono la casa, vi si asserragliano, i turchi li assalgono dall'alto con le lance. Mescer Federico di Loupey viene colpito alle spalle "e fu tale la ferita che il sangue ne sprizzava come il tappo che sbalza da una botte" e il Siverey vien preso da un fendente in mezzo al viso "sì che il naso gli cadeva sulle labbra". E via, poi arrivano gli aiuti, si esce dalla casa, ci si sposta in altra area del campo di battaglia, nuova scena, altri morti e salvataggi in extremis, preghiere ad alta voce a messer san Giacomo. E intanto grida il buon conte di Soissons, mentre dà di taglio, "signor di Joinville, lasciamo urlare codesta canaglia, per Dio, che dovremo parlarne ancora di questa giornata, quando saremo in mezzo alle dame!" E il re chiede notizie di suo fratello, il dannato conte d'Artois, e frate Henry de Ronnay, preposto dell'Ospedale, gli risponde "che ne aveva di buone, tenendo per certo che il conte d'Artois era in paradiso". Il re dice che Dio sia lodato per tutto quel che gli manda, e grosse lacrime gli cadono dagli occhi.

Non è sempre balletto, per angelico e sanguinario che sia. Muore il gran maestro Guglielmo di Sonnac, arso vivo dal fuoco greco, l'esercito cristiano, dal gran lezzo dei cadaveri, e dalla scarsità dei viveri, viene colto dallo scorbuto, l'armata di san Luigi è in rotta, il re è succhiato dalla dissenteria, da doversi tagliare, per guadagnar tempo in battaglia, il fondo dei calzoni. Damietta è perduta, la regina deve trattare coi saraceni e paga cinquecentomila lire tornesi per aver salva la vita.

Ma le crociate si facevano con teologale malafede. A San Giovanni d'Acri Luigi viene accolto da trionfatore e si reca ad incontrarlo tutta la città in processione, col clero e le dame e i fanciulli. I Templari la sanno più lunga e cercano di entrare in trattative con Damasco. Luigi lo viene a sapere, non sopporta di essere scavalcato, sconfessa il nuovo gran maestro di fronte agli ambasciatori musulmani, e il gran maestro si rimangia la parola data ai nemici, si inginocchia davanti al re e gli chiede scusa. Non si può dire che i cavalieri non si fossero battuti bene, e disinteressatamente, ma íl re di Francia li umilia, per riaffermare il suo potere – e per riaffermare il suo potere, mezzo secolo dopo, il suo successore Filippo li manderà al rogo.

Nel 1291 San Giovanni d'Acri viene conquistata dai mori, tutti gli abitanti sono immolati. Il regno cristiano di Gerusalemme è finito. I Templari sono più ricchi, più numerosi e più potenti che mai ma, nati per combattere in Terrasanta, in Terrasanta non ci sono più.

Vivono splendidamente seppelliti nelle capitanerie di tutta Europa e nel Tempio di Parigi, e sognano ancora la spianata del Tempio di Gerusalemme ai tempi della gloria, con la bella chiesa di Santa Maria in Laterano costellata di cappelle votive, bouquet di trofei, e un fervore di fu-cine, sellerie, drapperie, granai, una scuderia di duemila cavalli, un cara-collare di scudieri, aiutanti, turcopoli, le croci rosse sui mantelli bianchi, le cotte brune degli ausiliari, i messi del sultano dai grandi turbanti e da-gli elmi dorati, i pellegrini, un crocevia di belle pattuglie e di staffette, e la letizia dei forzieri, il porto da cui si dipartivano ordini e disposizioni e carichi per i castelli della madrepatria, delle isole, delle coste dell'Asia Minore...

Tutto finito, i miei poveri Templari.

Mi accorsi quella sera, da Pilade, ormai al quinto whisky, che Belbo mi stava provvedendo d'imperio, che avevo sognato, con sentimento (che vergogna), ma ad alta voce, e dovevo aver raccontato una storia bellissima, con passione e compassione, perché Dolores aveva gli occhi lucidi, e Diotallevi, precipitato nell'insania di una seconda acqua tonica, volgeva serafico gli occhi al cielo, ovvero al soffitto per nulla sefirotico del bar, e mormorava: "E forse erano tutto questo, anime perse e anime sante, cavallanti e cavalieri, banchieri ed eroi..."

"Certo che erano singolari," fu la silloge di Belbo. "Ma lei, Casaubon, li ama?"

"Io ci faccio la tesi, uno che fa la tesi sulla sifilide finisce per amare anche la spirocheta pallida."

"Bello come un film," disse Dolores. "Ora però devo andare, mi spiace, devo ciclostilare dei volantini per domani mattina. Si picchetta alla Marelli."

"Beata te che te lo puoi permettere," disse Belbo. Levò stancamente una mano, le accarezzò i capelli. Ordinò, disse, l'ultimo whisky. "E quasi mezzanotte," osservò. "Non dico per gli umani, ma per Diotallevi. Però finiamo la storia, voglio sapere del processo. Quando, come, perché..."

"Cur, quomodo, quando," assentì Diotallevi. "Sì, sì."

 


Afferma che aveva visto il giorno prima cinquantaquattro fratelli dell'ordine condotti al rogo, perché non avevano voluto confessare i sopradetti errori, e che aveva udito dire che erano stati bruciati, e che lui stesso temendo di non offrire buona resistenza se fosse stato bruciato, avrebbe confessato, per timor della morte, in presenza dei signori commissari e di non importa chi, se fosse stato interrogato, che tutti gli errori imputati all'ordine erano veri e che egli, se gli fosse stato richiesto, avrebbe anche confessato di aver ucciso Nostro Signore.

(Deposizione di Aimery di Villiers-le Duc, 13.5.1310)

 

Un processo pieno di silenzi, contraddizioni, enigmi e stupidità. Le stupidità erano le più appariscenti, e in quanto inspiegabili coincidevano di regola con gli enigmi. In quei giorni felici credevo che la stupidità creasse enigma. L'altra sera nel periscopio pensavo che gli enigmi più terribili, per non rivelarsi come tali, si travestano da follia. Ora penso invece che il mondo sia un enigma benigno, che la nostra follia rende terribile perché pretende di interpretarlo secondo la propria verità.

 

I Templari erano rimasti senza scopo. Ovvero, avevano trasformato i mezzi in scopo, amministravano la loro immensa ricchezza. Naturale che un monarca accentratore come Filippo il Bello li vedesse di malocchio. Come si poteva tenere sotto controllo un ordine sovrano? Il gran maestro aveva il rango di un principe del sangue, comandava un esercito, amministrava un patrimonio fondiario immenso, era eletto come l'imperatore, e aveva un'autorità assoluta. Il tesoro francese non era nelle mani del re, ma era custodito nel Tempio di Parigi. I Templari erano i depositari, i procuratori, gli amministratori dí un conto corrente intestato formalmente al rè. Incassavano, pagavano, giocavano sugli interessi, si comportavano da grande banca privata, ma con tutti i privilegi e le franchigie di una banca di stato... E il tesoriere del re era un Templare. Si può regnare

in queste condizioni?

Se non puoi batterli, unisciti a loro. Filippo chiese di essere fatto Templare onorario. Risposta negativa. Offesa che un re si lega al dito. Allora suggerì al papa di fondere Templari e Ospitalieri e di mettere il nuovo or-dine sotto il controllo di uno dei suoi figli. Il gran maestro del Tempio, Jacques de Molay, arrivò in gran pompa da Cipro, dove ormai risiedeva come un monarca in esilio, e presentò al papa un memoriale in cui fingeva di analizzare i vantaggi, ma in realtà metteva in luce gli svantaggi della fusione. Senza pudore, Molay osservava tra l'altro che i Templari erano più ricchi degli Ospitalieri, e la fusione avrebbe impoverito gli uni per arricchire gli altri, il che sarebbe stato di grave danno alle anime dei

suoi cavalieri. Molay vinse questa prima mano del gioco che stava iniziando, la pratica venne archiviata.

Non rimaneva che la calunnia, e qui il re aveva buon gioco. Di voci, sui Templari, ne circolavano già da tempo. Come dovevano apparire questi "coloniali" ai buoni francesi che se li vedevano d'intorno a raccogliere decime e a non dar nulla in cambio, neppure — ormai — il proprio sangue di custodi del Santo Sepolcro? Francesi anche loro, ma non del tutto, quasi pieds noirs ovvero, come si diceva allora, poulains. Magari ostenta-vano vezzi esotici, chissà che tra loro non parlassero la lingua dei mori, a cui erano assuefatti. Erano monaci, ma davano pubblico spettacolo dei loro costumi trucibaldi, e già anni prima papa Innocenzo III era stato in-dotto a scrivere una bolla De insolentia Templariorum. Avevano fatto voto di povertà, ma si presentavano col fasto di una casta aristocratica, l'avidità dei nuovi ceti mercantili, l'improntitudine di un corpo di moschettieri.

Ci vuole poco per passare alla mormorazione allusiva: omosessuali, eretici, idolatri che adorano una testa barbuta che non si sa da dove venga, ma certo non dal panteon dei buoni credenti, forse condividono i segreti degli Ismailiti, hanno commercio con gli Assassini del Veglio della Montagna. Filippo e i suoi consiglieri in qualche modo trassero partito da queste dicerie.

Alle spalle di Filippo si muovono le sue anime dannate, Marigny e Nogaret. Marigny è quello che alla fine metterà le mani sul tesoro del Tempio e lo amministrerà per conto del re, in attesa che passi agli Ospitalieri, e non è chiaro chi fruisca degli interessi. Nogaret, guardasigilli del re, era stato nel 1303 lo stratega dell'incidente dí Anagni quando Sciama Colonna aveva preso a schiaffi Bonifacio VIII, e il papa ne era morto di umiliazione nel giro di un mese.

A un certo punto entra in scena tale Esquieu de Floyran. Pare che, in prigione per delitti imprecisati e sull'orlo della condanna capitale, incontri in cella un Templare rinnegato, anche lui in attesa del capestro, e ne raccolga delle terribili confessioni. Floyran, in cambio dell'incolumità e di una buona somma, vende quello che sa. Quello che sa è quello che tutti ormai mormorano. Ma ormai si è passati dalla mormorazione alla deposizione in istruttoria. Il re comunica le sensazionali rivelazioni di Floyran al papa, che ora è Clemente V, colui che ha portato la sede papale ad Avignone. Il papa ci crede e non ci crede, e poi sa che non è facile mettere le mani negli affari del Tempio. Ma nel 1307 acconsente ad aprire un'inchiesta ufficiale. Molay ne è informato, ma si dichiara tranquillo. Continua a partecipare, accanto al re, alle cerimonie ufficiali, principe tra principi. Clemente V la tira per le lunghe, il re sospetta che il papa voglia dar tempo ai Templari di eclissarsi. Nulla di più falso, i Templari bevono e bestemmiano nelle loro capitanerie all'oscuro di tutto. Ed è il primo enigma.

Il 14 settembre del 1307 il re invia messaggi sigillati a tutti i balivi e i siniscalchi del regno, ordinando l'arresto in massa dei Templari e la confisca dei loro beni. Tra l'invio dell'ordine e l'arresto, che avviene il 13 ottobre, passa un mese. I Templari non sospettano di nulla. La mattina del-l'arresto cadono tutti nella rete e — altro enigma — si arrendono senza colpo ferire. E si noti che nei giorni precedenti gli ufficiali del re, per essere sicuri che nulla fosse sottratto alla confisca, avevano fatto una specie di censimento del patrimonio templare, in tutto il territorio nazionale, con scuse amministrative puerili. E i Templari niente, si accomodi balivo, guardi dove vuole, come fosse a casa sua.

II papa, come viene a sapere dell'arresto, tenta una protesta, ma è troppo tardi. I commissari reali han già cominciato a lavorar di ferro e corda, e molti cavalieri, sotto tortura, hanno preso a confessare. A questo punto non si può che passarli agli inquisitori, i quali non usano ancora il fuoco, ma tanto basta. I confessi confermano.

E questo è il terzo mistero: è vero che tortura c'è stata, e vigorosa, se trentasei cavalieri ne muoiono, ma di questi uomini di ferro, abituati a tener testa al turco crudele, nessuno tiene testa ai balivi. A Parigi solo quattro cavalieri su centotrentotto rifiutano di confessare. Gli altri confessano tutti, compreso Jacques de Molay.

"Ma cosa confessano?" chiese Belbo.

"Confessano esattamente quello che c'era già scritto nell'ordine di arresto. Pochissime variazioni nelle deposizioni, almeno in Francia e in Italia. Invece in Inghilterra, dove nessuno vuole veramente processarli, nelle deposizioni appaiono le accuse canoniche, ma attribuite a testimoni estranei all'ordine, che parlano solo per sentito dire. Insomma, i Templari confessano solo dove qualcuno vuole che confessino e solo quello che si vuole che confessino."

"Normale processo inquisitorio. Ne abbiamo visti altri," osservò Belbo.

"Eppure il comportamento degli accusati è bizzarro. I capi d'accusa sono che i cavalieri durante i loro riti d'iniziazione rinnegavano tre volte Cristo, sputavano sul crocifisso, venivano denudati e baciati in posteriori parte spine dorsi, vale a dire sul sedere, sull'ombelico e poi sulla bocca, in humane dignitatis opprobrium; infine si davano a concubito reciproco, dice il testo, l'uno con l'altro. L'orgia. Poi gli veniva mostrata la testa di un idolo barbuto, ed essi dovevano adorarlo. Ora, che cosa rispondono gli accusati quando sono messi di fronte a queste contestazioni? Geoffroy de Charney, quello che poi morirà sul rogo con Molay, dice che sì, gli è capitato, ha rinnegato Cristo, ma con la bocca, non con íl cuore, e non si ricorda se ha sputato sul crocifisso perché quella sera si andava di fretta. Quanto al bacio sul sedere, anche questo gli è accaduto, e ha udito il precettore d'Alvernia dire che in fondo era meglio unirsi coi fratelli che compromettersi con una donna, ma lui però non ha mai commesso peccati carnali con altri cavalieri. Quindi, sì, ma era quasi un gioco, nessuno ci prestava veramente fede, gli altri lo facevano, io no, ci stavo per educazione. Jacques de Molay, il gran maestro, non l'ultimo della banda, dice che quando gli han dato il crocifisso da sputarci, lui ha fatto finta e ha sputato per terra. Ammette che le cerimonie d'iniziazione fossero dí questo genere, ma — guarda caso — non lo saprebbe dire con esattezza perché lui durante la sua carriera aveva iniziato pochissimi fratelli. Un altro dice che ha baciato il maestro, ma non sul culo, solo sulla bocca, ma però il maestro aveva baciato lui sul culo. Alcuni confessano più del necessario, non solo rinnegavano Cristo ma affermavano che era un criminale, nega-vano la verginità di Maria, sul crocifisso ci avevano persino orinato, non solo il giorno della loro iniziazione, ma anche durante la settimana santa, non credevano ai sacramenti, non si limitavano ad adorare il Bafometto, adoravano persino il diavolo sotto forma di gatto..."

Altrettanto grottesco, se pure meno incredibile, il balletto che inizia a questo punto tra il re e il papa. Il papa vuole prendere in mano la faccenda, il re preferisce condurre a termine íl processo da solo, il papa vorrebbe sopprimere l'ordine solo provvisoriamente, condannando i colpe-voli, e poi restaurandolo nella primitiva purezza, il re vuole che lo scandalo dilaghi, che il processo coinvolga l'ordine nel suo complesso e lo porti allo smembramento definitivo, politico e religioso, certo, ma soprattutto finanziario.

A un certo punto appare un documento che è un capolavoro. Dei maestri in teologia stabiliscono che non si deve concedere ai condannati un difensore, per impedire che ritrattino: visto che han confessato, non c'è neppure da istruire un processo, il re deve procedere d'ufficio, il processo si fa' quando il caso è dubbio, e qui di dubbio non ce n'è. "Perché allora dar loro un difensore se non per difendere i loro errori confessi, dato che l'evidenza dei fatti rende il crimine notorio?"

Ma siccome si rischia che il processo sfugga al re e passi nelle mani del papa, il re e Nogaret mettono in piedi un caso clamoroso che coinvolge il vescovo di Troyes, accusato di stregoneria, su delazione di un misterioso mestatore, tale Noffo Dei. Poi si scoprirà che Dei aveva mentito — e sarà impiccato — ma frattanto sul povero vescovo si sono rovesciate accuse pubbliche di sodomia, sacrilegio, usura. Le stesse colpe dei Templari. Forse il re vuole mostrare ai figli di Francia che la chiesa non ha il diritto di giudicare i Templari, perché non va immune dalle loro macchie, oppure lancia semplicemente un avvertimento al papa. E una storia oscura, un gioco di polizie e servizi segreti, di infiltrazioni e delazioni... Il papa è messo alle strette e acconsente ad interrogare settantadue Templari, i quali confermano le confessioni rese sotto tortura. Il papa però tien conto del loro pentimento e gioca la carta dell'abiura, per poterli perdonare.

E qui succede qualcosa d'altro — che costituiva un punto da risolvere per la mia tesi, ed ero dilaniato tra fonti contraddittorie: il papa ha appena ottenuto a fatica, e finalmente, la custodia dei cavalieri, che subito li restituisce al re. Non ho mai capito cosa fosse successo. Molay ritratta le confessioni rese, Clemente gli offre l'occasione di difendersi e gli invia tre cardinali per interrogarlo, Molay il 26 novembre del 1309 assume una sdegnosa difesa dell'ordine e della sua purezza, giungendo a minacciare gli accusatori, poi viene avvicinato da un inviato del re, Guillaume de Plaisans, che egli crede suo amico, riceve qualche oscuro consiglio e il 28

dello stesso mese rilascia una deposizione timidissima e vaga, dice di essere un cavaliere povero e senza cultura, e si limita a elencare i meriti (or-mai remoti) del Tempio, le elemosine che ha fatto, il tributo di sangue dato in Terrasanta e così via. Per soprammercato arriva il Nogaret, che ricorda come il Tempio abbia avuto contatti, più che amichevoli, col Saladino: siamo all'insinuazione di un reato di alto tradimento. Le giustificazioni di Molay sono penose, in questa deposizione l'uomo, provato ormai da due anni di carcere, sembra uno straccio, ma uno straccio si era mostrato anche subito dopo l'arresto. A una terza deposizione, nel marzo dell'anno seguente, Molay adotta un'altra strategia: non parla, e non parlerà se non di fronte al papa.

Colpo di scena, e questa volta si passa al dramma epico. Nell'aprile del 1310 cinquecentocinquanta Templari chiedono di essere ascoltati in di-fesa dell'ordine, denunciano le torture a cui erano stati sottoposti i con-fessi, negano e dimostrano inconcepibili tutte le accuse. Ma il re e Nogaret conoscono il loro mestiere. Alcuni Templari ritrattano? Meglio, debbono essere dunque considerati recidivi e spergiuri, ovvero relapsi – terribile accusa a quei tempi – perché negano protervamente quello che ave-vano già ammesso. Si può anche perdonare chi confessa e si pente, ma non chi non si pente perché ritratta la confessione e dice, spergiurando, di non aver nulla di cui pentirsi. Cinquantaquattro ritrattatori spergiuri vengono condannati a morte.

Facile pensare alla reazione psicologica degli altri arrestati. Chi con-fessa rimane vivo in galera, e chi vivrà vedrà. Chi non confessa, o peggio ritratta, va sul rogo. I cinquecento ritrattatori ancora in vita ritrattano la ritrattazione.

Il calcolo dei pentiti fu quello vincente, perché nel 1312 coloro che non avevano confessato furono condannati alla prigione perpetua mentre i confessi vennero perdonati. A Filippo non interessava un massacro, voleva solo smembrare l'ordine. I cavalieri liberati, ormai distrutti nel corpo e nello spirito dopo quattro o cinque anni di carcere, defluiscono silenziosamente in altri ordini, vogliono solo esser dimenticati, e questa scomparsa, questa cancellazione peserà a lungo sulla leggenda della sopravvivenza clandestina dell'ordine.


Дата добавления: 2015-12-01; просмотров: 34 | Нарушение авторских прав



mybiblioteka.su - 2015-2024 год. (0.015 сек.)